Per il 21 giugno sono in programma a Roma due differenti manifestazioni con lo stesso obiettivo “no al riarmo dell’Europa”. Credo che la cosa sia agli occhi del cittadino comune assolutamente incomprensibile.
Capisco che sia necessario confrontarsi tra posizioni diverse e diverse sensibilità, ma ciò andrebbe fatto nelle sedi opportune senza creare fratture quando si è d’accordo su un obiettivo comune. Stiamo assistendo invece ad una pletora di lunghi comunicati e controcomunicati che in pochissimi leggeranno, in una “battaglia delle virgole”, che finirà per allontanare la gente dalla piazza. Al contrario sarebbe necessaria la massima unità, fermo restando che poi all’interno di una iniziativa comune, ognuno potrà portare le proprie parole d’ordine, i propri distinguo e le priorità che ritiene necessarie.
Negli ultimi mesi una delle manifestazioni di piazza più riuscite è stata quella dei musicisti per Gaza. Credo che il successo sia dovuto alla semplicità dello scopo della mobilitazione, “essere dalla parte dei palestinesi”, punto. Tutte le altre questioni (“il giudizio su Hamas”, “le vie per una possibile pacificazione”), si discutono in altra sede, o si fanno riecheggiare negli slogan che ognuno porta in piazza.
Credo che uno dei problemi, alla base di tante contraddizioni, sia il fatto che si sta sovraccaricando “la piazza” di troppe aspettative e di troppi significati. Una piazza per altro ridotta alla semplice idea del corteo o del presidio di breve tempo, in cui viene concentrato tutto il potenziale di lotta di cui si è capaci, senza che vi sia il minimo sforzo per pensare altri modi e altre vie per dare forza alle lotte e all’affermarsi delle istanze di cambiamento.
Personalmente penso che la gravità della situazione imponga un salto di qualità nella ricerca delle forme di lotta e di resistenza. A livello geopolitico assistiamo quasi impotenti al genocidio in Palestina e allo scontro inter-imperialista dell’Ucraina, consapevoli che un catastrofico conflitto mondiale potrebbe essere alle porte. Sul piano interno basta il decreto sicurezza per svelare il volto repressivo e neofascista dell’attuale governo.
Di fronte alla catastrofe che si preannuncia il nostro disquisire con spirito pedante sui contenuti di prolissi comunicati che indicono manifestazioni che probabilmente cambieranno poco, è il segno evidente di tutta la nostra impotenza.
Sarebbe invece necessario adottare forme di lotta più dure e più antagoniste, anche se sempre rigorosamente all’interno di una scelta trasparente di nonviolenza. Forme di disubbidienza civile come l’occupazione (ribadisco del tutto pacifica) di luoghi e di edifici pubblici. Sit in e presidi di lunga durata e altre iniziative ispirate alla creatività e al massimo di visibilità.
Certo è necessario evitare gli avventurismi. Essere consapevoli dei nostri limiti, e sapere che anche le iniziative rigorosamente ispirate alla nonviolenza, in ragione della cosiddetta “norma anti Gandhi” contenuta nel decreto sicurezza porta al rischio di diversi anni di carcere.
Ma se questo è lo stato dell’arte, allora a maggior ragione, dovremmo pensare quanto meno a forme il più possibile creative di lotta, e soprattutto, di fronte alle mobilitazioni nazionali, dovremmo essere il più unitari possibili, sapendo che nell’incertezza del presente è il numero ciò che innanzitutto conta. Poi, se insieme sapremo fare crescere il movimento, con ancora più costrutto potremo discutere di contenuti con tutte le nostre differenze, che potrebbero a quel punto anche diventare ricchezza condivisa.










