“A chi resiste al cinismo, a chi non distoglie lo sguardo, a chi crede ancora nell’umanità” è dedicata la 20ª edizione del Premio Internazionale Padre Pino Puglisi promosso dall’Arcidiocesi di Palermo e dall’Associazione Giovani 2017 3P, con il patrocinio del Ministro per lo Sport e i Giovani e del Comune di Palermo.
Nel folto gruppo dei premiati di quest’anno (qui l’elenco completo) oltre al Card. Pierbattista Pizzaballa (“Patriarca Latino di Gerusalemme, testimone infaticabile dell’impegno per la costruzione di pace in Terra Santa attraverso il dialogo”) e all’inviata di guerra Lucia Goracci (“per la caparbia determinazione a raggiungere e raccontare l’essere umano laddove la sua dignità viene più drammaticamente calpestata”), figurano anche Maoz Inon e Aziz Abu Sarah che in tanti ormai ben conoscono, da quel bellissimo momento insieme a Papa Francesco per l’Arena di Pace di Verona (maggio 2024), e poi recentemente accolti anche da Papa Leone XIV, oltre che protagonisti di una quantità di seminari, incontri, iniziative in tutto il mondo e soprattutto capofila di quella formidabile coalizione di ben 60 diverse organizzazioni pacifiste, tra Israele e Palestina, che sotto la sigla It’s time ha orchestrato il People Peace Summit il 7/8 maggio scorsi a Gerusalemme.
Imprenditori di successo nell’ambito del cosiddetto “turismo di pace”, Maoz e Aziz si sono veramente incontrati “grazie” al 7 ottobre, quando entrambi i genitori di Maoz Inon sono stati trovati morti nella casa in cui vivevano, a poche centinaia di metri dal muro. Ed è bastato un messaggio di condoglianze da parte di Aziz in direzione di Maoz, che insieme ai fratelli aveva dichiarato il più totale rifiuto a qualsiasi sentimento di vendetta, per decidere di incontrarsi e più che mai impegnarsi in una missione di pace a tutto campo:

Maoz Inon and Aziz Abu Sarah speak at SESSION 1 at TED2024: The Brave and the Brilliant, on Monday, April 15, 2024. Vancouver, BC, Canada. Photo: Ryan Lash / TED
con una prima cliccatissima Ted Conference a Vancouver (nell’aprile 2024, qui il You Tube), passando per quel memorabile incontro all’Arena di Pace di Verona ripreso da tutte le telecamere del mondo, li vede più che mai impegnati “in una rete mondiale per dire che la Pace si Può Fare”, questa la motivazione del Premio che verrà loro conferito durante la Cerimonia che avrà luogo domenica 14 dicembre alle ore 21 al Teatro Politeama Garibaldi di Palermo.
In attesa di incontrarli, ecco qualche stralcio della chiacchierata che abbiamo recentemente avuto con loro on line: Aziz in collegamento dagli Stati Uniti e Maoz dalla sua residenza di Binyamina, poco lontano da Haifa, in Israele.
D. – Di che pace possiamo parlare? Da settimane assistiamo a questo “piano di pace” che continua a mietere vittime, mentre sulla striscia di Gaza si sta scatenando il diluvio universale…
Aziz – Resta valido quanto avevamo pubblicato il giorno dopo l’annuncio dell’avvenuto accordo: “Questo non è un accordo di pace, ma solo di cessate il fuoco”. E questa era solo una parte della nostra critica, che in effetti verteva sul fatto che nessuno di noi, rappresentanti della società civile da tempo impegnati per la costruzione di un futuro di coesistenza tra i nostri due popoli, è stato consultato. E non parlo solo di me e di Maoz, o di qualche altra organizzazione in particolare. Parlo di una realtà in movimento, che per quanto minoritaria esiste, si mobilita, non si arrende. E che senz’altro andrebbe considerata e invece viene regolarmente tenuta ai margini, come se non avesse alcun contributo da offrire in questi negoziati. Per cui che dire: abbiamo preso atto del “cessate il fuoco”, ci siamo augurati che potesse significare almeno un minor numero di morti, come in effetti è stato… ma non ci siamo fatti illusioni. Credo che nessuno che abbia letto quel cosiddetto ‘accordo’ si sia fatta qualche illusione…
Maoz – E però, nonostante i limiti, questo accordo ha rappresentato una minima tregua e credo che tutti noi dovremmo rallegrarci per questo, e intendo proprio dire: ‘tutti noi’. Non solo noi, movimenti israelo-palestinesi convergenti in un progetto di riconciliazione, ma anche voi in Italia, che in centinaia di migliaia siete scesi per le strade in quelle manifestazioni di metà/fine settembre e poi anche dopo, con quella corale solidarietà per la Sumud Flotilla; per non dire di quell’iniziativa di pace franco-saudita mesi prima, che avrebbe dovuto inaugurare il riconoscimento dello Stato palestinese alle Nazioni Unite già da metà giugno, quando purtroppo si era aperto l’ennesimo fronte di guerra con l’Iran… Ma come ben sappiamo il processo di pace richiederà molti passaggi e molto molto lavoro, a livello diplomatico, di governance, policy making, come di comunità di base, nei più diversi forum e assemblee. E registrerà parecchi momenti di pausa e incertezze, e questo sarà il nostro compito: cercare di riempire queste voragini di incertezza con la nostra esperienza, risorse, determinazione ad andare oltre, ad essere più forti del dolore, lutto, scoramento, che potrebbe così facilmente prevalere su ogni speranza.
