La guerra è sempre presente. Nel secolo scorso, durante il ventennio fascista, Mussolini sosteneva che era una necessità per gli italiani di conquistare l’Etiopia, ci occorreva per la nostra libertà. Addirittura voleva un impero, il dittatore si ispirava all’antica Roma. Ci riuscì. L’Italia ebbe un re d’Italia e d’Albania, imperatore d’Etiopia. Oggi, con la Repubblica, sono un po’ cambiate le parole e le espressioni verbali, ma molti ancora vagheggiano quei tempi.
Cambiate le parole? Sì, La possibile dittatura dai politici di estrema destra viene chiamata “premierato”, quindi niente di straordinario che la guerra sia presentata come prodromo della pace. Nella sua “Lettera a un giovane cattolico” lo scrittore tedesco Heinrich Boll ricordava la sua vita militare nella seconda guerra mondiale. Era ufficiale nell’esercito tedesco che aveva invaso la Francia e, trovandosi a Parigi, aveva acquistato il Diario del cattolico Léon Bloy e seduto a un caffè si era messo a leggerlo: “Verso la fine del volume scoprii una annotazione sulla notte di Natale del 1916. Cominciava con la frase ‘Abbiamo ricevuto l’oca dalla Bretagna…’ e, poche righe sotto, continuava ‘La mia soddisfazione sarebbe maggiore se avessi l’assoluta certezza che nel momento in cui noi siamo attorno al pranzo natalizio, tutta la Germania crepa di fame’. Scritto nel 1916, a Natale, in un periodo in cui mia madre era con i suoi cinque figli, indubbiamente molto vicina alla morte per inedia; letto nel 1942, quando a Colonia mia moglie, i miei genitori e i miei fratelli più volte al giorno provavano l’angoscia della morte…” Era davvero una “orrenda maledizione”.
Questa è la stessa guerra ieri e oggi, 2025. Si vedano le immagini alla tv case distrutte, palestinesi che corrono con sacchi di farina sulle spalle o cercano un po’ di polenta presso i banchi dei soccorritori, in mezzo a strade e case ridotte a scheletri dai bombardamenti. Ci sono, poi, anche altre guerre, in Africa, in Asia. Ma non se ne parla. Basta così.
Mario Pancera










