Per molti, in Turchia, il momento simbolo delle storiche elezioni amministrative del 31 marzo scorso è stato il discorso di Ekrem İmamoğlu, eletto per un secondo mandato come sindaco di Istanbul, di fronte ad una piazza gremita di gente festante e bandiere rosse.
A una buona parte del Paese – quella del Sud-Est a maggioranza curda -, invece, resterà probabilmente impressa piuttosto l’immagine dei cittadini di Van che, armati di scopettone e sapone, puliscono metaforicamente le strade cittadine dall’amministrazione AKP durata otto anni.
Una scena simbolica, giunta al termine di infuocati giorni di conflitti politici, controversie legali e violenze di piazza, che è tuttavia solo l’ennesimo capitolo del lungo scontro fra lo Stato centrale e le amministrazioni locali curde.
I fatti di Van
Nella città di Van – 500mila abitanti, a un centinaio di chilometri dal confine con l’Iran -, le elezioni di marzo hanno determinato la vittoria alle urne del candidato del partito pro-curdo DEM, Abdullah Zeydan, che ha ottenuto il 55% delle preferenze.
Proprio nelle ultime ore utili prima dell’inizio delle votazioni la corte di giustizia di Diyarbakır, su indicazione diretta del ministero della Giustizia, ha tuttavia revocato i diritti civili di Zeydan, adducendo come motivazione la condanna subita dall’allora parlamentare nel novembre del 2016 per vicinanza ai gruppi armati curdi e per la quale ha trascorso quasi sette anni in carcere.
Dopo lo spoglio, la Commissione Elettorale Provinciale di Van, appellandosi alla decisione della corte, ha dichiarato l’irregolarità della candidatura di Zeydan e ha offerto la carica al principale rivale, il candidato dell’AKP Abdulahat Arvas, che aveva ottenuto solamente il 27% dei voti.
A seguito della decisione della Commissione, migliaia di persone sono scese per le strade delle città del Sud-Est, gridando al golpe elettorale: a Van, in particolare, si sono svolte le proteste più violente, come testimoniano numerosi video circolati sui social.
I media locali parlano di diverse centinaia di persone rimaste ferite negli scontri fra manifestanti e polizia; quasi altrettanti gli arresti. L’opposizione alla decisione ministeriale è salita anche dai ranghi delle forze politiche di opposizione, dai dirigenti del DEM allo stesso İmamoğlu, che ha chiamato ad una reazione unitaria contro una decisione “che ignora la volontà del popolo di Van”.
Il 4 aprile, tuttavia, il Consiglio Elettorale Supremo ha inaspettatamente riconfermato la validità della candidatura di Zeydan e dunque della sua nomina a sindaco. Le strade di Van si sono nuovamente riempite di gente, questa volta festante per il “risultato della resistenza del popolo curdo” che ha portato alla fine dell’amministrazione dei fiduciari governativi. Un traguardo che ha trovato rappresentazione metaforica nella pulizia dell’ambiente urbano provato da giorni di scontri e gioia popolare in cui si sono impegnati gruppi di cittadini volontari a seguito delle celebrazioni.
Irregolarità diffuse
Benché l’episodio di Van abbia sicuramente avuto maggior risonanza per dimensione delle proteste ed eco internazionale, non si è trattato di un caso isolato: in tutta la regione sudorientale si sono susseguiti diversi episodi di irregolarità elettorali di vario genere.
Il DEM ha infatti denunciato lo spostamento di quasi 47.000 fra soldati e forze di polizia in una trentina di località dove il partito pro-curdo era dato in vantaggio al fine di alterare il risultato delle elezioni. In 12 di queste municipalità (fra cui i centri medio-grandi di Şırnak e Kars), il numero di votanti “esterni” – soldati o poliziotti – è stato maggiore dello scarto fra l’AKP e il DEM, arrivato secondo, rivelandosi quindi un fattore determinante nella vittoria del partito di Erdoğan.
Sia i rappresentanti locali del DEM che quelli del CHP (Partito Repubblicano) hanno parlato di “furto della volontà popolare” ed “elezioni illegali”, documentando l’afflusso di soldati ai seggi. Paradossalmente, tale pratica rientra nel quadro legale della legislazione turca, la quale prevede che le forze di sicurezza possano votare nel luogo dove sono state poste di stanza.
Similmente a quanto accaduto a Van, in altre tre località il risultato elettorale del 31 marzo è stato annullato dalle autorità giuridiche. Sia a Hilvan che a Halfeti (Sanliurfa), diversi gruppi di individui sostenitori dell’AKP hanno fatto irruzione nei seggi elettorali, nel primo caso bruciando due urne, nel secondo malmenando i funzionari e votando in massa. In entrambe le cittadine, a seguito della vittoria del DEM, l’AKP si è appellato alla Commissione Elettorale Provinciale denunciando le irregolarità avvenute: ricorso accolto dalla Commissione, che ha indetto nuove elezioni per il 2 giugno prossimo. A Bitlis, dove il candidato AKP ha vinto per soli 198 voti, la Commissione locale ha invece negato il riconteggio delle schede nonostante il sospetto da parte del DEM che più di 2000 voti non fossero validi.
I precedenti
Se per il resto del Paese sono state un momento di eccezionale cambiamento, le scorse elezioni legislative – e le irregolarità emerse – per il Sud-Est hanno rappresentato una continuazione dello scenario ordinario. A partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza successiva al colpo di Stato del 15 luglio 2016, infatti, lo Stato turco ha progressivamente provveduto alla rimozione dei sindaci dell’HDP (predecessore del DEM) indagati per vicinanza alle milizie irregolari filo-curde e alla loro sostituzione con fiduciari (kayyum) nominati dal governo.
Secondo un report dell’HDP, dal 2016 al 2018 sono stati infatti destituiti 95 amministratori su 102; 93 di essi sono stati arrestati. In seguito alle amministrative del 2019, poi, su un totale di 65 municipalità conquistate dall’HDP, in 48 i sindaci eletti sono stati sostituiti da un fiduciario e in altre sei l’elezione è stata invalidata dal Consilio Elettorale Supremo (YSK) – similmente a quanto accaduto a Van qualche settimana fa. Degli undici comuni rimanenti, in cinque di essi i sindaci sono stati espulsi dal partito, portando così il totale delle municipalità controllate dall’HDP a sei.
La rimozione dall’incarico di un amministratore eletto avvenuta a Van, pur nella sua eccezionalità, rappresenta tuttavia solamente l’ennesima tappa di una serie storica iniziata otto anni fa e che trova giustificazione nel quadro legale dei decreti-legge emanati durante lo stato di emergenza post-golpe. Se la marea rossa che ha conquistato Istanbul, Izmir, Ankara è stata letta da molti come il segno della rottura del dominio ventennale dell’AKP del reis Erdoğan, difficilmente quella giallo-verde-rossa che ha invaso le strade di Van potrà avere un carattere tanto eccezionale per un regione dove la pratica elettorale è stata troppo spesso svuotata di significato. Ma i fatti di Van rappresentano sicuramente un segnale di novità.