L’Italia vive oggi una duplice emergenza, che rappresenta al tempo stesso un’opportunità: da una parte, un vasto patrimonio di beni immobili confiscati alle mafie che rimane in gran parte inutilizzato; dall’altra, un crescente bisogno di infrastrutture sociali, in particolare nel campo dell’abitare. I dati dell’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati parlano chiaro: oltre 36.000 beni immobili sottratti alla criminalità organizzata dal 1982 a oggi, di cui più di 19.000 ancora in gestione dell’Agenzia, spesso non riutilizzati a causa di criticità strutturali, giuridiche o amministrative. A questi si affiancano migliaia di beni immobili di proprietà pubblica, anch’essi non utilizzati o sottoutilizzati. Allo stesso tempo, l’Italia presenta uno dei più bassi tassi di edilizia residenziale pubblica in Europa (4% contro una media UE del 9%) e un’offerta carente di housing sociale, studentati, residenze per giovani e adulti fragili, soluzioni abitative per l’autonomia di persone con disabilità o con bisogni educativi speciali. Il risultato è un “gap infrastrutturale” che produce esclusione, marginalità e spreco di opportunità. Tuttavia, la rigenerazione di questi spazi può rappresentare una potente leva di coesione e sviluppo territoriale, se accompagnata da politiche pubbliche adeguate, finanza a impatto e protagonismo delle comunità locali. La sfida non è solo quella di restituire immobili alla collettività, ma di farne epicentri di nuova infrastrutturazione civica, dove le funzioni abitative si integrano con attività educative, culturali, produttive e mutualistiche. Sono alcune delle considerazioni contenute nel report di Cantieri ViceVersa 2025, un progetto avviato nel 2019, promosso dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dal Forum per la Finanza Sostenibile, con l’intento di agevolare il dialogo, il confronto e la conoscenza reciproca tra Enti del Terzo Settore (ETS) e operatori finanziari e di analizzare gli strumenti di finanza sostenibile in grado di rispondere alle esigenze del Terzo settore italiano. Il report, che è stato presentato a Roma lo scorso 10 novembre, raccoglie i contributi emersi durante la summer school di luglio, a Salerno.
“Riattivare i beni confiscati alla mafia, si legge nel report, è molto difficile tanto per gli enti pubblici quanto per gli Enti del Terzo Settore, in particolare per le associazioni; Sono centinaia i beni formalmente assegnati a soggetti statali (polizia, carabinieri, guardia di finanza, ministeri) che si trovano in stato di abbandono. Sono parecchie migliaia i beni formalmente destinati agli enti locali che non sono utilizzati. Il pessimo stato dei beni, l’assenza di risorse economiche, i problemi burocratici nella regolarizzazione urbanistica dei beni, l’incapacità istituzionale di gestione concorrono a questo fallimento”. Purtroppo, nella maggior parte dei casi i beni oggetto di confisca (case, capannoni, terreni) necessitano di significativi interventi per poter essere utilizzati, per poter essere adeguati agli utilizzi a cui verranno destinati o anche semplicemente per adeguarli alle norme vigenti. Se questi interventi strutturali dovranno essere effettuati, in tutto o in parte, dall’Ente al quale il bene viene assegnato in gestione, questa attività preliminare potrà drenare ingenti risorse finanziarie e monopolizzare per anni l’attenzione dell’Ente, di fatto rendendo problematico, e talvolta impossibile, l’utilizzo dello spazio per il progetto al quale era stato idealmente destinato. Nella gestione dei beni oggetto di confisca e nel loro effettivo riutilizzo per finalità sociali, si incontrano quindi molti aspetti problematici, a fronte dei quali molti immobili restano nei fatti inutilizzati e inutilizzabili. E i beni confiscati alle mafie non sono solo terreni, fabbricati e aziende. Ci sono anche opere d’arte: nei patrimoni sequestrati e poi confiscati sono risultate comprese tele di valore, sculture, reperti archeologici e altro. E inoltre alcuni immobili di valore confiscati sono stati destinati a luoghi culturali di rilevanza. Basti pensare a Roma alla Casa del Jazz o al Nuovo Cinema Aquila. Due casi di successo in cui non è certo bastata l’assegnazione degli immobili per renderli i luoghi di cultura che oggi sono.
Ma perché un bene confiscato diventi bene comune servono progetti sociali credibili, certo, ma servono anche lavori di messa a norma, bonifiche, adeguamenti strutturali, costi di gestione dell’avvio attività, coperture assicurative, bollette nei primi mesi. Oggi questi costi ricadono quasi sempre sugli enti locali (soprattutto i Comuni più piccoli) e sugli enti di Terzo settore assegnatari del bene, che spesso non hanno la capacità finanziaria per affrontare interventi edilizi o di impresa da centinaia di migliaia di euro. Il risultato è che una parte rilevante dei beni già formalmente destinati resta, nei fatti, inutilizzata o sotto-utilizzata. E qui entra in gioco l’utilizzo del Fondo Unico di Giustizia (FUG) come leva stabile per finanziare il riuso sociale e produttivo dei beni confiscati. Il FUG è fondo istituito nel 2008 (decreto-legge n. 143/2008) in cui confluiscono le somme di denaro, le disponibilità finanziarie e in alcuni casi anche i proventi della vendita di beni sottoposti a sequestro o confisca nell’ambito dei procedimenti antimafia e anticorruzione. Ogni anno, con un decreto della Presidenza del Consiglio, queste risorse vengono ripartite quasi interamente tra il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia. “Oggi, però, si sottolinea nel report, quel flusso finanziario – che in alcuni anni ha raggiunto centinaia di milioni di euro complessivi – non è ancora pensato per essere utilizzato, in tutto o in parte, come capitale di investimento sociale per i beni confiscati. La richiesta che arriva da più parti, reti associative, sindacali e del Terzo settore è chiara: destinare stabilmente una quota del FUG (cioè delle ricchezze sottratte alle mafie e alla corruzione) alla messa in sicurezza, ristrutturazione e riattivazione dei beni confiscati, e alla salvaguardia delle aziende confiscate e dei loro lavoratori. In altri termini: far sì che il denaro delle mafie finanzi il lavoro pulito e i servizi sociali nei territori che le mafie hanno controllato”.
Qui il Report “Cantieri ViceVersa 2025. Network finanziari per il Terzo settore” di Autori Vari: https://www.cantieriviceversa.it/_files/ugd/2a884f_dd8885f6a8ed49378dae3531743fd74b.pdf.










