Un luogo storico-culturale e della memoria collettiva particolarmente importante della capitale serba, Belgrado, è indubbiamente il suo Museo Etnografico, peraltro, tra i Musei etnografici, senza dubbio uno dei più interessanti del panorama regionale, della ex Jugoslavia, ed europeo. Quest’anno, in particolare, il Museo ospita una mostra, realizzata in occasione del 120° anniversario della prima mostra permanente del Museo, decisamente notevole, inaugurata il 20 settembre scorso e aperta sino al prossimo primo settembre, con il titolo “Memoria – La ricerca sul campo del Museo Etnografico”.

Una parola, peraltro densissima, “memoria”, e un filo conduttore, la memoria come ambito di ricerca antropologico-culturale, patrimonio collettivo di miti e vissuti, di saperi e pratiche di una comunità, e la ricerca come indagine sul campo, che fa della memoria stessa un terreno di sperimentazione di ricerca, e, in particolare, di ricerca sul campo, di ricerca-azione.

Si potrebbe definire la mostra, per alcuni aspetti, anche autocelebrativa, dal momento che, come suggerisce il sottotitolo, illustra simbolicamente la storia e il ruolo del Museo Etnografico a Belgrado. Qui il tema della memoria resta una costante, un filo conduttore. Il Museo Etnografico di Belgrado, ospita ad esempio, sin dal 2012, il Centro per il patrimonio culturale immateriale della Serbia, inaugurato sulla base della Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003.

Tali patrimoni immateriali mostrano, sovente, al di là dell’attinenza con le culture tradizionali e la vitalità sociale della regione, sfaccettature culturali particolarmente composite e ricche come, ad esempio, nella tradizione del Djurdjevdan (la festa di S. Giorgio, vera e propria “festa della primavera” trans-culturale) o nella tradizione della Slava (la celebrazione del santo della casa, una eredità pre-cristiana scaturita dal culto, tra i vari dei, del dio “protettore della casa”) che oggi rappresentano anche un patrimonio mondiale immateriale Unesco dell’umanità.

Non sarebbe possibile mettere in mostra, studiare e comunicare tali evidenze e contenuti, se non vi fosse alla base un lavoro di ricerca, o, più precisamente, di ricerca-azione. Dal momento che la “cultura” non è un concetto astratto, ma quell’insieme, molto concreto, di acquisizioni, di saperi e di pratiche, che danno forma e valore espressivo ad una determinata comunità che vi si riconosce, ed è quindi, la cultura, un prodotto sociale e relazionale frutto del lavoro e dell’interazione delle persone, i ricercatori e le ricercatrici non possono che condurre la ricerca culturale tra le persone, sul campo, scoprendo, individuando e raccogliendo documenti culturali, materiali e testimonianze.

Nella mostra di Belgrado, il microcosmo, punto di avvio e di approdo, è l’espositore, la teca museale, da cui si parte per indagare il contesto e il costrutto di un determinato oggetto culturale, e a cui si torna per organizzare il materiale raccolto secondo gli standard museologici. L’oggetto di apertura della mostra è, non a caso, la scrivania del ricercatore, con tanto di taccuino e macchina fotografica. Il museo diventa allora un luogo, accogliente, inclusivo, accessibile, di partecipazione e di conoscenza.

La mostra di Belgrado è ricca di oggetti culturali. Tra questi figura la ćurdija, uno degli abiti cerimoniali più noti, realizzato in tessuto e riccamente decorato. Si riferisce in genere a un tipo di pelliccia corta o cappotto femminile senza maniche, solitamente realizzato in stoffa. In passato, era indossato soprattutto come parte del costume popolare invernale, specie nelle occasioni festive. La parola è di origine turca e l’elemento rappresenta un patrimonio diffuso nella regione dei Balcani meridionali, legato cioè alla comune presenza, in passato, del potere ottomano su questa regione.

È appena il caso, ma molto significativo, di osservare che il Museo Civico di Mitrovica, in Kosovo, ha recentemente ospitato una mostra etnografica assai interessante dal titolo “Una vita in gajtan”: il nucleo della mostra era costituito da una ricca collezione di abiti tradizionali del XIX e XX secolo, tra cui gilet, mintan, xhamadan e dollam, acquisiti nel corso del tempo e realizzati, appunto, in gajtan, vale a dire nella tecnica tradizionale della tessitura e dell’intreccio dei fili d’oro, argento o seta, elemento tradizionale di decorazione di origine ottomana e che quindi ha un’ampia diffusione, in particolare in Albania e Kosovo, ma anche in Macedonia e altre regioni dei Balcani meridionali, rappresentando così un patrimonio comune, un’eredità condivisa, capace di ispirare comprensione reciproca, rispetto e convergenza.

La mostra di Belgrado è ulteriormente arricchita dalla disponibilità di alcuni supporti tecnologici e la stessa guida della mostra si svolge tramite un’applicazione bilingue (serbo e inglese); inoltre è possibile entrare in contatto (virtualmente) con alcune pratiche consuetudinarie tradizionali tramite realtà aumentata. Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria “pratica di pace”.

Come ricordano le Convenzioni in materia, il patrimonio materiale, tangibile, rappresenta l’insieme dei beni storici, artistici e culturali, prodotto della creatività umana, variamente configurato nel corso della storia, in relazione ai contesti sociali e culturali di riferimento, espresso attraverso oggetti fisicamente esperibili: edifici storici, monumenti e memoriali, siti archeologici, opere d’arte e oggetti culturali. Il patrimonio immateriale, intangibile, è invece l’insieme dei beni culturali o, per meglio dire, delle espressioni culturali che, pur non essendo “oggetti” fisicamente esperibili, rappresentano, tuttavia, un contenuto decisivo, vitale per le comunità di riferimento. Si offrono cioè come vero e proprio patrimonio culturale al servizio della pace nella misura in cui, attraverso il nesso società-cultura, alimentano di senso le traiettorie della “pace positiva”, pace, insieme, con democrazia, diritti umani e diritti culturali, giustizia sociale.

Riferimenti:
Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (1972):
https://unesco.cultura.gov.it/la-convenzione-sul-patrimonio-mondiale
Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003):
https://unesco.cultura.gov.it/convenzione-2003
Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società – Faro (2005):
https://www.coe.int/it/web/venice/faro-convention
Sia permesso rimandare a Gianmarco Pisa, Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra educazione basata negli spazi e costruzione della pace – Art doors. Museums as places of culture between place-based education and peace building, Multimage, Firenze 2024: https://multimage.org/libri/le-porte-dell-arte-art-doors