Nel contesto del Festival dell’Accoglienza 2025 si è svolto presso il CAM – Culture and Mission l’incontro torinese con le attiviste di Combatants for Peace Aisha Khatib e Irit Hakim moderato da Daniela Bezzi.

Aisha Khatib ha viaggiato per tre giorni per raggiungere l’Italia e parlare ad una platea di italiani le sembra un sogno. Vedere la partecipazione allo sciopero di lunedì mattina l’ha commossa. Comincia a raccontare la sua storia ed il percorso che l’ha portata a diventare un’attivista di Combatants for Peace, percorso che è iniziato con la morte di suo fratello Mahmud, colpito al cuore da un soldato israeliano. In quel momento si è persa nella rabbia e nel desiderio di vendetta; per ritrovarsi si è impegnata a cercare una via di uscita ed ha incontrato i Combatants for Peace nel 2009-2010; successivamente ha preso l’impegno di coordinare la parte femminile del movimento.

Irit Hakim fa parte della settima generazione di ebrei che vivono nel nord di Israele; la sua famiglia conviveva pacificamente con i vicini arabi. Nel 1969 perse un amico diciottenne nella guerra dei sei giorni. Nel 1971 un attacco di fedayn filopalestinesi ad una scuola vicina a quella dove insegnava portò all’uccisione di 22 studenti.

La guerra è stata una costante nella sua vita ed ha capito che non è possibile vivere in uno stato di guerra permanente e divenne pacifista. Negli anni 80 il suo partner di allora si rifiutò di servire nell’esercito, una presa di posizione grave allora, diventando uno dei primi refusenik.

Tutto questo la convinse ad entrare nel movimento Peace Now, il primo movimento che immaginava la possibilità di comunicare con il “nemico”.

Nel 2009 le capitò di partecipare ad uno strano memorial day[1], la Memorial Ceremony organizzata dai Combatants for Peace che ricorda i morti di entrambe le parti; dal palco in quell’occasione hanno parlato due padri che hanno perso le loro figlie e si è resa conto di essere nel posto giusto.

Il movimento lavora in maniera congiunta per tutti gli aspetti delle sue attività, con particolare attenzione al rafforzamento ed all’educazione; il lavoro principale dei  Combatants for Peace è quello di creare spazi di confronto a partire dalle Freedom School, campi di studio in cui ragazzi israeliani e palestinesi condividono un periodo di studio e vacanza.

Daniela Bezzi domanda alle due donne cosa ha significato per loro il 7 ottobre: per Aisha il 7 ottobre è stato uno shock per tutti. Tutte le attività che si occupavano del dialogo tra israeliani e palestinesi hanno avuto un momento di stop. Subito dopo abbiamo pensato che era il momento di fare di più.

Irit ricorda che dopo il 7 ottobre è stato impossibile per alcuni giorni parlare tra loro, poi si è deciso che era importante rivedersi, almeno virtualmente, e la prima riunione via zoom è stata una riunione di pianti.

A chi domanda cosa pensa CfP della soluzione “due popoli, due stati” Aisha risponde che in Palestina vivono due nazioni nello stesso territorio, non è rilevante che ci siano anche due stati; CfP non ha l’obiettivo di dare soluzioni a quello che è un problema politico, il compito del movimento è quello di costruire metodi di riconciliazione, legami e formazione in tal senso.

Aisha lancia un ultimo, forte, messaggio prima della chiusura dell’incontro:

“Siamo venute da due società diverse che sono nemiche, ma non vogliono essere nemiche. Prendiamo sulle nostre spalle la responsabilità della mia gente di Gaza e la responsabilità delle madri degli ostaggi. I nostri figli sono la cosa più cara e più importante, non scordatelo per favore.”

[1] Il giorno in cui in Israele si ricordano i caduti nelle guerre per la costituzione dello stato