Il teatro come immersione nel buio della violenza domestica e nella dignità tragica dell’umano

Emma Dante porta in scena un altro capolavoro, L’angelo del focolare, solo immediatamente
focalizzato su un intreccio di violenza domestica che culmina con l’uccisione di una donna.
La rappresentazione finale a Napoli ci sarà oggi, 14 dicembre, al San Ferdinando. Se ancora
trovaste qualche posto disponibile, non perdete l’opportunità di vedere: “uno spettacolo di
Teatro Teatro”, come ha commentato, con appassionata gravità, uno spettatore.

Teatro al quadrato, è vero!, quello della regista siciliana, che apre il sipario facendo sostare
il pubblico, per alcuni lunghi secondi, in un buio assoluto… quel nero teatrale sulla cruda
verità della miseria umana, che è la firma inconfondibile di Emma Dante.

Un inizio che ricorda un quadro di Caravaggio, La morte della Vergine, forse per la luce
direzionata che si poserà gradualmente sul cadavere della protagonista, come una carezza
di pietà venuta dall’alto.

Mi colpisce la posa scomposta di quel corpo femminile nella resa impietosa alla morte, una
posizione che solo Caravaggio osa dare anche alla Madonna, come fosse una qualunque altra
donna.

Ecco, i grandi artisti sanno convincere che esiste “l’universalità” degli aspetti umani
profondi e che, dunque, una crescita etica parte dal potersi identificare l’uno nell’altro,
anche quando si pensa che esista una differenza abissale tra le persone.

Nel dramma in scena lo spettatore vedrà un loop di quotidianità familiare asfissiante, in cui
la protagonista non può mai né vivere né morire. Costretta a rinascere ogni mattina dopo
essere stata uccisa dal marito, dovrà ripetere sempre lo stesso copione, che la porterà
sempre alla stessa morte.

Ma è qui la grandezza della regìa, che sa infondere in chi guarda il senso tragico della vita:
solo la messa in scena della complessità dei personaggi e dei loro intrecci potrà darci un
margine di speranza. Il fato non si può cambiare, ma possiamo starci dentro con un’altra
autoconsapevolezza e dignità.

Nella scenografia minimalista di un interno domestico si alterneranno suocere e madri,
uomini brutali e mentalmente impotenti, così come donne imbambolate e incapaci di
tutelarsi; rabbia e amore, ingenuità e follia; donne con comportamenti pedanti e
insopportabili e maschi dolci e refrattari alla virilità. Ignoranza. Ottusità.

Un’inesorabile coazione a ripetere schemi disfunzionali di relazione familiare, in cui l’atto
finale e imperdonabile dell’uccisione è il precipitato di un groviglio di patologia.

Per fortuna, almeno in questa realizzazione teatrale, non c’è posto per binomi semplicistici
sull’omicidio di una donna.

Se non si parte da questa etica di sapersi dire verità coraggiose quanto complesse, nessuna
legge civile o educazione sentimentale impartita a scuola potranno mai aiutare a non far
morire la nostra umanità… che viene prima e va oltre ogni differenza di genere sessuale.