La spinta imprenditoriale che ha connotato l’Italia nel recente passato appare ora rallentare. L’Italia tra i Paesi europei si posiziona al secondo posto per numero di imprese attive, dietro alla Francia, ma al terz’ultimo posto per tasso di natalità, ovvero il rapporto tra il numero di attività avviate in un anno rispetto a quelle attive nell’anno precedente. Sono alcuni dei dati della recente terza edizione del rapporto “Italia generativa – Giro di boa”, realizzato dal Centro di ricerca Arc dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, promosso da Fondazione poetica per la Generatività sociale e Genialis, con la collaborazione con Unioncamere.L’imprenditività, si legge nella prefazione del rapporto, rappresenta un indicatore fondamentale della vitalità di una comunità. Essa incarna la generatività sociale, poiché presuppone la capacità di assumersi il rischio dell’iniziativa. Parliamo di generatività sociale per raccontare la possibilità di dare inizio a nuovi processi e a nuove forme sociali produttive di senso, quale contributo libero, originale e migliorativo alla vitalità dei diversi ecosistemi da parte di persone, gruppi, organizzazioni e istituzioni”. E’ generativa una società capace di ricreare continuamente, adattandole al tempo e al contesto, le condizioni più favorevoli alla piena fioritura personale, sociale, economica, culturale, istituzionale.

Nel 2023, come detto, l’Italia è il secondo Paese europeo per numero totale di imprese attive (4.5 milioni circa) dietro alla Francia (5 milioni circa). Osservando il dato relativo alla quantità di imprese attive disaggregato per macrosettore economico (identificato dalla classificazione statistica delle attività economiche – NACE Rev.2), l’Italia si colloca tra le prime tre posizioni in quasi tutti i settori. In particolare, l’Italia si colloca al primo posto:  per numero di imprese attive nel settore manifatturiero (339.881  unità) con uno scarto molto netto rispetto ai Paesi che occupano la seconda e la terza posizione (Francia – 258.300 unità e Polonia – 241.200 unità); per numero di imprese attive nel settore del commercio (circa 991.600 unità) con un divario di quasi 270.000 mila unità rispetto a Francia (secondo posto), di quasi 300.000 unità rispetto alla Spagna (terza) e di quasi 460.000 unità rispetto alla Germania (quarta con 534.000 unità); per numero di imprese attive nel settore alberghiero e della ristorazione (317.500 unità) poco al di sopra di Francia (308.700 unità) e Spagna (298.000 unità); per numero di imprese in attività professionali, scientifiche e tecniche (circa 864.800 unità) con un forte divario rispetto alla Francia in seconda posizione (689.100 unità) e ancora più marcato rispetto alla Germania in terza posizione (479.200 unità).

Tuttavia, il Rapporto evidenzia come le imprese italiane sopravvissute dopo 3 anni dalla loro costituzione rappresentino il 4,4% della popolazione totale delle imprese attive, una quota tra le più basse in Europa, 1,5 punti percentuali inferiore rispetto alla media UE (5,9%). La quota di imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione è particolarmente limitata nei settori: dell’estrazione mineraria (1,7%) e della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (2,6%), mentre è leggermente più elevata nel settore delle attività d’informazione e comunicazione (5,5%); attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (5,9%) e ICT in senso stretto (5,2%), in questi settori il dato italiano è tra i più bassi in Europa. Ci sono poi gli ostacoli che frenano la spinta imprenditoriale e primo fra tutti c’è la paura del fallimento: nel 2023 in Italia il 48,5% delle persone tra i 18 e i 64 anni ha dichiarato di non voler avviare una impresa per timore di fallire, pur percependo buone opportunità imprenditoriali. Un dato superiore a quello della Germania (38,6%), della Francia (40,1%) e della Spagna (46,2%), ma inferiore a quello del Regno Unito (53,2%) e della Grecia (53,16%). Anche sul fronte dell’imprenditorialità giovanile il nostro Paese arranca, collocandosi al penultimo posto in Europa. Soltanto il 5,6% dei giovani tra i 15 e i 30 anni ha già avviato un’attività, mentre il 13% dichiara di essere in fase di avviamento. Ciò che frena l’imprenditorialità giovanile è soprattutto la mancanza di risorse finanziarie: sono il 18,5% degli intervistati ad indicarlo. Ma a frenare i giovani dall’intrapresa sono anche la percezione di non essere presi sul serio dagli investitori, la mancanza di conoscenze o competenze specifiche e le preoccupazioni legate agli aspetti legali e amministrativi. Quanto alle donne, il Rapporto evidenzia come partecipino sempre di più al mondo dell’impresa, ma restano ancora sottorappresentate rispetto al loro potenziale. Se il percorso imprenditoriale è complesso per gli uomini, lo è ancor più per le donne, che devono affrontare barriere culturali, sociali e una minore accessibilità a finanziamenti e reti di supporto.

Nelle conclusioni del Rapporto, tra le altre cose, si legge: “In questa fase storica così critica, l’Italia può scrivere un capitolo inedito: dimostrare che produrre valore economico non è antitetico a creare bellezza e che efficienza numerica e human touch possono coesistere. Non si tratta di tornare al passato, ma di reincarnare lo spirito pionieristico delle origini in forme contemporanee. Il futuro chiede alle imprese italiane di diventare ambasciatrici di un capitalismo umano-centrico, dove il profitto sia misura non solo di efficienza economica, ma di capacità di elevare comunità e paesaggi. Questa non è utopia: è l’unico realismo possibile per un Paese che vuole sfuggire al declino senza tradire sé stesso”.

Qui il Rapporto: https://www.italiagenerativa.it/rig2024/