L’Italia è storicamente caratterizzata da un forte divario tra Nord e Sud, con quest’ultimo che resta in costante ritardo nei confronti delle regioni settentrionali. Le disparità territoriali in termini di reddito e occupazione sono profonde e persistenti in tutta Europa. In diversi Stati membri dell’Unione Europea si registrano infatti crescenti disuguaglianze regionali, ma la performance risulta particolarmente negativa. Negli ultimi vent’anni, le regioni italiane, e in particolare quelle economicamente meno avanzate, non hanno mostrato alcun processo di convergenza verso la media dell’Unione Europea. Tuttavia, negli ultimi anni qualcosa è cambiato nelle dinamiche socioeconomiche territoriali ed è cresciuta nel tempo la consapevolezza che non siamo più di fronte ad un’Italia settentrionale monolitica e ad un Mezzogiorno omogeneamente arretrato. Già nel 2021, grazie ad un primo studio della sede italiana della Friedrich-Ebert-Stiftung, dal titolo “Italia diseguale” e messo a punto da Francesco Prota, si erano definite “Quattro Italie” con differenti livelli di sviluppo e all’interno del Sud “Tre Mezzogiorni” con diverse potenzialità inespresse. Quel lavoro di ricerca aveva evidenziato come diversi territori del Nord Italia presentassero molte sfaccettature e talune diversità strutturali, che li rendevano “simili” a zone del Centro e del Sud. Nel contempo, aveva sottolineato quanto diversi fossero i livelli di industrializzazione, innovazione, squilibri demografici e investimenti, a seconda del cluster di riferimento. La Fondazione Friedrich-Ebert-Stiftung (https://italia.fes.de/it/index.html) ha ora commissionato a Francesco Prota e a Lorenzo Cicatiello un nuovo rapporto, dal titolo “Italia (ancora) diseguale” che offre un’analisi dettagliata delle disparità territoriali a scala subregionale e identifica ben “Cinque Italie”, ognuna con caratteristiche economiche e sociali peculiari.
Le province incluse nel primo cluster sono quelle con le migliori condizioni socioeconomiche: le province con le grandi città del Centro-Nord (Bologna, Firenze, Milano, Roma, Torino), e quelle con poli industriali e innovativi di antica tradizione (Modena, Parma, Pisa, Pordenone, Reggio Emilia, Rimini). La maggior parte delle variabili sono al di sopra della media nazionale: il tasso di occupazione medio arriva quasi al 70%, i salari sono molto elevati e c’è una forte tendenza all’innovazione, come testimoniato dalla elevata propensione alla brevettazione. “Questa Italia” mostra anche valori elevati per offerta e patrimonio culturale, oltre che grande capitale civico e partecipazione. Il saldo migratorio nettamente al di sopra della media nazionale suggerisce che le province incluse in questo cluster sono attratti ve per i residenti in altre regioni. Tuttavia, questa dinamica comporta una pressione sul mercato immobiliare (i prezzi delle case sono i più alti osservati) e sulla disponibilità di medici. Il secondo cluster include province del Nord (principalmente in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige) a forte vocazione industriale e manufatturiera. In queste province il tasso di occupazione è molto alto, così come gli stipendi e l’innovatività della produzione. Tuttavia, a differenza del primo cluster, questa innovazione non sembra essere supportata da fondamenta particolarmente solide dal punto di vista del patrimonio culturale: il numero di librerie è il più basso tra tutti i cluster, il patrimonio museale e l’offerta culturale sono al di sotto della media nazionale. Il valore del differenziale di genere suggerisce una dinamica piuttosto conservatrice anche sul mercato del lavoro. Il terzo cluster include le province di Liguria, Umbria, Marche, Val d’Aosta, nonché alcune province della Romagna, del Piemonte e della Toscana. In più, include Pescara e Cagliari. Le province in questo cluster esprimono va lori vicino alla media nazionale per i principali indicatori economici e del mercato del lavoro: i salari sono poco distanti dalla media nazionale, il tasso di occupazione è più elevato e ci sono meno NEET rispetto alla media nazionale. Il quarto cluster include le province di Lazio (Roma esclusa), Abruzzo (Pescara esclusa), Molise, Basilicata, e le province di Benevento, Avellino, Bari, Brindisi, Lecce, Catanzaro, Ragusa, Oristano, Nuoro e Sassari. Queste province sono collocate per lo più al Centro-Sud, in aree geografiche che potenzialmente fungono da “ponte” tra panorami socioeconomici diversi. L’ultima Italia include le province di Caserta, Napoli, Salerno, Barletta-Andria-Trani, Foggia, Taranto, le province calabresi eccetto Catanzaro, quelle siciliane all’infuori di Ragusa, e la provincia del Sud Sardegna. Alcune di queste province sono storicamente tra le più povere in Italia. Anche la fotografia proposta dall’analisi suggerisce che queste aree si caratterizzano per una spiccata povertà reddituale. Il tasso di occupazione è ben al di sotto della media nazionale, caratteristica che si accompagna a un alto tasso di NEET.
“In sintesi, le Cinque Italie che emergono dalla nostra analisi, scrivono Prota e Cicatiello nel rapporto di ricerca, ci restituiscono, plasticamente, l’immagine di un Paese profondamente diseguale al suo interno. È, quindi, fondamentale che il tema delle disuguaglianze territoriali riceva un’attenzione molto maggiore da parte delle forze politiche progressiste, se si vogliono contrastare i movimenti populisti di destra e ricucire un rapporto, che si è spezzato, con quei cittadini che sperimentano disuguaglianze nei diritti o che percepiscono una disuguaglianza di riconoscimento delle proprie esigenze.”
Qui la pubblicazione della Fondazione Friedrich-Ebert-Stiftung: https://italia.fes.de/it/news/italia-ancora-diseguale-nuova-pubblicazione.html.










