Sto piangendo, ma non è commozione; intorno a me vedo specchiato il mio stesso sguardo sorpreso tra la gente che sta indietreggiando. Faccio caso all’odore acre ed al fumo dei lacrimogeni sparati senza risparmio che il vento sta spostando verso di me; mi tiro lo scaldacollo sul naso sperando in qualche effetto ed indietreggio ulteriormente. Poi una preoccupazione profonda riempie tutta la mia attenzione; prendo il telefono, chiamo, per fortuna dall’altra parte qualcuno risponde: “Pronto? Stai bene? Dove sei? Mettiti al riparo. Ti raggiungo”.
In questa maniera sono uscito dal corteo di solidarietà per l’Askatasuna, lo storico centro sociale di Torino sgomberato giovedì mattina come passo fondamentale del delirio di controllo di Governo Nazionale e simpatizzanti vari. Nel corteo fino a quel momento c’era tanta gente: 2000 persone per la Questura, 10000 per gli organizzatori. Non sono bravo in questi conteggi, ma ad occhio mi sembra più verosimile il secondo numero; tra quelle persone ho visto quasi tutti coloro con cui mi ritrovo a fare attività sociale da 25 anni, a partire dall’epoca dei Social Forum e dalle manifestazioni per Genova 2001. Quella di Genova non è una citazione campata in aria: l’atmosfera intorno a questo corteo mi ricorda molto quella di Genova, manganellate e lacrimogeni compresi; se non ricordo male allora c’erano meno idranti, ma la tecnologia per il controllo si evolve.
Gente pacifica, tendenzialmente nonviolenta, che ha trovato giusto interrompere gli acquisti natalizi per abbracciare, con tutti i distinguo possibili, la comunità che si era formata intorno ad Askatasuna: gasati senza pietà anche loro, come a Genova furono prese a randellate le signore che sfilavano contro la globalizzazione. A proposito, la globalizzazione è andata a farsi benedire, non per le motivazioni che i Social Forum di allora avevano così precisamente indicato, ma perché sono cambiati i manovratori e questi hanno deciso che è più facile prendersi con la forza le risorse piuttosto che dare qualche briciola alle economie emergenti, ma questo è un altro discorso.
Gente pacifica, dicevo. Alcuni, dentro ed intorno ad Askatasuna ci sono cresciuti, altri ci sono venuti in contatto nell’attivismo sociale in cui, nel bene e nel male, l’Aska ha partecipato: solo per citare alcuni esempi i Social Forum dei primi anni 2000, il Movimento Notav, fino alla recente attività pro-pal e di denuncia del genocidio dei Palestinesi.
Negli ultimi anni il centro sociale ha fatto un certo sforzo per diventare un punto di riferimento nel quartiere Vanchiglia di Torino e vi hanno trovato sede e rifugio numerosi gruppi di base. Io stesso ho participato ad un’interessante conferenza di Gabriele Proglio sui movimenti contro la guerra in Vietnam degli anni 70 e sono stato invitato per raccontare l’esperienza delle Presenze di Pace nell’area pedonale di via Balbo.
In molti hanno creduto alla possibilità di legalizzare l’esperienza trentennale del CSOA, ristrutturando l’edificio di corso Regina Margherita 47: infatti la sede era sostanzialmente vuota e la polizia avrà faticato non poco a trovare sei persone e due gatti in una palazzina di tre piani: quelle sei persone, ma soprattutto i due gatti, sono state la motivazione ufficiale per interrompere il progetto di collaborazione tra Aska ed il Comune di Torino e togliere l’ultima protezione legale contro lo sgombero. Il resto della struttura necessaria a rendere operativa la decisione (centinaia di poliziotti, chiusura delle scuole, persino i memi del Ministero dell’Interno) era già pronta.
Vedere le scene di guerriglia urbana di ieri per me che credo nelle possibilità infinite della nonviolenza come metodo di azione sociale e nei metodi nonviolenti per la risoluzione dei conflitti è stato devastante; le responsabilità del precipitare di una situazione già complessa non sono però uguali dai due lati del conflitto.
Mi sento a tal proposito di riprendere le parole di Paolo Ferrero, segretario provinciale di Rifondazione Comunista: “Il Governo oggi a Torino ha ottenuto esattamente quello che ha ricercato con determinazione degna di miglior causa: la trasformazione della manifestazione – a cui ho partecipato – e del conflitto sociale in generale in un problema di ordine pubblico.”










