Nei prossimi 5 anni poco più di 3 milioni di lavoratori italiani (pari al 12,5 per cento circa del totale nazionale) lasceranno definitivamente gli uffici e le fabbriche per andare in pensione. La quasi totalità lo farà per questo motivo, anche se una piccola minoranza non timbrerà più il cartellino per altri motivi, quali il ritiro volontario, la perdita dell’impiego, l’emigrazione all’estero o il passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa.
Di questi 3 milioni, 1.608.300 sono attualmente dipendenti del settore privato (pari al 52,8 per cento del totale da sostituire), 768.200 lavorano nell’Amministrazione pubblica (25,2 per cento) e 665.500 sono lavoratori autonomi (21,9 per cento). Nel giro di qualche anno assisteremo quindi a una vera e propria “fuga” da scrivanie e catene di montaggio.
Un “esodo” mai visto fino a ora, con milioni di persone che passeranno dal mondo del lavoro all’inattività in pochissimo tempo con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per il nostro Paese. Ad evidenziarlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha estrapolato i dati emersi dalla periodica elaborazione realizzata dal Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Le regioni più coinvolte dalla domanda di sostituzione saranno quelle, ovviamente, dove la popolazione lavorativa è più numerosa e tendenzialmente ha una età media più elevata. Al primo posto scorgiamo la Lombardia che sarà chiamata a rimpiazzare 567.700 lavoratori. Seguono il Lazio con 305.000 e il Veneto con 291.200. In coda alla graduatoria notiamo l’Umbria con 44.800, la Basilicata con 25.700 e, infine, il Molise con 13.800 unità.
In termini percentuali questo fenomeno interesserà, in particolare, il lavoro dipendente privato. Tra le maestranze private quelle lombarde saranno le più interessate d’Italia: sul totale regionale da rimpiazzare incideranno per il 64,6 per cento. Seguono quelle dell’Emilia-Romagna (58,6 del totale regionale) e quelle del Veneto (56,5).
I meno coinvolti, invece, saranno i lavoratori dipendenti privati sardi (il 38,5 per cento del totale regionale), i molisani (38,4) e, infine, i calabresi (36,6). In queste ultime regioni, evidentemente, la maggioranza degli addetti da sostituire sarà riconducibile alle categorie dei dipendenti pubblici e dei lavoratori autonomi.
Dei 3 milioni di addetti che entro i prossimi 5 anni lasceranno il posto di lavoro, quasi 2.205.000 (il 72,5 per cento del totale da sostituire) sono occupati nei servizi. Altri 725.900 nell’industria (23,8 per cento) a cui vanno sommati 111.200 (3,6 per cento) occupati nell’agricoltura. In altre parole, a livello nazionale oltre 7 sostituzioni su 10 interesseranno il settore di servizi, con uscite particolarmente importanti nel commercio (379.600 unità), nella sanità pubblica/privata (360.800) e nella Pubblica Amministrazione (331.700). Nell’industria, infine, spicca il numero di rimpiazzi a cui dovrà essere sottoposto il comparto delle costruzioni (179.300).
La CGIA parla di un Paese sempre più vecchio, ove le aziende si “ruberanno” i dipendenti migliori: “Tra qualche anno, si legge nel Report, quando milioni di lavoratori con elevata esperienza e professionalità dovranno essere sostituiti, gli imprenditori, non trovandoli sul mercato, non avranno alternativa. Dovranno contendersi i migliori dipendenti dei concorrenti, offrendo a questi ultimi incrementi salariali significativi. Dando luogo a forme più o meno simili al ricatto, dove i titolari d’azienda e i dipendenti più ricercati cercheranno di prevalere per ottenere il massimo vantaggio personale, spesso in modo poco onorevole”.
In un Paese sempre più vecchio, l’anzianità delle maestranze, sottolinea la CGIA, è un problema soprattutto per gli imprenditori delle regioni più piccole. Ad oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato è la Basilicata (82,7). Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale, come ricordavamo più sopra, è pari al 65,2. Le regioni meno “colpite” da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni fanno comunque i conti con questa grave criticità – sono l’Emilia-Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2).
Qui per approfondire: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2025/08/Sostituzione-dipendenti-23.8.25.pdf.










