Una testimonianza scioccante quella della giornalista palestinese Farah Abu Ayash detenuta nel carcere di Damon, in Israele: “Mi hanno rinchiusa sottoterra con gli scarafaggi e sono delusa dai miei colleghi”.
Il suo avvocato, Hassan Abbadi, che è riuscito a farle visita nella prigione di Damon, afferma che ciò che ha sentito da Farah non è solo una dichiarazione legale, ma una testimonianza vivente dei brutali abusi che ha subito dal momento del suo arresto. Secondo il messaggio che ha trasmesso tramite il suo avvocato, Farah dichiara:
“Ho vissuto cose terribili. L’arresto è avvenuto all’improvviso, nel cuore della notte. C’erano tantissimi soldati, due soldatesse, molte jeep e veicoli “boz al-nimer”. Non avrei mai pensato di essere io l’obiettivo. Mi hanno portato a Karmi Tzur, mi hanno legato a una sedia all’aperto, accanto a un tubo che mi gocciolava addosso acqua sporca”.
Continua descrivendo la tortura:
“Le soldatesse mi hanno stretto i bracciali di plastica bianca sui polsi fino a farmi gonfiare le arterie. È arrivato un comandante con delle pinze per tagliarli. I cani mi strappavano i pantaloni. Poi ‘Atzion’, una stanza piena di scatole elettriche. Continuavano a cercare di negare il fatto che sono una giornalista. Mi hanno costretto a dare loro la password del mio telefono. Il mio lavoro è sempre stato assolutamente trasparente”.
Descrive il suo trasferimento al centro di interrogatorio di Moscobiya:
«Moscobiya è un film dell’orrore. Mi hanno spinta dentro… mi hanno ammanettato mani e piedi, poi mi hanno messo una pesante catena sulle spalle. Le guardie Nahshon mi hanno picchiata. Una soldatessa mi ha afferrata per i capelli, mi ha sbattuto la testa contro il muro e mi ha detto: “Bacia la bandiera israeliana”. Mi sono rifiutata. Mi ha dato un calcio. Stavo già male».
Aggiunge, con voce tremante:
“Mi hanno portato a Ramla, in una stanza abbandonata dove hanno spento le luci. Ho urlato; poi in una cella sotterranea, piena di scarafaggi, insetti, cimici. Ho pianto tutta la notte. Avevo tutto il corpo e il viso coperti di scarafaggi; i segni sono ancora lì”.
Farah racconta di essere stata poi riportata a Moscobiya, con ripetuti svenimenti per il freddo. Il trasporto nel “bosta” è stato “terrificante e brutale”. Dopo 55 giorni è stata trasferita alla prigione di Damon.
Parlando della sua delusione per il silenzio che circonda il suo caso, dice:
“Sono delusa dai miei colleghi giornalisti. Non hanno fatto abbastanza rumore né esercitato abbastanza pressione per il mio rilascio… Sono stata arrestata a causa del mio lavoro. È loro dovere portare la mia voce a tutti i giornalisti liberi”.
Women For Palestine, 17 novembre 2025










