C’è in corso una guerra “culturale” portata avanti dalle destre a livello internazionale contro il mondo delle università, della ricerca e più in generale dell’istruzione a cui bisogna rispondere con iniziative e progetti che prefigurano un’alternativa al modello neoliberale basato esclusivamente sulla logica del profitto.
È questo in sintesi il tema trattato il 5 dicembre scorso in una partecipatissima tavola rotonda organizzata da Giuseppe Lipari, della Scuola Normale Superiore e The Alternatives Project, intitolata “Alternative all’istruzione neoliberale”, partendo dalla critica ai processi di riforma portati avanti in Italia negli ultimi anni dalla destra, in ultimo con la ministra Bernini, ma non solo dalla destra.
L’iniziativa, svoltasi all’interno di EPYC (European Palermo Youth Centre) in via Pignatelli Aragona, è stata patrocinata dall’Istituto Gramsci Siciliano ed ha visto la partecipazione fra i relatori di Lorenzo Zamponi, della Scuola Normale e di Jacobin Italia, di Paola Maggio, dell’Università degli Studi di Palermo e delegata per i rapporti con gli istituti penitenziari, e di rappresentanti di associazioni e realtà educative dal basso della città. EPYC, luogo aperto a contaminazioni, come ci ha raccontato Angelo Nuzzo, uno dei responsabili, è una struttura che fa capo all’ARCI e offre spazi per lo studio, il coworking, l’istruzione per i bambini e per iniziative proposte sia da singoli che da associazioni
Con i saluti non rituali, Salvatore Nicosia, presidente dell’Istituto Gramsci, ha sottolineato l’importanza del tema affrontato e la necessità che diventi una priorità della sinistra nell’ambito delle iniziative di contrasto ai processi di privatizzazione dell’istruzione. Giuseppe Lipari, aprendo i lavori e presentando la pubblicazione Education for Societal Transformation: Alternatives for a Just Future, ha ulteriormente sottolineato tale necessità esortando ad uscire fuori dalla logica del requiem e a ragionare di alternative che contrastino la logica del profitto per proporre riforme di sistema che abbiano però un’impronta radicale.
Particolarmente interessante l’esperienza raccontata da Paola Maggio, docente dell’Università di Palermo che si occupa dei progetti presso gli istituti penitenziari finalizzati a far conseguire titoli universitari ai detenuti: ad oggi già ci sono tre laureati fra il Pagliarelli e l’Ucciardone, ma le difficoltà da affrontare sul piano della burocrazia carceraria sono tantissime ed il sistema dei controlli mette a setaccio tutti gli operatori.
Inoltre, il divario fra ciò che viene garantito sulla carta in materia di diritto allo studio (art. 19 dell’ordinamento penitenziario) e la realtà concreta è molto ampio ed i margini di discrezionalità di fatto impediscono che tale diritto venga pienamente tutelato. Paola Maggio cita fra tutti il caso Crisci, divenuto noto a livello europeo, nel quale è stata negata ad un detenuto, che già si era laureato, la possibilità di accedere ad un master in quanto ciò avrebbe determinato una sua maggiore pericolosità. Siamo all’assurdo!
E non va certo meglio nel mondo delle Università dove si registra un calo di 10.000 posti di docenti, una precarizzazione dei rapporti di lavoro che raggiunge il 40% e tagli mirati ai finanziamenti disposti dal governo che costituiscono la vera e propria arma di ricatto nei confronti degli atenei per condizionarne le scelte in funzione del profitto. A parlarne è stato Lorenzo Zamponi che, evocando la guerra culturale all’università, ha richiamato alcuni gravi episodi che testimoniano la forte virata neoliberista che si vuole imprimere al mondo dell’istruzione: in cima a tutti il Defence Summit in cui il ministro Crosetto ha avanzato la proposta di costituire un unico polo fra industria, difesa e università, con ciò confermando l’intenzione di imprimere una direzione fortemente bellicistica al mondo culturale. Questa guerra all’Università, per Zamponi sta funzionando e sta portando sempre più gli atenei a innalzare il livello di precarizzazione e a ricercare fondi dai privati proprio per reagire ai tagli ai finanziamenti; inoltre, occorre dire che il governo dirotta le risorse disponibili in cambio di una sorta di rendimento politico. Zamponi si è soffermato infine sulla questione delle università telematiche sostenendo che il problema non sta tanto nella somministrazione delle lezioni on line, ma nella logica del profitto che sta alla base e che porta ad un progressivo detrimento dell’offerta culturale.
Dopo gli interventi programmati, alcuni operatori di associazioni e realtà educative hanno parlato delle loro esperienze: Filippo Passantino, di “TV Terra matta”, impresa sociale ispirata al romanzo del contadino-scrittore Vincenzo Rabito, ha parlato delle iniziative finalizzate ad accompagnare i ragazzi delle periferie di Palermo (Brancaccio, Zen, Ballarò) nei percorsi di crescita; Lorella Vella, in collegamento da Cagliari, insegnante del CIDI, Centro Iniziativa Democratica Insegnanti, ha sottolineato la mancanza di un vero processo democratico nell’attuazione delle riforme e il mutamento lessicale per cui la scuola non istruisce più bensì forma (con un forte richiamo al lessico aziendale), proponendo di mettere insieme scuola, riviste e associazioni per contrastare questa logica; Federica Terranova, docente e attivista di Legambiente, ha parlato dei progetti Sicilia Carbon Free e Sicilia Munnizza Free.
Anche due giovani studenti hanno portato il loro contributo al dibattito, sia in termini di idee che di iniziative: Davide Raso, studente universitario dell’Associazione Intesa Universitaria, ha ricordato che difendere l’istruzione equivale a difendere la democrazia e la Costituzione, ha proposto un innalzamento della soglia della no tax zone ed equiparato i tirocini formativi ad una forma di dumping salariale; Francesco Gega, studente del Liceo Umberto e membro del sindacato studentesco d’istituto, ha raccontato l’esperienza del mercatino dei libri usati aperto a tutta la città e delle difficoltà incontrate quest’anno a realizzarlo dentro la scuola, al punto di doversi appoggiare alla chiesa vicina.
Fra gli ultimi interventi, quello di Tommaso Baris, docente dell’Università di Palermo e componente del CUIR (Coordinamento Universitario in Rivolta), che ha posto l’accento sulla mobilitazione in atto che vede marciare insieme la Cgil con i sindacati di base attraverso la proclamazione di una serie di scioperi in cui fra le priorità c’è la questione dell’istruzione. Per Baris, è necessario spingere gli organi istituzionali degli atenei a schierarsi contro questa riforma fatta a pezzettini con numerosi provvedimenti poco coordinati fra loro: fino ad ora nessuno di questi organi ha preso posizione, evidenziando con ciò la forte presenza ancora oggi di forme di feudalesimo dentro le università.
A conclusione di questo interessantissimo dibattito, viene da chiedersi se le alternative all’istruzione neoliberale non passano dall’idea più generale di un’alternativa al modello di società e di sviluppo, cioè da una reale trasformazione della società in senso gramsciano: sembra invece che ormai la sinistra, quella cosiddetta storica almeno, abbia abbandonato questa idea per sposare definitivamente il modello delle democrazie liberali fondate sulla logica del libero mercato e della proprietà privata.










