Nell’intera giornata di ieri, 17 aprile, al Tribunale di Torino si è tenuta l’undicesima udienza del processo d’appello relativo al filone di Casale Monferrato e alla fine del pomeriggio la Corte d’Assise d’Appello presieduta dalla dottoressa Cristina Domaneschi ha pronunciato la sentenza sui numerosi reati, tutti imputati al magnate svizzero Stephan Schmidheiny.
Il verdetto riguarda molteplici accuse presentate dai procuratori della Repubblica – Sara Panelli, Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare – insieme alle parti civili. Sostanzialmente il giudizio verte sulla responsabilità di Stephan Schmidheiny per la morte di 392 persone, lavoratori allo stabilimento Eternit di Casale Monferrato e residenti nei dintorni dell’impianto produttivo.
In specifico, la sentenza stabilisce se lui sia colpevole della “continuativa e massiva immissione di fibre di amianto” all’interno della fabbrica e nell’ambiente intorno ad essa e della “prolungata opera di disinformazione” a cui nell’area è conseguita la “diffusione incontrollata di patologie” di cui “si conosceva la gravità” all’epoca a cui si riferiscono i fatti, cioè dal 1976 al 1986 quando era CEO della multinazionale specializzata nella produzione di cemento-amianto.
Al mattino un difensore di Stephan Schmidheiny, l’avvocato Guido Carlo Alleva, aveva contestato le prove esposte dall’accusa, in particolare le diagnosi di mesotelioma e i dati da cui si evince la correlazione tra l’alto tasso di insorgenza di questa patologia a Casale Monferrato e dintorni e la presenza dell’Eternit nella cittadina. Inoltre il difensore di Stephan Schmidheiny aveva sostenuto che non fosse dimostrabile il nesso causale tra una molteplice varietà di danni ambientali provocati dall’amianto in quest’area, soprattutto quelli provocati dal cosiddetto uso improprio del cemento-amianto e dei suoi residui, e la produzione di eternit nello stabilimento cittadino. In proposito, aveva ricordato che l’inventore del cemento-amianto era stato proprio un cittadino di Casale Monferrato, Adolfo Pietro Mazza.
In realtà, come riscontrabile consultando molte pagine pubblicate su internet, Mazza – che prima di diventare imprenditore era stato un ciclista – aveva cominciato a produrre fibrocemento, o cemento-amianto, dal 1907 dopo averne acquisito la licenza per fabbricare l’eternit brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek.
In effetti la storia dell’Eternit è un complicato intreccio di vicende e narrazioni, alcune suggestive e alcune molto inquietanti. Sorvolando sulle dinamiche in cui lui non è direttamente coinvolto, rileva il fatto che Stephan Schmidheiny è stato il CEO della multinazionale leader mondiale del cemento-amianto succedendo al proprio padre nel 1976 e restando in carica fino al 1986, lo stesso anno in cui veniva chiuso l’impianto sito a Casale Monferrato.
Invece per capire la figura di Stephan Schmidheiny bisogna sapere che dopo le sue dimissioni dall’Eternit ha investito i propri capitali in numerose altre attività imprenditoriali, che ha condotto con successo, in Svizzera e molti altri stati, soprattutto dell’America Latina, dove ha creato la Fondazione AVINA e il VIVA Trust ed è considerato un “pioniere” dello sviluppo sostenibile. Anche che è stato consulente di spicco per gli affari e l’industria alla Conferenza delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) nel 1990 e poi un fondatore del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), di cui è presidente onorario. E che nel 2023 era al 6° posto della top-ten 2023 di Alternative Finance, in cui suo fratello Thomas è classificato 5° e l’ultimo in graduatoria è suo nipote Thomas Jr. Forse proprio considerando questi aspetti della biografia del magnate svizzero si capisce perché all’udienza finale del processo Eternit bis l’avvocato Alleva abbia soffermato l’attenzione della corte giudiziaria torinese sulla valenza del verdetto in merito alla colpevolezza o innocenza dell’imputato facendo riferimento ai valori fondanti lo stato di diritto e ai principi della democrazia e quindi sollecitato i giurati in procinto di giudicarlo ad affrontare la questione sottoposta alla loro valutazione con razionalità, non con “compassione ed empatia per le vittime”.
