Riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato degli studenti e delle studentesse del Liceo Rinaldini di Ancona sulle polemiche seguite alla proiezione del film “The voice of Hind Rajab” e al successivo dibattito.

Il 16 ottobre diverse classi del liceo “Carlo Rinaldini” di Ancona hanno assistito alla proiezione del film “The Voice of Hind Rajab” di Kaouther Ben Hania.

A seguito della visione della pellicola sono intervenuti il giornalista RAI Vincenzo Varagona e Silvia Severini, volontaria che ha preso parte all’iniziativa umanitaria della Global Sumud Flotilla.

Poche ore dopo la proiezione del film è intervenuto pubblicamente l’eurodeputato di FdI Carlo Ciccioli, denunciando “l’assenza, tra i relatori e gli ospiti invitati, di voci che possano offrire una prospettiva diversa e complementare rispetto a quella proposta. Infatti, dei due ospiti, vi è solo la voce dell’attivista di Ancona della Global Sumud Flotilla”.

Al di là dell’inesattezza del testo in questione, che omette la presenza del giornalista Vincenzo Varagona, la domanda — provocatoria — che alla maggior parte degli studenti e delle studentesse è sorta è stata: chi poteva essere il contraddittorio che avrebbe potuto parlare dopo il film?

La storia raccontata nel film di Kaouther Ben Hania è quella di una bambina di cinque anni uccisa dall’esercito israeliano, dopo essere rimasta per ore accanto ai corpi senza vita dei suoi zii e dei suoi tre cugini, colpiti dai proiettili di una mitragliatrice montata su un carro armato. Quando, dopo ore di disperata attesa, sono arrivati i soccorritori della Mezzaluna Rossa — che avevano finalmente ottenuto un corridoio umanitario — l’esercito israeliano ha bombardato anche l’ambulanza, uccidendo i due paramedici giunti in aiuto della bambina.

Il film mette in luce con chiarezza la volontà dell’esercito israeliano di ostacolare in ogni modo i soccorsi e le procedure quasi impossibili per ottenere un corridoio sicuro per i soccorritori. E, come in moltissimi altri casi, i soldati hanno bersagliato volontariamente i soccorritori con un ordigno in grado di distruggere un intero palazzo.

Questa è la storia vera raccontata dalla regista: una storia di genocidio, di crimini contro l’umanità e di violenza deliberata contro civili, donne e bambini.

I responsabili di queste atrocità sono stati individuati da inchieste indipendenti verificate; in particolare, l’ordine di fare fuoco viene attribuito al maggiore Sean Glass, della compagnia “Vampire Empire” del 52° Battaglione della 401ª Brigata corazzata.

La proiezione di questo eccellente lungometraggio ha fatto calare nella sala del cinema un silenzio mai sentito prima. Nessuno si è mosso, né ha distolto lo sguardo dallo schermo per tutta la durata del film.

Perché, di fronte alla durezza della verità, solo questa può essere la reazione. Una verità che non ha contraddittori, che non contempla voci alternative, perché di fronte a un genocidio e a crimini contro l’umanità non è possibile avere un punto di vista “diverso”.

Durante l’assemblea d’istituto del liceo Rinaldini, in cui è emersa una discussione riguardo alle critiche al dibattito seguito al film, uno studente si è alzato e ha detto: “Forse, come contraddittorio, potremmo chiamare il soldato che dal visore termico del carro armato ha sparato sulla piccola sagoma — l’unica rossa per il calore di un corpo vivo — di una bambina di cinque anni indifesa e circondata dai cadaveri della sua famiglia”.

Sono poi seguite critiche nei confronti della dirigente del Liceo Rinaldini, anche da parte di istituzioni.

Questi fatti rappresentano una pericolosissima deriva autoritaria del nostro governo e un tentativo di repressione della libertà di espressione nelle scuole: luoghi di sapere e di cultura che devono rimanere indipendenti dagli interessi e dalle manipolazioni esterne.

Di fronte a un genocidio, gli studenti e le studentesse hanno ribadito più volte di aver deciso di stare dalla parte giusta della storia. E non saranno certo qualche comunicato stampa o qualche intimidazione a mettere a tacere la voce di chi ha scelto di non essere complice.