Un nuovo presidente e un primo ministro tecnico guidano il Madagascar dopo le proteste giovanili. Tra speranze e dubbi, la Generazione Z teme che le promesse di cambiamento restino vuote.
Le prime reazioni della Generazione Z malgascia sono state tutt’altro che entusiaste. Dopo soli 20 giorni di proteste in piazza, il Madagascar ha un nuovo volto: alla presidenza c’è il colonnello Michael Randrianirina, figura descritta dai suoi pari come un militare rigoroso; al suo fianco, nel ruolo di primo ministro, è stato nominato Herintsalama Rajaonarivelo, economista e manager di lungo corso, collaboratore della Banca Mondiale e presidente del consiglio di amministrazione della Banca Nazionale dell’Industria. Per i ragazzi non è esattamente uno fuori dal coro.
A distanza di poco più di quindici anni, il Madagascar ha vissuto un déjà vu politico. Già nel 2009, durante la rivolta contro Marc Ravalomanana, l’unità d’élite CAPSAT si rifiutò di reprimere i manifestanti e contribuì alla salita al potere di Andry Rajoelina. Oggi, la stessa unità ha nuovamente scelto di non sparare sulla folla, schierandosi con i giovani della Generazione Z: un gesto che ha preceduto la destituzione e la fuga all’estero dello stesso ex presidente Rajoelina.
La scelta di un primo ministro stimato dalla comunità economica internazionale è volutamente una mossa volta a rassicurare, anche se è già scattata la condanna dell’ONU e dell’Unione Africana che ha sospeso il Madagascar dalle sue istituzioni.
Nel frattempo il presidente ex colonnello ha dichiarato che il suo non è affatto un colpo di Stato e che “un colpo di Stato è quando si entra armati nel palazzo presidenziale e si versa sangue”, mentre in questo caso i militari avrebbero “deposto le armi per unirsi alle richieste popolari” e ha insistito sul fatto che la sua nomina è stata approvata dalla Corte Suprema e quindi “segue la procedura legale”.
L’esercito malgascio storicamente ha sempre agito più come un catalizzatore sociale piuttosto che come un conquistatore del potere.
Nel 1972, le proteste studentesche e contadine (le Rotaka) portarono alla fine del regime filo‑francese di Philibert Tsiranana. L’esercito, guidato dal generale Gabriel Ramanantsoa, si rifiutò di reprimere i manifestanti e convinse il presidente a farsi da parte, creando un governo di transizione militare‑civile che aveva la missione di ristabilire ordine e sovranità, senza instaurare una dittatura.
Nel 2002, la crisi elettorale tra Didier Ratsiraka e Marc Ravalomanana paralizzò lo Stato. Solo dopo mesi di tensioni e morti, l’esercito intervenne per “ristabilire la legalità”, favorendo il passaggio dei poteri a Ravalomanana, riconosciuto come vincitore dal popolo.
Nel 2009, la rivolta contro Ravalomanana vide un ruolo centrale dell’unità d’élite CAPSAT, che si rifiutò di sparare sui manifestanti pro‑Rajoelina. Dopo il massacro del 7 febbraio, il suo ammutinamento provocò la caduta del presidente. L’esercito, come nelle crisi precedenti, si presentò come salvatore della nazione e non come usurpatore, consegnando poi il potere a un civile, Rajoelina.
Molti membri del movimento Generazione Z riconoscono al nuovo primo ministro competenza e profilo tecnico, ma lo percepiscono come parte dell’élite economica distaccata dai problemi dei giovani malgasci, che riguardano disoccupazione, precarietà e povertà diffusa. In molti chiedono che le promesse di trasparenza e partecipazione non restino solo promesse del momento.
A due passi dal palazzo presidenziale, riferisce il mensile francese Jeune Afrique, una parte della Generazione Z avrebbe montato la propria sede al primo piano di una pizzeria. Una ventina di giovani cercano di trovare un portavoce del collettivo per poter parlare con una sola voce. Non sarà facile. “Siamo un’organizzazione giovane e orizzontale, di fronte a un’organizzazione militare verticale. Dobbiamo andare veloci” è uno dei commenti più seguiti nella chat di Discord.
Ketakandriana Rafitoson, vicepresidente di Transparency International, che ha avuto un ruolo nell’organizzazione di alcune delle proteste iniziali, e lei stessa malgascia, ha detto all’agenzia Reuters che i colpi di Stato sono sempre indesiderabili per la democrazia, ma in questo caso c’era “un’apparente riluttanza dei leader politici ad affrontare le rimostranze, un’unità armata organizzata era in pratica l’unica istituzione in grado, rapidamente, di fermare lo spargimento di sangue e riaprire lo spazio civico”.
Elliot Randriamandrato, attivista e intellettuale malgascio di 30 anni, è uno dei volti della Generazione Z in Madagascar: “Le ultime settimane sono una mezza vittoria, la vera lotta inizia ora: la nostra principale richiesta è un cambiamento all’attuale sistema politico” ha detto all’AFP. Diverse reti della Generazione Z hanno espresso frustrazione, accusando l’esercito di essersi “appropriato” dei risultati delle proteste popolari che hanno rovesciato l’ex presidente Andry Rajoelina. Molti attivisti parlano di un “tradimento della rivoluzione giovanile”, poiché la promessa di un dialogo inclusivo starebbe cedendo a una gestione verticale del potere.
Nel frattempo Rajaonarivelo ha annunciato l’avvio di un piano nazionale per promuovere l’occupazione giovanile, articolato in incentivi alle microimprese, programmi di apprendistato e partenariati strategici con il settore privato. Il suo esecutivo sarà chiamato a coabitare con l’esercito per un periodo di circa due anni, durante il quale dovranno essere organizzate nuove elezioni generali.
Durante il suo discorso inaugurale di questa settimana il presidente non ha mancato di rendere omaggio “alla gioventù malgascia vittima dell’ingiustizia”, ma – secondo il racconto dei presenti – i dieci posti riservati ad alcuni dei ragazzi protagonisti della rivolta erano tutti in piccionaia, nel bancone sul retro, in fondo alla sala. Un dettaglio che non è sfuggito alla Generazione Z.










