Trascrizione del discorso di Enrico Peyretti alla duecentesima Presenza di Pace
Oggi 27 dicembre 2025 sono duecento sabati di seguito che, dalle 11 alle 12, come in molte altre piazze d’Italia, da prima dell’aggressione russa, cioè da quattro anni, nella regale piazza Carignano di Torino, è qui presente la volontà di pace, il ripudio della guerra, la solidarietà con gli obiettori e i renitenti agli eserciti (che hanno anche parlato collegati qui con noi da Israele, dall’Ucraina, dalla Russia…).
E’ qui presente anche la memoria e la vicinanza di cuore alle vittime civili, come ai soldati morti e nascosti, che gli stati usano come materiale per quel rogo di esseri umani che è la guerra.
Abbiamo sentito, qualche giorno fa, la presidente del governo italiano dire ai soldati italiani in missioni all’estero, che la pace è frutto della forza, delle armi, della deterrenza: cioè la pace sarebbe per lei frutto dell’inimicizia e della minaccia tra i popoli. Ma la minaccia è già violenza, è frattura dell’umanità tra vivi e sotto-vivi.
Purtroppo anche il presidente Mattarella ha detto che le armi non piacciono al popolo ma sono necessarie. Ma non era il popolo il sovrano costituzionale dell’Italia democratica?
Noi ripudiamo questa concezione disastrosa, che lacera la vita comune di tutta l’umanità: è una concezione che rappresenta la volontà di dominio e non rispetta l’universale uguale diritto alla vita, e la vita è ricca di tutte le varietà umane.
Noi invece abbiamo imparato dalla storia, dalla morale universale del reciproco riconoscimento, dalla coscienza presente in tutte le culture, che la pace, cioè la vita di tutti insieme, è frutto del rispetto, dell’intesa, del dialogo, della giustizia, della mediazione e condivisione, del valore delle differenze, e delle istituzioni internazionali per “liberare le future generazioni dal flagello della guerra” (come decisero i popoli nello Statuto delle Nazioni Unite, 1945). Noi, vecchi e giovani, siamo le generazioni protette dal diritto internazionale, dopo il 1945. Noi vogliamo il rispetto totale di questo diritto.
Abbiamo imparato da Norberto Bobbio che la pace peggiore, falsa, e ingiusta, offensiva, è la “pace d’impero”, dove la varietà umana è oppressa e schiacciata, non è lasciata vivere.
Abbiamo imparato che, se uno stato aggredisce un popolo, la migliore soluzione non è rispondere duplicando la guerra e le armi come unica mortifera difesa, ma è anzitutto il dialogo e la comunicazione tra i popoli, la condivisione dei diritti umani, il rispetto di ogni vita, da non uccidere mai, ed è la resistenza nonviolenta, i corpi civili di pace, una Costituzione mondiale.
Se a volte le differenze umane sono difficili da comporre, ben più difficile e dolorosa e disastrosa è la incompatibilità e rivalità violenta, e la violenza che imita la violenza.
Oggi la guerra non ha alcuna tollerabile giustificazione: è massima stoltezza perché è rovina universale. La politica di potenza opprime i popoli, non li difende, ma li depreda, e minaccia l’intera umanità. La nostra protesta non è negativa: è “presenza” di volontà e cultura di vita, sviluppata nei valori umani. E se una potenza è offensiva noi le opponiamo il dialogo di base tra i popoli e le culture, preziose differenze umane, nel diritto e nell’interesse vitale di vivere insieme. Col “nemico” conviene parlare (la “fraternizzazione” dei soldati, Natale 1914), non sparare.
Qui siamo semplici cittadini di fronte a un compito immenso, ma sappiamo che vale l’impegno di pensiero, di volontà, di organizzazione e di politica, che è la pace, atto di riconoscimento e condivisione. Sappiamo che la pace non è impossibile: gli egoismi particolari ci sono, ma la ricerca comune di tutti gli umani è vivere. Ormai vivere è possibile solo nella pace giusta per tutti, nel sottomettere i particolarismi al bene comune, alla vita giusta per tutti i popoli.
La storia umana è oggi al bivio tra la morte nucleare e la vita nella pace. Questa piazza, una tra le tante piazze di pace, ci raccoglie e ci invia all’impegno quotidiano, antico e nuovo, di costruire la pace di tutti.
Abbiamo riascoltato la canzone di Boris Vian: noi siamo disertori civili e politici della guerra.










