Due manifestazioni si son svolte ieri, 20 novembre 2025, a Cagliari nel Transgender Day Of Remembrance (TDoR), “Giornata del Ricordo delle Vittime di Transfobia”. Dalle ore 16:00, a Buoncamino, piazza Anna Marongiu, raduno e corteo organizzato da Madera, Unigcom e Iskintzidda, evento di cui abbiamo pubblicato il comunicato nei giorni precedenti. Dalle ore 18:00, la manifestazione “Piazza di Memoria e di Lotta” presso il “Parco Lineare di Via Roma” di fronte al Palazzo del Consiglio Regionale, per l’occasione illuminato con i colori azzurro, rosa e bianco. Organizzata dalla Associazione Sarda Queer Aps, alla quale hanno aderito e contribuito altre realtà del territorio, tra cui “Certi diritti. Associazione Radicale”, UAR Cagliari, Settore Nuovi Diritti CGIL – Cagliari, Centro Servizi Sardegna. Presenti anche singole persone che hanno voluto solidarizzare con la comunità trans*.

Palazzo del Consiglio Regionale illuminato con i colori azzurro, rosa e bianco (foto di Stefano Furesi)
Una manifestazione sobria, silenziosa, senza applausi, ma vissuta con partecipazione emotiva che si percepiva. Il primo atto è stato l’accensione delle candele, nella piazza di via Roma davanti al Palazzo che per l’occasione è stato illuminato con luci. A causa della pioggia, il gruppo dei partecipanti si è poi spostato sotto l’edificio; e si è formato un cerchio a simboleggiare la comunità. Dopo i saluti iniziali, è stato posto in evidenza che non si trattava di una celebrazione funebre né di una semplice commemorazione, ma di un atto politico. Al posto della lettura dei nomi delle vittime si è optato per la lettura, a più voci, del “Manifesto Politico”, del quale riportiamo alcuni passaggi.

Cagliari, Parco Lineare di via Roma, accensione delle candele (Foto di Pierpaolo Loi)
«Il TDoR nasce nel 1999 dal silenzio imposto all’assassinio di Rita Hester, misgenderata perfino nei necrologi. Da quella cancellazione è nata una risposta politica: trasformare il lutto in memoria attiva, la violenza in organizzazione. Non è una celebrazione né un rituale consolatorio: è una denuncia collettiva del sistema che produce violenze sproporzionate contro persone trans*, non binarie e gender variant, in particolare persone trans*, persone razzializzate e migranti. È il giorno in cui si afferma che le identità trans* non sono un’anomalia moderna, ma parte antica e resistente della storia umana […]. La violenza contro le persone trans* è un fenomeno storico prodotto da patriarcato, razzismo, colonialismo e capitalismo. Non è nuova la nostra esistenza: è nuovo il tentativo di negarla. Il TDoR serve a ricordarlo a voce alta”.
Nel documento vengono riportati dati che dimostrano un arretramento, a livello europeo, nella difesa dei diritti delle persone trans* e l’Italia agli ultimi posti, superata persino da Polonia e Ucrainia. Nonostante dal 2019 l’OMS abbia rimosso l’incongruenza di genere dalle malattie mentali, si continua a trattare le persone trans* come “casi clinici”. “Eppure l’Italia insiste. – afferma il documento – I percorsi di affermazione di genere restano patologizzati, legati a valutazioni psicologiche obbligatorie che rallentano le cure, negano l’autodeterminazione e trasformano la salute pubblica in un apparato punitivo”.
Dai dati rilevati, è evidente che il quadro generale peggiora: “Tra ottobre 2024 e settembre 2025 sono state uccise 281 persone trans e gender variant nel mondo; dal 1009 i casi documentati salgono a 5322. Il profilo delle vitime è drammaticamente costante: )0% transfemminicidi, 88% persone nere o razzializzate, 34% sex worker”. I paesi del mondo ai primi posti sono in America Latina e nei Caraibi, con il Brasile al primo posto; anche l’Asia cresce, mentre Europa e Stati Uniti mostrano numeri più bassi, tuttavia, per minore tracciabilità. “La violenza non diminuisce: diventa più difficile da vedere. E proprio questo la rende più pericolosa”.
Per quanto riguarda la Sardegna viene messo in evidenza che “pochƏ professionistƏ seguono i percorsi di affermazione di genere nel pubblico” e “l’accesso alla salute diventa una questione di fortuna”, “I percorsi sono filtrati da protocolli vecchi, ancora patologizzanti […] I tempi d’attesa – 12, 18,fino a 24 mesi – si trasformano in sofferenza e rischio clinico: una forma di violenza istituzionale”.
Le conseguenze sono drammatiche: persone costrette a emigrare, rivolgersi al privato, rinunciare ai percorsi o esporsi a maggiore vulnerabilità. “Le altre ferite – continua il manifesto politico -, quelle che non si vedono subito, attraversano la scuola, la politica, l’informazione e il lavoro. Nelle scuole medie e nelle superiori moltƏ docenti raccontano ormai apertamente di non poter più affrontare identità di genere, orientamento sessuale, storia dei movimenti. La scuola che dovrebbe essere il luogo dove si impara a diventare cittadinƏ, rimane murata nel silenzio”.
Così pure sul piano della politica, prevale da una parte l’uso strumentale di simboli, all’altra la considerazione dell’ “essere una minaccia da agitare quando serve a distogliere l’attenzione dai tagli ai servizi, corruzione, fallimenti economici. In entrambi i casi la nostra vita non è riconosciuta come soggetto politico, ma come strumento narrativo nelle mani altrui”.
Sul campo del lavoro, prevale la negazione di tale diritto riconosciuto dalla Costituzione: “Colloqui annullati, misgendering normalizzato precarietà che diventa una condanna: per molte persone trans* l’accesso a un impiego dignitoso non è una possibilità, è un percorso ad ostacoli senza tregua”.

Foto di Stefano Furesi
Il documento termina con una serie di richieste che non sono suppliche, ma rivendicazione di diritti:
- Depatologizzazione reale;
- Una legge nazionale contro la trans*fobia;
- A scuola, Programmi inclusi, formazione dei docenti, spazi sicuri;
- A lavoro, norme contro la discriminazione, percorsi di inserimento e tutele nei luoghi di lavoro;
- Un diritto d’asilo che sia reale: protezione per chi fugge dalla violenza, non diffidenza e barriere;
- Che venga riconosciuta la storia delle identità trans*, non binarie e di genere non conforme, da secoli presenti in culture e tradizioni che l’Occidente ha tentato di Cancellare.
“Questa piazza – conclude il documento – non è un luogo fermo nel tempo: è una soglia, un impegno collettivo. Ricordiamo chi non c’è più, ma lo facciamo guardando avanti; accendiamo candele, non per piangere, ma per far luce; pronunciamo nomi non per chiudere una storia, ma per proteggere chi vive oggi” […] Perché ricordare è un atto politico. Vivere è un diritto. E la lotta è l’eredità che non abbandoneremo”.
Dopo la lettura del Manifesto politico, è stata data la possibilità ai rappresentanti delle associazioni aderenti di prendere la parola. Gli interventi, tutti altamente qualificati, hanno contribuito a rendere questa manifestazione un momento importante di conoscenza della realtà, d’impegno contro ogni forma di discriminazione e di affermazione dei diritti fondamentale di ogni persona.
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