8 novembre 2015, Teatro Magnetto di Almese. Qui, dieci anni fa in una sala gremita, ascoltavo la lettura della sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) su “diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere”. (https://permanentpeoplestribunal.org/)

Una sentenza che a dieci anni di distanza andrebbe riletta con attenzione (qui il testo integrale) e la cui lettura in quel memorabile giorno, in particolare le raccomandazioni ai gruppi di interesse che a tutti i costi volevano la costruzione della NLTL (Nuova Linea AV Torino Lione) aveva rappresentato per me e per tutto il Movimento No Tav un momento di profondo orgoglio, la riprova della fondatezza della nostra lotta e il sigillo sulla verità dei suoi presupposti.

Sin da marzo del 2015, Il TPP aveva condotto una fase istruttoria densa di contatti con gruppi rappresentativi delle realtà italiane ed europee che si opponevano alle grandi opere. La sua segreteria aveva visitato i territori minacciati incontrando le comunità resistenti. Come il Movimento No Tav, anche le controparti indicate nell’atto di accusa erano state invitate a partecipare alla sessione pubblica. Ma i proponenti della NLTL, in particolare Paolo Foietta e Mario Virano (rispettivamente Presidente dell’Osservatorio Tecnico Torino-Lione, e Direttore Generale di TELT) avevano risposto che le loro posizioni erano chiare, scritte su documenti pubblici, a dimostrazione dell’assoluta correttezza assunta nella questione TAV in Val Susa.

La correttezza di Foietta e Virano nell’iter decisionale circa la NLTL, era stata invece smentita dall’istruttoria del TPP. Si era infatti dimostrato che nessuna informazione puntuale e adeguata era stata data alle comunità e alle amministrazioni locali sulle caratteristiche e sugli effetti dell’opera prima dell’accordo Italia-Francia del 2001, che ancora oggi (2025) costituisce la base normativa per la costruzione della nuova linea ferroviaria AV. Le testimonianze raccolte erano unanimemente d’accordo sul fatto che l’informazione istituzionale si era limitata a mera propaganda, a slogan e previsioni mirabolanti, a menzogne e incontri “di facciata”, organizzati dai promotori con la partecipazione di un’esigua rappresentanza del movimento No TAV.

La scarsa o deformata informazione sull’opera veniva perciò presentata dal TPP come una chiara violazione della Convenzione di Aarhus che dal 2001 stabilisce tre principi fondamentali, preliminarmente a qualsiasi grande progetto con rilevanti impatti sull’ambiente: 1) l’accesso alle informazioni, 2) la partecipazione dei cittadini al processo decisionale e 3) l’accesso alla giustizia in materia ambientale sono i tre capisaldi che definiscono le condizioni di continuo scambio di informazioni fra proponenti l’opera e comunità locali, all’interno di un quanto mai ampio processo collaborativo e in condizioni di uguali poteri e pari dignità.

La scarsità, la non veridicità e l’inadeguatezza delle informazioni denunciate dal Movimento No Tav avevano permesso, secondo il TPP, una progressiva estromissione delle amministrazioni locali dall’iter decisionale, culminata nell’inserimento della linea TAV Torino–Lione fra le infrastrutture di preminente interesse nazionale (Legge Obiettivo del 2001), e trasferendo ogni decisione in tema di compatibilità ambientale al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Anche l’Osservatorio che era stato istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel 2006 e propagandato come esempio di corretto rapporto tra istituzioni e cittadini, e come opportunità di partecipazione delle amministrazioni locali alle decisioni sull’opera, non ha retto alla prova dei fatti. L’istruttoria del TPP ha smontato anche quel teatrino, per il fatto di aver “eluso il confronto sul punto centrale – decisivo ai fini di un reale coinvolgimento della comunità locale – circa l’effettiva necessità di una nuova linea ovvero dell’opportunità di ammodernare e utilizzare quella storica”.

In altre parole l’Osservatorio, fortemente orientato alla promozione e alla tutela degli interessi dei proponenti l’opera, non ha mai preso in considerazione la cosiddetta “opzione zero”, ovvero la non necessità di costruire una nuova linea AV fra Italia e Francia. Nello sminuire e degradare le istanze dei territori, l’Osservatorio ha “ridefinito le rappresentanze locali” ammettendo alla partecipazione “i soli Comuni dichiaratamente favorevoli […] alla miglior realizzazione dell’opera».

Già nel 2015 si paventava, quale presupposto per la costruzione della nuova linea ferroviaria la “prossima saturazione della linea storica”. Il TPP, anche attraverso documenti di fonte governativa (quaderni dell’Osservatorio), dava ragione al movimento No Tav e rilevava che la saturazione dell’attuale linea ferroviaria “era ben lungi dal realizzarsi ed era anzi destinata a non realizzarsi affatto”, essendo la linea storica utilizzata al 20 – 30 per cento delle proprie potenzialità.

