Per anni la cultura di massa ci ha propinato John Ronald Reuel Tolkien come un personaggio di destra, vicino all’estrema destra e ispiratore della nascente gioventù neofascista e neonazista di metà Novecento. Fu una delle tante strumentalizzazione che l’estrema destra è riuscita a compiere, assimilando a sè personaggi e sottoculture per potersene appropriare. Fu così con il grande filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche (che aveva la colpa di avere la sorella filo-hitleriana); fu così con il poeta Ezra Pound (da cui prende il nome l’organizzazione neofascista italiana Casa Pound); fu così anche con la figura di Antonio Gramsci (a tal punto che i movimenti neofascisti negli anni Settanta in Italia fondarono Ordine Nuovo, utilizzando il nome del periodico L’Ordine Nuovo fondato a Torino l’1 maggio 1919 da Antonio Gramsci ed altri intellettuali socialisti torinesi (Palmiro Togliatti, Angelo Tasca, Battista Santhià e Umberto Terracini); fu così anche la sottocultura giovanile skinhead, sorta in Gran Bretagna alla fine degli anni Sessanta tra i giovani della classe lavoratrice, caratterizzato da una testa rasata a zero e uno stile di abbigliamento specifico. Quest’ultimi nacquero dalla fusione di subculture preesistenti (come i “mod” e i “rude boy”) e ha visto in seguito l’emergere dell’ideologia neonazista al suo interno, portando una buona parte del movimento skinhead dichiaratamente antirazzista ad opporsi, formando la SHARP (“Skinheads Against Racial Prejudice”).  

Negli anni Ottanta, con il movimento neofascista Terza Posizione, addirittura vi era una strumentalizzazione sistematica delle categorie politiche marxiane e gramsciane volte ad usurpare anche le figura storiche della sinistra, come Che Guevara e Fidel Castro oltre che lo stesso Marx.

Il “rossobrunismo” nasce proprio dalle ceneri di questo passato: affermare che le categorie di “destra” e “sinistra” non esistono più affinchè la narrazione, gli ideali, i programmi, i contenuti e le categorie politiche della sinistra potessero essere usati dalla destra più becera per rigenerare il proprio consenso. Non è un caso che la fine delle culture politiche e i processi di depoliticizzazione in Italia, negli ultimi vent’anni, abbia aperto la strada alle destre nazionaliste, liberalconservatrici e all’estrema destra che sempre più – anche con l’aiuto dei media – si è avvicinata a parlare al “popolo” aizzando il senso comune reazionario, finendo poi per attuare le sue politiche anti-popolari di sempre.

La figura di Tolkien è una delle tante prese d’assalto dall’estrema destra, pur non non essendone mai stato affiliato. In Italia il recupero della dimensione epico-mitologica e la descrizione di una cultura basata su valori guerrieri di onore, coraggio e lealtà ne hanno fatto uno degli scrittori più amati dalla destra radicale di impostazione neo-pagana negli anni Settanta.

Eppure Tolkien si è sempre dichiarato anarchico ed avverso a qualunque potere politico:

«Le mie opinioni politiche inclinano sempre più verso l’anarchia intesa filosoficamente come abolizione di ogni controllo (non come uomini barbuti che lanciano bombe), oppure verso una monarchia non costituzionale. […] Comunque lo studio adatto all’uomo è solo l’uomo e l’occupazione più inadatta per qualsiasi uomo, anche per i santi (che almeno non se l’assumevano volentieri) è governare altri uomini.»

Nella sua lunga carriera condanna fermamente sia il capitalismo sia la globalizzazione da parte dell’anglosfera:

«Mi chiedo (se sopravviveremo a questa guerra) se resterà una nicchia, anche scomoda, per gli antiquati reazionari come me (e te). I grandi assorbono i piccoli e tutto il mondo diventerà più piatto e più noioso. Tutto diventerà una piccola, maledetta periferia provinciale. Quando avranno introdotto il sistema sanitario americano, la morale, il femminismo e la produzione di massa dell’est, nel medio Oriente, nel lontano Oriente, nell’Urss, nella pampa, nel Gran Chaco, nel bacino danubiano, nell’Africa equatoriale, nelle terre più lontane dove esistono ancora stregoni, nel Gondhwanaland, a Lhasa e nei villaggi del profondo Berkshire, come saremo tutti felici. Ad ogni modo, questa dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce. Il colonnello Knox dice che un ottavo della popolazione mondiale parla inglese e che l’inglese è la lingua più diffusa. Se è vero, che vergogna – dico io. Che la maledizione di Babele possa colpire le loro lingue in modo che possano solo dire “baa baa”. Tanto è lo stesso. Penso che mi rifiuterò di parlare se non in antico merciano. Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante.»

Nel testo citato si evidenzia anche la criticare al femminismo da parte di Tolkien che non è ascrivibile a qualche particolare opinione machista, ma al fatto che era comune all’epoca – anche tra i più noti intellettuali – criticare il femminismo vista unilateralmente come movimento moderno e “pericolo per la morale”. Anche Tolkien, come molti, era un uomo figlio della sua epoca.

Le opere di Tolkien sono spesso state accusate di trasporre in controluce atteggiamenti antiquati sul tema della razza, stabilendo nel proprio universo narrativo gerarchie sociali di origine razziale che legittimavano la superiorità di alcune razze rispetto ad altre, viste come prive di qualità morali e spirituali (come gli orchi), e che introducevano spesso anche una dimensione di “geografia morale”, con il Buono identificato con l’Ovest e il Cattivo con l’Est (1).