Questo è ciò che ci motiva, nel lavoro che stiamo facendo: colmare i buchi, con i nostri corpi, le nostre intelligenze, le nostre anime, la nostra capacità di essere in relazione, di raggiungere i cuori e i sentimenti delle platee più diverse. E siamo davvero contenti di essere presto di nuovo in Italia, a Palermo, dove già siamo stati quest’estate: città bellissima, così ricca di calore!
Q – Potete dirci qualcosa circa quella “It’s time coalition” che avevamo visto così attiva tra la primavera e l’estate? Con questo cosiddetto “cessate il fuoco” sembra essere un po’ scomparsa…
Maoz – Quando il 13 ottobre c’è stato il rilascio degli ostaggi, le autorità di Tel Aviv hanno realizzato un’enorme scritta che semplicemente diceva Peace will prevail, La Pace prevarrà, e questa certezza è ciò che ci sostiene. Con Interact, l’organizzazione che abbiamo creato, non ci siamo mai fermati, e a conclusione di un’estate quanto mai “in movimento”, tra varie conferenze in USA, Inghilterra, Francia, Italia, il 21 settembre abbiamo promosso una doppia marcia della pace a Gerusalemme, in cui partendo da due punti opposti della città divisa come sai in zone di influenza, ci siamo trovati a guidare delle vere e proprie processioni, con tantissima gente che ci seguiva; è stato molto bello. E personalmente sono continuamente invitato a parlare all’interno di eventi pubblici, trasmissioni radio e TV, e presto saremo in grado di annunciare il secondo People Peace Summit, di nuovo a maggio, probabilmente di nuovo a Gerusalemme. E questa volta non mancheremo di invitare il maggior numero di capi di Stato.
Aziz – E’ vero che con la restituzione degli ostaggi molti tra coloro che tutte le sere affollavano le manifestazioni di Gerusalemme e Tel Aviv si sono ritenuti soddisfatti: “Siamo riusciti a farli tornare, abbiamo raggiunto l’obiettivo, eccetera…” e molto probabilmente non continueranno a dimostrare per una pace giusta e durevole, che forse non hanno mai desiderato davvero, non essendo veramente pacifisti. Di fatto, nelle settimane successive al cosiddetto “cessate il fuoco”, abbiamo assistito a un tale aumento di violenza in Cisgiordania, con quelle continue aggressioni dei coloni nei confronti dei palestinesi e delle loro terre, proprietà, uliveti, perfino nei confronti dei pacifisti israeliani oltre che internazionali, che quest’anno erano particolarmente numerosi, nel tentativo di fare scudo. Per non dire degli attacchi ai luoghi di culto: una violenza che temo potrà solo peggiorare.