Ciò che era vero nel 2015 è ancora più vero oggi, come prova la chiusura dell’AFA (Autostrada Ferroviaria Alpina, aprile 2025) fra Bourgneuf (Lione) e Orbassano (Torino) con il licenziamento di 18 addetti. Dopo due anni di interruzione del servizio per la frana che aveva chiuso la linea ferroviaria a La Praz, il servizio intermodale non è più stato riattivato per la pretesa del gestore (Mercitalia) di sovvenzioni statali a copertura della costante perdita economica della tratta. Nonostante gli oltre 40.000 camion all’anno trasportati attraverso il servizio AFA e tolti dalle direttrici stradali, i contributi nazionali di Italia e Francia per la gestione del servizio sono stati sospesi nel 2023 (Ministero dei trasporti guidato da Matteo Salvini), a riprova di quanto le politiche economiche e dei trasporti abbiano scarso interesse al trasferimento modale del trasporto merci dalla strada alla ferrovia, altro presupposto strombazzato a giustificazione della NLTL.

Le “informazioni scarse e inadeguate” hanno quindi “inciso in modo significativo sui processi democratici, sia sulla definizione dell’interesse generale (sacrificabile a favore di interessi particolaristici), sia sui processi decisionali e sulla partecipazione agli stessi (che deve fondarsi su informazioni attendibili)”. Anche il ricorso alla giustizia amministrativa o ordinaria del Movimento No Tav per ottenere risposte e tutele (ricorsi, esposti, denunce) ha svelato una fortissima cointeressenza delle istituzioni intorno al TAV in Val Susa al punto che la Magistratura ha trasformato l’accusatore nella sua nemesi. L’esposto, presentato nel 2013 dal presidente di Pro Natura Piemonte sul pericolo cagionato da una frana attiva incombente sull’area della Maddalena a Chiomonte, è diventato il pretesto per un procedimento penale nei confronti dei ricorrenti per “procurato allarme”!

La restrizione dell’area di manifestazione e la non tutela di alcuni diritti fondamentali hanno determinato, secondo la requisitoria del TPP, una “elevata e talora aspra conflittualità”, che ha determinato risposte istituzionali oltre “la soglia fisiologica del mantenimento dell’ordine democratico e dell’equilibrato perseguimento dei reati”, inducendo per modalità, distorsioni o eccessi, significative violazioni di diritti costituzionalmente garantiti quali quello alla circolazione, alla manifestazione e all’espressione del pensiero.

Tenere la collettività all’oscuro delle decisioni e delle loro conseguenze, modificare, mentendo o distorcendo le informazioni sulla grande opera, delegittimare le domande provenienti da un’opinione pubblica giustamente allarmata e criminalizzare il dissenso erano i tratti comuni di “uno stato di eccezione, di un modus operandi” che accoglieva la progressiva istituzionalizzazione del sistema economico e finanziario internazionale e che accettava l’instaurazione di un sistema di regole parallele, alle quali piano piano ci si piegava e ci si adeguava. Affermazioni propagandistiche e prive di fondamenti oggettivi e scientifici quali “Treno ad alta velocità, si deve fare, costi quel che costi”, “il progresso non va fermato”, “il TAV come occasione per sviluppare strumenti sociali, economici e culturali capaci di unire territori e generazioni”, avevano creato un “anti-modello” e motivato le severe raccomandazioni del TPP rivolte ai promotori della NLTL.

Se già nel 2015 erano le ragioni economiche delle lobbies ad imporsi e a indirizzare scelte, strategie e investimenti verso l’unico obiettivo della crescita economica, è ancor più evidente oggi che a venir meno sono le ragioni di quella parte di società che accetta di veder sacrificati beni comuni e “valori di più lungo periodo”. Altre collettività, altre comunità sono invece diventate, usando le parole del TPP, quelle “sentinelle che lanciano l’allarme”, costantemente in grado di smascherare e opporsi a quelle “violazioni del diritto che possono avere un grave impatto sociale ed ambientale”.

Smascherando l’anti-modello globale delle grandi opere il Tribunale Permanente dei Popoli riconosceva al Movimento No Tav “la legittimità, il vigore e la qualità di una lotta che riflette la coscienza etica dell’umanità, una coscienza che le permette e le dà la possibilità di vivere in pace con sé stessa e con la natura”. “Ovunque vi sia un territorio, in Val di Susa come in America Latina, minacciato da una grande opera, si assiste alla devastazione ambientale, alla distruzione delle specificità sociali, culturali, economiche, all’irreparabilità del danno e al deturpamento dell’utilità pubblica”.

A tutt’oggi il popolo No Tav non ha mai tradito quell’esortazione del TPP a continuare nell’impegno di sorveglianza, intensificando anzi la sua solidarietà e la sua indignazione di fronte all’ingiustizia e (riprendendo le parole pronunciate dieci anni fa da Nicoletta Dosio) affermandosi in resistenza.

Perché resistere non è solo un diritto. È un dovere dell’amore.

(NdR: per una dettagliata ricostruzione della quattro giorni del TPP, dal 5 all’8 novembre 2015, e delle varie fasi del processo istrutturio che culminò con il pronunciamento della sentenza al Teatro Magnetto di Almese, si rimanda a questo link del Controsservatorio Valsusa, che riporta anche tutti gli interventi: