“Mai più mi sarei aspettato nella vita di invocare la 185/1990…”, osserva un pacifista genovese.

Cominciamo dall’inizio, cioè da lui, Angelo Gandolfi.

Come riassumeresti la tua vita?

Ho frequentato luoghi di guerra per molti anni per conto dei Volontari di Pace in Medioriente e poi dei Berretti Bianchi, con cui sono andato anche nei Balcani, e faccio parte, oltre che del collettivo informale dell’Ora in silenzio contro la guerra, dell’Associazione Culturale Liguria-Palestina.

Un segno della mia predestinazione è che nel mio cognome ci sono 5 lettere che compongono il nome di Gandhi.

Invece che fin dalla nascita il destino mi abbia sfidato a scegliere una strada, oppure l’opposta, è scritto nel mio compleanno, paradossalmente lo stesso di Ernesto Guevara de la Serna “El Che” e di Donald Trump.

Un paradosso come quello della Legge 185/1990, che oggi ti turba tanto. Perché?

Era una legge nata da una proposta di iniziativa popolare che intendeva bloccare la produzione di armamenti e i traffici sporchi intrecciati con il commercio della droga.

In quel periodo c’era stato lo scandalo Irangate ed era stato rivelato che le fabbriche d’armi italiane, in testa a tutti Ansaldo Meccanico Nucleare e Oto Melara, vendevano armi con la massima disinvoltura a entrambe le parti belligeranti nella guerra per l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia.

La proposta era stata elaborata e presentata dal Comitato contro i Mercanti di Morte promosso dal Gruppo Abele a cui aderivano ARCI, ACLI, Pax Christi e molte altre organizzazioni e associazioni, fra cui il Centro Ligure di Document-azione per la Pace e la Comunità di San Benedetto.

A Genova avevamo raccolto le firme d’inverno e sostenendo spese enormi. Ad esempio, ricordo che allora i cancellieri del Tribunale costavano 30 mila lire all’ora.

Cosa è accaduto poi?

Come canta Pier Angelo Bertoli in Rosso colore, fummo “convinti da corrotti delegati”…

Ai dirigenti del PCI la proposta non piaceva e si trincerarono dietro il fatto che altri partiti non l’avrebbero votata, in testa a tutti l’MSI, ovviamente, e anche quelli del pentapartito di maggioranza.

Allora il PCI rischiava di perdere alcune proprie roccaforti, come la provincia spezzina, la cintura fiorentina e la zona tirrenica da Pisa alla Maremma… e i suoi dirigenti ci convinsero che, affinché la legge fosse approvata, era necessario introdurre dei “contrappesi”, come la creazione di un ufficio che si occupasse della valutazione della transazione che, in sostanza, avrebbe concesso delle deroghe e individuato in un’unità all’interno del Ministero del Commercio con l’Estero, e l’istituzione di una sottocommissione nelle Commissioni Difesa di Camera e Senato.

Certo le destre avrebbero addirittura voluto un Comitato Interministeriale e, va ricordato, all’epoca il Parlamento aveva ancora priorità rispetto al Governo… Comunque per noi la promulgazione della Legge 185/1990 fu una grande truffa e solenne fregatura, perché il suo testo annacquava la nostra proposta, vanificandone lo spirito di cambiamento che l’aveva ispirata, che era il tentativo di creare le condizioni per la riconversione dell’industria bellica.

Provi delusione, rammarico, o cosa?

Uno strano sentimento in cui prevale l’amarezza. Perché oggi, paradossalmente, ci troviamo persino a dover quasi dire “Meno male che la 185 c’è”.

Infatti per impedire che accada il peggio adesso bisogna appellarsi al diritto e alla legalità, così anche a leggi che potrebbero, e dovrebbero, essere migliorate, invece su cui incombe la minaccia delle subdole manovre con cui il governo e i partiti di destra tentano di aggirare le loro norme o di modificarle, ma in peggio.