La campagna elettorale “Zohran for New York City” è in dirittura d’arrivo. Martedì 4 novembre è la data ufficiale in cui i cittadini dei cinque distretti (Bronx, Brooklyn, Manhattan, Queens e Staten Island) sono chiamati a esprimere la propria preferenza su chi vorranno come sindaco per i prossimi quattro anni. Lo scorso aprile il giovane socialista Zohran Mamdani ha sorpreso tutti, soprattutto la vecchia guardia democratica, sbaragliando gli avversari alle primarie e stabilendo il record di distacco in punti percentuali dal secondo candidato (Andrew Cuomo). A Zohran piace correre. Apprendo che era solito fare jogging e ha per ben due volte partecipato alla maratona di NYC, riuscendo pure a migliorarsi di qualcosa.
Che sia stata la sua attitudine alla competizione sportiva, l’idea di chiamare questo ultimo fine settimana di propaganda elettorale porta a porta “New York canvassing Marathon”, mentre in contemporanea si svolge la 54th edizione della famosa corsa, è stata una gran bella trovata. L’obiettivo è battere tutti i record e riuscire a contattare più cittadini possibile. Sabato, il primo giorno di tour de force, si è stabilito il primato di bussare a 103.000 porte in ventiquattr’ore; domenica si vuole raddoppiare il numero. Per far ciò il canvas inizia alle nove del mattino e termina alle nove di sera; ogni tre ore ne parte uno costituito da quante più coppie possibile di volontari. Nei vari centri è stata istituita una tenda banchetto, di solito in un’area verde, dove i partecipanti ricevono il materiale e istruzioni pratiche.

Stavolta decido di rimanere nel mio quartiere (Bed-Stuy)e mi reco alla tenda di zona. La prima persona che vedo è Isaac (il ragazzo che mi fece da mentore al mio primo canvas un mese fa). È tra quelli sotto la tenda: è impegnato a dare informazioni, cartellette e volantini. Ormai è diventato un attivista professionista, ma appena mi avvicino viene ad abbracciarmi. L’altra volta eravamo ancora tutti in abbigliamento quasi estivo: Isaac in pantaloncini e canotta. Oggi invece fa freddino; indossa un simpatico cappello di lana gialla con la scritta Zohran for NYC in blu e un giubbottone sulle cui spalle spicca una kefiah bianca e nera. In questa mise ha un aspetto decisamente più autorevole e grazie alla sciarpa guadagna un che di nobile. Tutti gli uomini dovrebbero indossare una kefiah; ne acquisterebbero in fascino. In quattro e quattr’otto mi accoppia a Lindsay, che è al suo primo canvas; dunque stavolta dovrei essere io l’esperta, si raccomanda Isaac. Lindsay ed io partiamo alla volta del nostro turf, il territorio che dovremo coprire. Ci è toccata un’area piuttosto lontana; dobbiamo percorrere ben nove isolati. Mentre camminiamo spedite chiacchieriamo. Lindsay mi è subito simpatico: poco più alto di me, non proprio minuto, ma non certo imponente, sembrerebbe un tipo ordinario se non fosse per gli occhi vispi, brillanti e intelligenti e per un non so che di fresco e familiare. Si è trasferito a Brooklyn da quattro anni e mezzo, ma è originario dell’ovest, di Seattle. Viene da una delle città più giovani e creative degli States, dove nacque il movimento no global.
Correva l’anno 1999 quando circa settantamila ragazzi riuscirono a bloccare i lavori dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e accesero la miccia delle proteste che impazzarono in quegli anni. Ovunque si radunassero i big del neoliberismo globalizzato, i famigerati raduni dei G7 e poi G8, accorrevano anche i manifestanti, per lo più pacifici e creativi, a contestarne la legittimità democratico-popolare. È in quegli anni che nacque lo slogan “Un altro mondo è possibile”, sul cui ideale si sono formati gruppi di resistenza civile e nonviolenta, fanzine e network di pensiero rivoluzionario, tante diverse forme di consapevolezza sociale, economica e ambientale di cui possiamo considerarci gli eredi.
A Seattle però c’è anche il Pacifico; vivere accanto a una distesa d’acqua più grande di tutti i continenti messi insieme non ti lascia indifferente – lo so per esperienza personale, ma non è questa l’occasione per parlarne; comunque non posso fare a meno di percepire la freschezza, il guizzo dell’eternamente giovane tipico di quella costa che sento in Lindsay.
Siamo arrivati al nostro turf; basta chiacchierare, ora è tempo di impegnarsi nella corsa. Facciamo del nostro meglio tra campanelli e battenti; il bilancio delle risposte che riceviamo è decisamente pro-Zohran e questo ci rallegra. Sbircio il sito che aggiorna in tempo reale i numeri della maratona; la nostra, non quella sportiva che si è già conclusa ed è stata immancabilmente vinta da due atleti africani. Anche noi ce la stiamo cavando niente male: il record dei 103.000 di sabato è già ampiamente superato. Perché quando ci si mette in tanti, e con passione, si possono fare cose incredibili.










