Sabato 18 ottobre, Milano, piazza dei Mercanti, una bellissima piazza a due passi dal Duomo, una loggia dove una stele ricorda la Resistenza al nazifascismo. Il posto giusto dove leggere i nomi dei 18.000 bambini e bambine palestinesi massacrati a Gaza. Come gruppo “Essere umani a fianco al popolo palestinese” (coloro che da oltre 4 mesi sono in Piazza Duomo a decine e decine per ricordare quello che è avvenuto e continua ad avvenire a Gaza e nei territori occupati) abbiamo deciso di replicare quell’esperienza partita da Bath in Inghilterra e replicatasi già in tante città e paesi.

Alle 7 di mattina diversi di noi allestiscono lo spazio: cartelli, disegni, piccoli fagotti insanguinati, bandiere, lumini, inviti a chi passa a fermarsi e partecipare alla lettura. Cartelli anche in inglese e arabo.

Alle 8 puntuali cominciamo; abbiamo deciso, dopo fitte discussioni, di iniziare leggendo i nomi dei 16 bimbi israeliani morti dal 7 ottobre. Sono importanti, come tutti i bimbi. Ogni vita che si perde, ancor più di un bimbo, è un crimine contro l’umanità, ma è indubbio che la sproporzione salta all’occhio, è impressionante. Letti i primi nomi con la giusta solennità, si inizia, allo stesso modo, con i 18mila nomi stampati su un quadernone. Una pagina a testa; si avvicendano donne e uomini, sforzandosi di pronunciare quei nomi nel miglior modo possibile. Inizialmente siamo indecisi se leggere solo i primi due nomi che appaiono, poi si decidiamo di leggerli tutti, sono a volte quattro, spesso cinque. Sono bambini che hanno diritto a essere ricordati fino in fondo, con i loro nomi e cognomi, la loro età e il loro essere bambine o bambini.

Se qualcuno di noi organizzatori aveva pensato che sarebbe stato poco più che un gesto dovuto, un atto di denuncia, politico, fa in fretta a ravvedersi.

La potenza della lettura di questi nomi irrompe nella piazza, ancora più nel mattino freddo e silenzioso, nel centro di una città che si sveglia a poco a poco. Ogni nome è un macigno. Le lacrime iniziano, si fermano e riprendono, rimbalzano tra chi legge e chi ascolta. Una ventina di persone, in piedi, tenendosi per mano, a volte abbracciati, fermi come statue, ascoltano. Provano a immaginare quello che è successo, viaggiano con i pensieri all’altro lato del Mediterraneo, pensano a questi bimbi di 8 o 9 anni, che giocavano, a questi ragazzi e ragazze di 16 o 17 anni che si affacciavano al mondo adulto, che si guardavano e si piacevano, a questi neonati nelle braccia dei loro genitori, dei loro nonni, luci dei loro occhi.

Il buio. Il sangue. I loro corpi fatti a pezzi, i loro cuori che si sono fermati, i loro occhi chiusi per sempre. Ognuno di loro, un mondo che si è spento. Una voragine che chissà quando sarà riempita, forse mai.

Così sarà per 16 ore filate, nessuna interruzione, un passaggio di microfono, come fosse il testimone di una staffetta che grida, non grida vendetta, ma grida. Qualcuna fatica ad arrivare in fondo, qualcuna è vicina, sostiene, sorregge. La mattinata avanza, la gente passa, molti sono turisti, molti colgono di sfuggita quello che sta avvenendo, ma diversi si fermano, ascoltano, alcuni chiedono di poter leggere e lo faranno, qualche donna araba, qualche uomo arabo leggono quei nomi, facendo vivere a tutti i presenti come venivano davvero chiamati quei figli, anche nostri.

Chi ha organizzato scorre la lista di lettori e lettrici, ma chi chiede di farlo si inserisce, in alcuni momenti si forma una coda composta e silenziosa. È l’emozione di salire quei quattro gradini, di mettersi dietro chi legge, aspettando il proprio turno, infilandosi gli occhiali, prendendo in mano quel righello che scorre per non perdere il filo, schiarendosi la voce, sperando che regga.

Una giornata intera, alcuni di noi staranno lì tutto il giorno, dalle 7 a mezzanotte. Quando è sera si accendono piccole luci sopra il leggio. A tratti l’enfasi nella lettura è tale che dal palazzo di fronte dove si svolge una festa in un discreto lusso, diversi si affacciano, ascoltano, capiscono ciò che si sta facendo dall’altro lato della strada. Due mondi che si sfiorano.

Qualcuno aveva fatto un calcolo sulla “velocità media” di lettura, si ipotizzava di arrivare vicino alla fine. Dopo 16 ore, non si è neppure a metà.

Mezzanotte, stanchi e stanche, una fatica che avvolge chi è rimasto e che ora raccoglie tutto. Lentamente. I fagottini che ricordano quei piccoli corpi vengono riposti con cura e delicatezza.

Poche parole per concludere: la promessa di trovare il modo di leggere i nomi di coloro che non sono stati ricordati e un dolore immenso: “Perdonateci, non siamo riusciti a fermarli.”

Foto di Joseph Fremder e Paolo Calderini.