Riportiamo un articolo di DiogeneNotizie sull’eradicazione della povertà estrema nello Stato indiano del Kerala, guidato ormai da anni da un governo comunista. E’ il primo stato indiano a dichiarare sconfitta la povertà estrema.

Mentre India e Pakistan si stringono la mano – o meglio, allentano il pugno – con un nuovo cessate il fuoco, e i titoli parlano di tensioni nucleari, equilibri strategici, scenari di guerra, in un angolo meridionale dell’India va in scena una storia completamente diversa. Qui non si mobilitano eserciti, ma dati. Non si schierano droni, ma medici. Non si costruiscono arsenali, ma scuole e ospedali.

Benvenuti in Kerala, lo Stato indiano che non alza la voce, ma abbassa la povertà. Il luogo dove il potere si misura non con la forza militare o il dominio mediatico, ma con la capacità concreta di migliorare la vita delle persone. In un Paese guidato da un nazionalismo crescente, il Kerala rappresenta un’anomalia, forse una provocazione, di certo una possibilità.

Un altro volto dell’India
L’India non è un monolite. È un continente più che uno Stato. Con oltre 1,4 miliardi di abitanti, 22 lingue ufficiali, religioni diverse e forti squilibri tra nord e sud, ricchi e poveri, caste alte e basse. In questo mosaico complicato, il Kerala è sempre stato un tassello particolare. Un piccolo Stato costiero affacciato sull’Oceano Indiano, 34 milioni di abitanti, poco più della Polonia.

Ma soprattutto: il più alto tasso di alfabetizzazione del Paese (96%), una delle aspettative di vita più alte dell’Asia, un tasso di mortalità infantile paragonabile a quello europeo, una sanità pubblica funzionante e un’attenzione sistemica al benessere sociale. Sembra poco, ma in un contesto dove anche respirare è spesso una questione di reddito, è rivoluzionario.

Contro ogni previsione: comunisti al governo
La particolarità più grande? Il Kerala è governato – democraticamente – dal Partito Comunista Indiano (Marxista), in alleanza con altri partiti della sinistra. Un’anomalia globale: comunisti eletti e rieletti in libere elezioni, che governano con pragmatismo e risultati.

Non c’è culto della personalità, né nostalgia rivoluzionaria. C’è una visione socialista applicata alla realtà indiana, fatta di riforme agrarie, partecipazione locale, servizi pubblici e lotta alla povertà. Una sinistra amministrativa, attenta, comunitaria, che ha saputo farsi scegliere dai cittadini non per ideologia, ma per risultati.

Sradicare la povertà estrema: il piano EPEP
Nel maggio 2025, il governo del Kerala ha annunciato che entro l’anno lo Stato sarà libero dalla povertà estrema. Non uno slogan, ma un obiettivo fondato su dati, pianificazione e partecipazione civica.

Nel 2021 è partito il Progetto per l’Eradicazione della Povertà Estrema (EPEP). In un Paese dove spesso i dati servono solo a coprire le inefficienze, qui si è fatto il contrario: dati per agire. Sono state identificate, con metodo partecipato, 64.006 famiglie in povertà estrema. L’81% vive in zone rurali. Molte senza casa, senza cure, senza lavoro.

“Along the backwaters of Kerala.” by ravalli1 is licensed under CC BY-NC 2.0.

Ogni famiglia ha avuto un piano personalizzato: cure mediche gratuite per chi affronta emergenze sanitarie; kit alimentari e aiuti immediati per chi non ha accesso al cibo; alloggi temporanei per chi vive in condizioni abitative precarie; supporto per l’avvio di attività economiche autonome, con il coinvolgimento di cooperative locali; istruzione garantita per i figli, in modo gratuito e pubblico.

Il frutto di una storia politica coerente
Questo non nasce da un’intuizione recente, ma da decenni di scelte strutturali. Il Kerala ha abolito le grandi proprietà terriere, ha redistribuito la terra, ha investito nella sanità e nella scuola pubblica, ha puntato sulle autonomie locali, ha costruito reti di donne organizzate (come il programma Kudumbashree, con 4,5 milioni di aderenti). Ha fatto tutto quello che si considera “impossibile” nel Sud del mondo – e l’ha fatto con continuità. Il risultato è un modello che non elimina la povertà da solo, ma la combatte davvero. Lo fa con i mezzi della politica, non con le elemosine o gli appalti alle multinazionali.

Modi e il Kerala: due idee d’India
Nel frattempo, a Delhi, Narendra Modi concentra potere, risorse e immaginario nazionale in un progetto completamente opposto: religione, controllo, grandezze simboliche. L’India ufficiale si racconta con statue colossali, eventi religiosi oceanici, propaganda patriottica. Lo Stato costruisce autostrade e templi, ma lascia indietro milioni di persone. E soprattutto, soffoca il dissenso, taglia i fondi alle università autonome, accentra le decisioni.

Il Kerala è tutto ciò che Modi non è. Decentrato, laico, egualitario, popolare. È uno Stato che parla poco, ma che fa. Dove i cittadini votano la sinistra non perché sogna la rivoluzione, ma perché migliora la vita.

Il potere del possibile
In un mondo in cui il Sud globale viene spesso descritto come destinato all’arretratezza, il Kerala rompe il frame. Dimostra che il cambiamento non dipende dalla ricchezza, ma dalla volontà politica. Che non servono miracoli, ma buone decisioni, partecipazione popolare e continuità amministrativa.

E mentre l’India celebra la pace militare con il Pakistan, forse dovrebbe guardare con più attenzione a quella pace quotidiana che il Kerala costruisce tra i suoi cittadini, riducendo le disuguaglianze, proteggendo i fragili, restituendo dignità a chi è stato dimenticato.

Il Kerala non fa notizia come un missile o una parata militare. Ma sta vincendo la guerra più importante di tutte: quella contro la miseria. E lo fa senza bisogno di sparare un colpo.

“Annual Ritual of Colourful Thanksgiving….. Scene on a Street in Rural Kerala …” by -Reji is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.

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