Il pubblico ministero Sara Panelli ha replicato ribadendo che nel corso delle udienze erano stati ascoltati “i maggiori esperti sul mesotelioma, medici che hanno condotto studi per curare le persone e osservando i casi, che sono uomini e donne in carne ed ossa, non delle ipotesi” e che le vittime delle attività e azioni di cui aveva accusato Stephan Schmidheiny responsabile sono “392 esseri umani con il peso della propria storia di vita determinata dalla loro situazione, cioè dalla condizione di lavoratori all’Eternit di Casale Monferrato e abitanti nella città e i suoi dintorni”.
In seguito la giuria componente la Corte d’Assise d’Appello presieduta dalla dottoressa Cristina Domaneschi si è riunita per formulare la sentenza, che ha pronunciato nel tardo pomeriggio.
Il testo del verdetto comincia con l’elenco dei reati di omicidio colposo da cui l’imputato è “assolto”.
Al sentir pronunciare la parola “assolto” e i nomi delle vittime associati all’elenco di reati giudicati estinti per prescrizione e, soprattutto, perché “il fatto non sussiste”, il pubblico presente in aula ha rabbrividito.
Ma la pena comminata, 9 anni e 6 mesi di reclusione, per i reati di cui Stephan Schmidheiny è stato giudicato colpevole e la determinazione degli importi delle provvisionali e delle spese processuali spettanti alla procura della Repubblica e alle parti civili invece sono un’inequivocabile condanna.
In particolare, le somme dovute alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e alla città di Casale Monferrato ammontano, rispettivamente, a 500 mila euro e 5 milioni di euro e il presidente del Consiglio Comunale della cittadina, Giovanni Battista Filiberti, ha dichiarato che tale importo è soddisfattivo e commisurato all’impegno profuso dall’istituzione cittadina per affrontare molteplici problemi e difficoltà.
Un referente dell’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto di Casale Monferrato, Bruno Pesce ha osservato:
«Questa sentenza va ascoltata attentamente: c’è un ridimensionamento della condanna, comunque la conferma della colpevolezza. Giustizia è fatta, magari non come lo si poteva immaginare, però finalmente c’è una conferma, che è molto importante, della colpa, cioè della responsabilità».
Il pubblico ministero di Torino Gianfranco Colace ha spiegato:
«Il nostro appello puntava a chiedere di riconoscere il dolo in capo all’imputato. La Corte d’Appello ha confermato l’impostazione che aveva dato la Corte d’Assise di Novara e siamo soddisfatti. Questa sentenza infatti conferma i punti basilari dell’accusa, cioè che l’imputato fosse il vero responsabile, che vi fosse un inquinamento, un’esposizione incontrollata di amianto sia all’interno dell’ambiente di lavoro che fuori, e che ciò ha comportato la morte di un numero considerevole di persone».
Un altro difensore di Stephan Schmidheiny, l’avvocato Astolfo Di Amato, ha commentato:
«Attendiamo la motivazione della sentenza, che studieremo, perché già da adesso siamo certi che presenteremo il ricorso in Cassazione».
Stephan Schmidheiny invece non si è espresso. Come in ogni vertenza svolta in Italia in merito alle questioni che coinvolgono titolari e manager della multinazionale Eternit di cui dal 1976 fino al 1986 lui era il CEO, non è mai stato presente a nessuna delle udienze del processo e nemmeno al pronunciamento della sentenza.
Ovviamente il verdetto non gli sarà piaciuto, ma siccome i suoi legali lo impugneranno alla Cassazione e con il passare del tempo tra lo svolgimento della pratica e del procedimento potrebbero scadere i termini entro cui i reati possono venire giudicati e la cui prescrizione annullerebbe gli effetti pratici della condanna, il magnate cittadino svizzero che risiede in varie amene località del mondo in cui possiede dimore e terreni, sicuramente non è preoccupato delle conseguenze immediate e nel medio o lungo termine della sentenza pronunciata dalla giuria italiana.
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