In primavera si terrà un referendum costituzionale senza quorum sulla cosiddetta riforma della giustizia. In sintesi potremmo riassumere il contenuto della revisione costituzionale in quattro punti.
1) La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (PM).
Nella vigente Costituzione in relazione alla magistratura la parola “carriere” non esiste. Nella nuova formulazione dell’articolo 102 Cost. si fa riferimento alle «distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti». Ma l’attuale art. 107 Cost., che in questo punto non viene modificato, recita: «I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni». Di fatto si creano due norme che utilizzano due termini (“carriere” e “funzioni”) con significati non coincidenti.
Attualmente i magistrati in Italia sono circa 8.800: circa 6.600 sono giudici e circa 2.200 sono pubblici ministeri. Negli ultimi anni questi sono i dati ufficiali del passaggio di funzioni da giudice a PM o viceversa. Nel 2019 = 24, nel 2020 = 25, nel 2021 = 31, nel 2022 = 25, nel 2023 = 34. Si tratta della percentuale dello 0,31%. Di fatto le “carriere” sono già separate.
Considerati questi dati, ci si domanda che senso possa avere modificare la Costituzione per una questione quasi inesistente e che comunque si può risolvere con legge ordinaria. Il che – tra l’altro – è già avvenuto, perché la riforma Cartabia (approvata nel 2022) ha posto ulteriori limiti alla possibilità di passaggio di funzioni, che può avvenire per ciascun magistrato una sola volta entro un arco di tempo limitato.
In realtà il testo della riforma costituzionale prevede un’eccezione al divieto di passaggio di funzione. Infatti, il novello art. 106 Cost. stabilisce che «su designazione del Consiglio superiore della magistratura giudicante possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, (…) magistrati appartenenti alla magistratura requirente con almeno quindici anni di esercizio delle funzioni».
Si tratta di una deroga a senso unico: per la Cassazione viene reso possibile il passaggio da PM a giudice, ma non è previsto il percorso inverso da giudice a PM. Non si capisce il senso di tale deroga unidirezionale, che di fatto va a favore dei PM.
2) Lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Attualmente il CSM è l’organo di governo autonomo (e non di autogoverno) di tutti i magistrati (giudici e PM). La riforma crea due CSM separati (uno per i giudici e l’altro per i PM), sottraendo ad entrambi la materia disciplinare, che viene delegata alla neonata Alta Corte Disciplinare (ACD).
Di conseguenza si creano tre Organismi che svolgeranno complessivamente tutto quello che attualmente compete all’attuale unico CSM. Una scelta che evidentemente non va nella direzione della semplificazione e dell’efficienza. Basti dire che l’attuale CSM costa circa 50 milioni di euro l’anno. Si prevede che il nuovo assetto costerebbe almeno il doppio, per svolgere le stesse funzioni. Aumenta anche l’onere per il Presidente della Repubblica, che dovrà presiedere entrambi i CSM, rispetto all’unico attuale.
È evidente che la scelta di stabilire una netta divisione delle carriere tra giudici e PM non implica necessariamente la creazione di due CSM distinti.
3) L’istituzione di una Alta Corte Disciplinare (ACD).
L’istituzione di una ACD sembra illogica per almeno due ragioni:
1) Non si capisce perché l’azione disciplinare venga sottratta alle competenze dei CSM, che continueranno ad occuparsi di tutte le altre questioni: «le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni». In questo modo il sistema di governo della magistratura sarà più frammentato e di conseguenza meno equilibrato.
2) Non si capisce perché è stata creata soltanto una ACD. In coerenza con la scelta di costituire due CSM, sarebbe logico creare due ACD. Per quale motivo la prerogativa dell’azione disciplinare debba essere esercitata congiuntamente da giudici e PM, se le loro carriere e/o funzioni sono assolutamente separate?
Giuseppe Santalucia, già Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha scritto: «I pubblici ministeri presenti nell’Alta Corte si occuperanno degli affari disciplinari dei giudici, e viceversa, quindi saranno i dossier più delicati, quelli disciplinari, a continuare ad essere oggetto di condivisione, senza che venga dato conto del perché ciò non dovrebbe mettere in pericolo la terzietà dei giudici, per come è raccontata dai sostenitori della riforma».