Ma sia sul piano personale che come movimento e più ancora come organizzazione, continueremo a perseguire l’obiettivo che è stato chiarissimo per noi da sempre: evitare di tornare nelle condizioni che hanno preceduto il 7 ottobre. Questa è la consapevolezza che ci motiva, il fatto che niente può considerarsi risolto con il ritorno degli ostaggi. Non è finito un bel niente, non è il momento di metterci il cuore in pace, anzi: è proprio questo il momento in cui, grazie a questo strano “cessate il fuoco”, possiamo intensificare il nostro impegno per una pace degna di questo nome, ovvero fondata su principi di equità e giustizia, e solo così in grado di durare. E quando parlo di equità intendo proprio uguaglianza, a partire dalla considerazione dei nostri morti, quelli palestinesi al pari di quelli israeliani. In quei giorni in cui assistevamo allo scambio degli ostaggi era così evidente questa assoluta disuguaglianza di considerazione, anche da parte della comunità internazionale, nei confronti di quei poveri corpi palestinesi, molti dei quali ancora in manette sebbene già morti, e in generale sprovvisti di identità, storie, nomi. Privi di voce, anche quando vivi: nessuna curiosità da parte dei media verso di loro, nessuna voglia di sapere chi fossero, da che storie provenissero, nulla di comparabile all’attenzione riservata agli ostaggi israeliani. E in questo c’è una tale disumanizzazione da rendere impossibile sperare in un qualche cambiamento in termini di uguaglianza: come possiamo sperare di mettere fine all’occupazione se continuiamo a ritenere i palestinesi così inesistenti? Come possiamo sperare di curare il risentimento che inevitabilmente continuerà a covare nell’animo dei palestinesi?
Questa tendenza a ritenere normale, a dare per scontata questa radicata disuguaglianza è ciò che mi preoccupa, perché ne conosco le conseguenze. Ed è su questo cambiamento di mentalità che Maoz ed io intendiamo lavorare, a partire dalla fondamentale convinzione circa la sacralità di ogni vita, che è al centro del nostro intervento come attivisti, al pari dei Parents Circle, dei Combattenti per la Pace e di decine di altre organizzazioni che si muovono intorno a noi. Questo è ciò che non ci stanchiamo di sottolineare ovunque ci venga offerta una platea.
Maoz – La disumanizzazione dei palestinesi da parte della società israeliana è così profondamente radicata in Israele che in generale la gente non ne è consapevole, incapace com’è di riflettersi nella propria immagine. E precisamente in questo consiste il nostro lavoro, nel fornire quello specchio, quel richiamo di realtà. Dalla nostra capacità di umanizzare i palestinesi dipende la possibilità di riumanizzare anche noi stessi. Una sfida che ci troviamo ad affrontare in ogni momento, per esempio nel caso dei miei figli: due loro amici palestinesi, con cui avevano condiviso il campeggio quest’estate, sono ora detenuti, due adolescenti della loro stessa età, 15 anni… dietro le sbarre. E non voglio dire altro perché potrei peggiorare la loro condizione. Di fronte a simili storie come potremmo metterci in panchina? E’ più che mai urgente lavorare al cambiamento di ogni possibile situazione che possa interferire con un futuro di pace.
Q – Come nel titolo del vostro libro che sta per uscire: The Future is Peace.
Aziz – Precisamente: il titolo dice tutto quel che c’è da dire. E cioè che la pace è qualcosa in cui si crede e che si fa, che si costruisce ogni giorno, con le nostre scelte, azioni, reazioni, relazioni, speranze, gesti. Libro straordinario, mi permetto di dirlo anche se non dovrei (ride), concepito come una bussola di navigazione, strumento di azione, fonte di ispirazione, per chiunque voglia davvero perseguire un futuro di pace e voglia farlo insieme ad altri (e non siamo pochi) uniti nella stessa visione. In che misura la pace possa prevalere dipende davvero da ciascuno di noi, da quanto davvero lo vogliamo. E’ un libro che abbiamo scritto in forma di storia, anzi di viaggio, nell’arco di sette giorni: dentro e fuori Israele, la Cisgiordania, Gaza, che fanno da sfondo ai nostri vissuti personali, oltre che dalle storie attinte dalla mitologia, dalle religioni che si sono intrecciate in questi territori, inevitabilmente dalla Bibbia. Un viaggio che si snoda in questa terrificante attualità, raccontata dai punti di vista più diversi.
Maoz – Il lancio è previsto il 14 aprile prossimo e non vediamo l’ora che arrivi quella data. E’ davvero un libro trasformativo come trasformativo è stato il nostro incontro, e il percorso di consapevolezza che ne è seguito, a partire dalla comune esperienza di sofferenza e perdita che ci ha fatto incontrare. Aziz che aveva perso il fratello in conseguenza delle torture subite in carcere… io che ho perso entrambi i genitori il 7 di ottobre… avremmo potuto essere nemici e invece eccoci insieme, fratelli, in grado di abbracciarci. Mentre lo scrivevamo non riuscivamo noi stessi a credere quante cose in comune potessero avere le nostre storie, famiglie, comunità di appartenenza… un viaggio davvero bellissimo, che vi invitiamo a percorrere insieme a noi.











