Pubblichiamo in due puntate questa inchiesta di Linda Maggiori che, curiosamente, non ha trovato spazio nei media della zona. Eccone la prima, di inquadramento generale.

 

Quanto contribuisce la provincia di Ravenna all’occupazione che da decenni Israele perpetra in Palestina? Un’occupazione che implica furto di terre e acqua, controllo e violazione di diritti, con oltre oltre il 42% della Cisgiordania occupata illegalmente dagli insediamenti israeliani. Per costruire le colonie, per allacciare le case ai servizi, per coltivare e irrigare, per controllare e reprimere servono beni che Israele importa ed esporta in un fruttuoso commercio anche con la nostra provincia.  A metà ottobre 2025 oltre 20 organizzazioni (tra cui Oxfam e Amnesty International Italia) hanno lanciato la campagna Stop al commercio con gli insediamenti illegali, chiedendo di interrompere ogni relazione commerciale con gli insediamenti illegali israeliani. 

 

 

Foto del blocco del porto di Ravenna, 28 novembre 2025

 

La Provincia di Ravenna partner commerciale di Israele 

 

Secondo gli indicatori del commercio estero, elaborati dall’Osservatorio dell’economia della Camera di commercio di Ravenna e Ferrara diffuse da Istat, nei primi tre mesi del 2025, le esportazioni delle imprese ravennati verso Israele in valore sono state pari a circa 8,1 milioni di Euro e, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, nonostante il genocidio in corso e la richiesta di sanzioni, sono aumentate del +8,5%. Fra gennaio e marzo 2025, i principali prodotti esportati in Israele sono stati: macchinari e apparecchiature, macchine per impieghi speciali, prodotti chimici, soprattutto “prodotti chimici di base, fertilizzanti, materie plastiche e gomma sintetica” e “materiali da costruzione in terracotta” (17%; 0,1%; 5,7%), tutti prodotti possono essere usati anche in ambito militare (dual use). Le importazioni della provincia di Ravenna che provengono da Israele, si attestano invece sui 3 milioni di euro, per lo più ortofrutta. 

Tutte queste merci partono e arrivano dal porto, dentro container o “sfusi”, spesso insieme ad armi, componenti di armi o merci pericolose. Secondo la campagna internazionale No Harbour for Genocide le compagnie MSC, Maersk e Zim sono “le compagnie marittime più esplicitamente dedicate a fornire a Israele le risorse necessarie per genocidio, apartheid e occupazione illegale. In particolare le navi Zim dovrebbero essere bandite dai porti e dai servizi”. Dopo mesi di protesta e denunce, il 28 novembre 2025 cittadini e attivisti hanno bloccato per protesta il porto, durante le operazioni di imbarco della nave Contship Era della Zim.

A Ravenna la Zim si appoggia all’azienda di spedizioni Santi Shipping Services (sede in via Trieste 156) affiliata al gruppo Smc. Anche le altre aziende di spedizionieri ravennati, Sagem Ravenna Srl, Casadei&Ghinassi e Sfacs, sono state acquisite dal gruppo Santi (Smc). 

 

Supporto energetico e “comburenti”

Eni, nota multinazionale che da oltre mezzo secolo opera a Ravenna, nel 2023 ha ottenuto da Israele la concessione per lo sfruttamento di vari giacimenti di gas, tra cui quelli all’interno del territorio marittimo palestinese conteso. Per questo lo studio legale Foley Hoag per conto delle organizzazioni umanitarie Al-Haq, Al Mezan Center for Human Rights e Palestine Center for Human Rights (PCHR) ha diffidato il gigante energetico nel 2024. 

Anche la Snam, proprietaria del rigassificatore ormeggiato a largo di Ravenna, ha interessi nei territori marittimi contesi. Ha infatti una quota del 25% nella East Mediterranean Gas Company (EMG), che gestisce il gasdotto Arish-Ashkelon per il trasporto di gas dai giacimenti israeliani verso l’Egitto, attraverso il mare di Gaza. 

Lo stesso gas che, una volta liquefatto e trasformato in Gnl negli impianti egiziani, viene inviato tramite metaniere all’Italia (e in parte anche a Ravenna). 

Sempre in zona porto opera Saipem, multinazionale che ha realizzato le condutture offshore del rigassificatore BW Singapore. Saipem nel 2020 si è aggiudicata una commessa di 200 milioni di euro con Haifa Group, compagnia di fertilizzanti israeliana, per la costruzione di un nuovo impianto  di ammoniaca nel sito industriale di Mishor Rotem, in Israele, con il dichiarato obiettivo di rendere Israele indipendente dall’importazione di ammoniaca. L’ammoniaca è uno dei componenti del nitrato di ammonio, fertilizzante ma anche precursore di esplosivo ed ampiamente usato dall’esercito israeliano per minare gli edifici di Gaza

 

Nitrato di ammonio 

 Come svela il recente dossier di Altreconomia “la flotta del Genocidio”, da Ravenna sono stati esportati verso il Medioriente 48 Mila tonnellate di precursori di esplosivi (tra cui il nitrato di ammonio), nei primi 20 mesi del genocidio a Gaza, con un rialzo impressionante (oltre 10 volte) a partire dagli ultimi mesi del 2023. 

 Yara, che ha la sua sede produttiva a Ravenna (l’altra unità produttiva italiana è a Ferrara), è il primo produttore di nitrato di ammonio in Italia. Alla nostra domanda su quanto nitrato di ammonio esporta in Israele, l’azienda ha preferito non rispondere.

Anche Haifa Italia, filiale italiana di Haifa Group, con sede a Bologna, commercializza i suoi prodotti da e verso Israele servendosi del porto di Ravenna, tra cui anche nitrato di ammonio e altri comburenti.

 Cinque anni fa, una visita del Ceo di Haifa group, Motti Levin  suggellava la partnership tra la multinazionale israeliana, il Consorzio Agrario di Ravenna e l’Italterminal dove si trova un impianto di miscelazione di Haifa Group. 

 

 

In Israele la multinazionale è il braccio agricolo del sionismo, tanto che il  motto del CEO, Motti Levin,  è “ogni insediamento agricolo è una posizione avanzata nella lotta per la nostra esistenza”, ha recentemente investito nella regione Tkuma, limitrofa alla striscia di Gaza, per ampliare e rafforzare gli insediamenti agricoli e, come ricordato sopra, sta facendo realizzare un impianto di ammoniaca a Mishor Rotem, per supplire alla scarsità di nitrato di ammonio in patria.

Come ha mappato Who Profits, Haifa Group ha numerosi distributori nel Golan siriano occupato e in Cisgiordania e sostiene l’agricoltura delle colonie illegali.