Da notare che mentre nell’attuale CSM sono presenti 15 giudici e 5 PM, rispecchiando nella rappresentanza esattamente il rapporto 3 a 1 dell’effettivo numero dei magistrati (6.600 e 2.200), nell’ACD ci saranno 6 giudici e 3 PM (quindi con un rapporto 2 a 1), di fatto rafforzando la presenza dei PM a discapito dei giudici.
Non solo: mentre nei CSM il rapporto tra magistrati e componenti “laici” è 2 a 1, nell’ACD è 3 a 2. Non si capisce per quale ragione.
Nella composizione della ACD si pone un’altra questione: possono farne parte soltanto magistrati «estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità». In altre parole i magistrati presenti nella ACD sono soltanto quelli della Cassazione. Una decisione che appare poco equilibrata, dovendo giudicare ed eventualmente sanzionare i magistrati di tutti i livelli di giudizio, Cassazione compresa.
La scelta di inserire nella ACD magistrati soltanto di legittimità fa pensare ad una visione gerarchica dell’ordinamento. Come per altro l’introduzione del termine “carriere” potrebbe lasciar intendere. Invece la diversità di funzioni è un criterio di differenziazione non gerarchica dei magistrati.
Nel testo della riforma costituzionale è previsto che «contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata».
Anche in questo caso si potrebbe creare un conflitto tra il ricorso previsto soltanto dinanzi all’ACD (nuovo art. 105 Cost.) e l’art. 111 Cost., che resta invariato: «contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge».
4) La modifica del sistema di scelta dei membri dei CSM e della ACD.
Per la composizione dei 2 CSM e della ACD i magistrati verrebbero scelti per sorteggio e non più eletti. È del tutto evidente che le elezioni, pur considerando gli eventuali difetti delle cosiddette “correnti”, garantiscono una rappresentanza del pluralismo, in questo caso di culture giuridiche. In fondo è ciò che vale per i rappresentanti politici, che vengono eletti in liste di partito.
Il sorteggio pone almeno tre problemi:
1) I sorteggiati non potranno avere la stessa autorevole rappresentanza che hanno gli eletti. Gli eletti rappresentano gli elettori. I sorteggiati si trovano a svolgere un ruolo di rappresentanza che non hanno scelto e per il quale non sono stati scelti.
2) I sorteggiati, essendo scelti dal caso, potrebbero appartenere tutti o in maggioranza soltanto ad una determinata cultura giuridica (o corrente), creando il paradosso che i rappresentanti di una minoranza si trovino nelle condizioni di governare e di sanzionare tutti i magistrati. Si tratterebbe di un governo autonomo non democratico e potenzialmente autoritario.
3) Se il sorteggio vale per i magistrati, che vengono scelti fra tutti quelli in servizio, non si capisce perché i consiglieri “laici”, cioè quelli di nomina parlamentare, non vengano sorteggiati allo stesso modo. Infatti, nei 2 CSM e nella ACD anche i consiglieri “laici” vengono estratti a sorte, ma in una lista precompilata dal Parlamento «mediante elezione». È evidente che il sorteggio tra tutti i magistrati e il sorteggio tra una lista di eletti (di cui non è specificato il numero) dal Parlamento, può essere molto diverso. Inoltre, nella ACD tre componenti sono nominati dal Presidente della Repubblica. Si tratta di una novità assoluta, che al di là di una valutazione di merito, si pone in tendenziale contrasto con la scelta del sorteggio per gli altri componenti.
Da notare la contraddizione tra la già citata norma che consente ai PM di accedere alla Cassazione per “meriti insigni” e la composizione per sorteggio (cioè senza alcun merito) dei CSM e della ACD. Il merito conta o non conta nulla? Nella stessa norma sono presenti idee contrastanti.
Infine, si pone il problema delle regole applicative, che vengono delegate alla normativa ordinaria: «La legge determina gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni, indica la composizione dei collegi, stabilisce le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte e assicura che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio».
Dato che la legge ordinaria viene approvata con la maggioranza semplice, è evidente il condizionamento del Parlamento e/o del Governo in questa materia delicata, che riguarda l’autonomia della magistratura. Inoltre, una norma ordinaria può essere modificata ad ogni cambio di maggioranza politica, con il rischio di una periodica oscillazione delle regole per il funzionamento della ACD.
Considerando le incongruenze presenti nel testo e gli ampi spazi lasciati all’interpretazione, si può concludere che si tratta di una legge di revisione di pessima qualità, che sicuramente non migliora l’attuale Carta Costituzionale.