Nonostante questa assurda interpretazione si sia diffusa negli ambienti dell’estrema destra, esaltando il “mito della razza”, molti studiosi contemporanei hanno fatto notare come Tolkien fosse dichiaratamente un convinto anti-razzista sia in tempi di pace sia durante i due conflitti mondiali, disgustato dalla propaganda razziale messa in essere dalla Germania nazista, e che la Terra di Mezzo fosse una dimensione decisamente policulturale e polilinguistica in cui Uomini, Nani, Elfi, Hobbit e molte altre creature erano in grado di convivere in armonia non senza qualche bisticcio.

Su questo e molto altro ha scritto WuMing4, proponendo analisi molto interessanti anche sul significato politico dell’opera mastodontica di Tolkien.

Di vitale importanza inoltre risulta il suo profondo ecologismo ante-litteram. Tolkien, in alcune lettere private, riportò la sua devozione per le foreste e la sua tristezza in merito agli abbattimenti illeciti e scriteriati di alberi. Vari studi e analisi letterarie hanno osservato come, durante la redazione de Il signore degli anelli, Tolkien aumentò la sua sensibilità e interesse per il valore della Natura pura e incontaminata, da proteggere dalla tossicità dei fenomeni di industrializzazione di massa.

Non è un caso infatti che negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni la spiritualità, l’anti-materialismo e l’esaltazione del contatto con la Natura in Tolkien hanno fatto del legendarium un’icona del movimento hippy. Nell’immaginario di Tolkien è stata rilevata anche la presenza di temi antroposofici veicolati dall’influsso di Owen Barfield (“Splintered Light: Logos and Language in Tolkien’s World” di Verlyn Flieger) membro del gruppo degli Inklings, come ad esempio alcune corrispondenze con le vicende del mito di Atlantide esposto da Rudolf Steiner.

Considerato uno degli scrittori più popolari del mondo, grazie al successo globale della saga de Il Signore degli Anelli e delle altre opere ambientate nell’universo fantasy della Terra di Mezzo, Tolkien non ha mai nascosto la propria profonda idiosincrasia per gli effetti negativi dell’industrializzazione sulla società e sull’ambiente.

Quest’ultima analisi è ormai acclarata come la più valida tanto che in questi giorni è stato dato alle stampe un racconto postumo dell’autore della saga fantasy de “Il Signore degli Anelli”. Si tratta di un’opera satirica inedita, con cui J.R.R. Tolkien critica l’industrializzazione e la diffusione delle automobili.

Il tema essenziale di The Bovadium Fragments – opera satirica inedita di J.R.R. Tolkien che è già disponibile dal 9 ottobre nelle librerie del Regno Unito – è una critica feroce e ironica del mondo moderno, asservito al culto delle automobili. Scritto tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, il volume è pubblicato per la prima volta dalla casa editrice britannica HarperCollins. Riprendendo in chiave satirica alcune di queste tematiche, il breve racconto sarà finalmente disponibile in un’edizione in lingua inglese curata direttamente dal figlio dell’autore, Christopher Tolkien, scomparso cinque anni fa.

Al centro delle riflessioni dello scrittore vi è la profonda trasformazione urbana che cambiò il volto di Oxford nel secondo dopoguerra. La nota città universitaria, dove Tolkien viveva e lavorava come professore di letteratura inglese al Merton College, è ribattezzata nel racconto con il nome di fantasia di Bovadium. L’autore critica in particolare la dilagante presenza delle automobili, che invadono le strade con i loro rumori e con fumi di scarico che soffocano i cittadini. L’opera satirica è ricca di riferimenti allegorici espliciti, a partire dal terribile Daemon of Vaccipratum: un villain interessato unicamente al profitto, dietro cui si cela la figura realmente esistita di Lord William Norris, visconte di Nuffield e fondatore dell’omonima casa automobilistica britannica.

L’avversione per gli eccessi dell’industrializzazione è un tema che J.R.R. Tolkien ha esplorato spesso nelle sue opere. Anche ne Lo Hobbit e in tutta la saga de Il Signore degli Anelli non mancano i riferimenti alla natura rurale idilliaca della Contea e alla successiva distruzione promossa da Saruman, il mago malvagio che abbatte gli alberi per dare via alla produzione industriale di macchine da guerra.

L’ultimo racconto inedito del celebre romanziere arriva in libreria in un’edizione in lingua inglese ricca di appendici e materiali extra di grande interesse. Tra questi, meritano una menzione particolare le illustrazioni originali, opera dello stesso Tolkien, che confermano la vena artistica di un autore che aveva già firmato le mappe e le immagini dei propri romanzi fantasy. Il nuovo libro è inoltre aperto da un saggio dello scrittore Richard Ovenden, che evidenzia i molti punti di continuità fra The Bovadium Fragments e il corpus di opere tolkeniane.

L’esistenza di questo manoscritto inedito era nota da tempo, ma il racconto non era stato ancora pubblicato a causa di una serie di elementi difficili da rendere in modo appropriato. L’attenta ricostruzione filologica condotta da Christopher Tolkien, principale curatore dei lavori postumi del grande romanziere britannico, rende giustizia a un’opera di grande attualità, che fa leva su una satira vibrante per offrire un quadro spietato della società inglese del XX secolo e della sua ossessione per la modernità.

(1) John F. G. Magoun, South, The, in Drout (a cura di), J.R.R. Tolkien Encyclopedia, Routledge, 2006, pp. 622-623

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