Quando norme e riti diventano maschere, resta solo il comandamento dell’amore.
Nell’attualità, la contraddizione tra leggi umane e leggi divine si rivela con una chiarezza quasi dolorosa.
Da un lato, i confini marittimi tracciati dalle norme internazionali autorizzano persino l’arresto di volontari che cercano solo di portare aiuto, come nel caso delle flottiglie dirette verso popoli assediati.
Dall’altro lato, lo Yom Kippur, con la sua sacralità rituale, immobilizza un intero paese per invitare alla riflessione, al digiuno, al pentimento.
Due forme di legge che sembrano opporsi: una che giustifica il potere e la forza, l’altra che richiama l’interiorità e la coscienza.
Ma entrambe, se svuotate di verità, rischiano di diventare maschere. Le leggi umane si proclamano strumenti di ordine e di sicurezza, mentre spesso producono ingiustizie, guerre ed esclusione. I riti divini si proclamano vie di riconciliazione, ma se restano prigionieri della forma possono convivere con la violenza quotidiana, senza interrogarla davvero. È qui che l’ipocrisia diventa evidente: quando la norma o il rito si trasformano in alibi, invece che in strade di giustizia.
Che crollino pure dunque! È arrivato il momento!
Il Vangelo, invece, dice senza compromessi: “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questo” (Mc 12,31). È questa la sola legge autentica, la sola che smaschera l’ipocrisia delle altre, la sola che non conosce confini né riti, ma chiede di essere incarnata ogni giorno, nel gesto umano della cura, dell’ascolto, della solidarietà.
Chi non riconosce il volto del Buon Samaritano nella flottilla che attraversa il mare, chi non vede in quell’atto la legge dell’amore, allora si ritiri puro nel silenzio del nulla.










