Di questo parla l’ottimo documentario di cui abbiamo già parlato, potete leggere qui la scheda e vedere il trailer, se potete fatelo: Terra a perdere, documentario sull’impatto dei poligoni militari in Sardegna.
Ne scriviamo nuovamente per diversi motivi: innanzitutto, come avete visto dal cartello in alto, viene riproiettato a Milano martedì 6 maggio; chi vive da queste parti cerchi di andare (per l’occasione ci saranno 50 tessere a disposizione).
“Terra a perdere” descrive e denuncia con grande capacità comunicativa la situazione in Sardegna che dura dal secondo dopoguerra. Da allora quella nostra meravigliosa isola, con delle coste tra le più belle d’Italia, è stata svenduta, violentata, sporcata, ferita, nel peggiore dei modi. Pezzi di isola che sono sotto una giurisdizione che è “altra” da quella di noi comuni mortali. Un territorio dove qualcuno può fare quello che vuole, dove il diritto non si sa dove sia finito, dove il segreto è totale e da dove si diffondono tumori a seconda di dove tira il vento.
Immagini, dalle più belle alle più inquietanti, di un’isola che sembra uno di quegli atolli dell’oceano dove si fanno le peggiori esercitazioni o, addirittura, esplosioni. Medici, giuristi, attivisti, un parlamentare e anche un militare di alto grado, raccontano i muri di gomma contro cui si scontra chi vuole sapere.
Chiara Pracchi, Simona Tarzia e Fabio Palli hanno fatto un ottimo lavoro che merita di essere diffuso, visto, valorizzato.
Un documentario vive se viene visto, ed è il pubblico che dà la forza ai registi e alle registe di andare avanti. Certi documentari sono un enorme sforzo, sia economico, che, soprattutto, di tempo, energie. Il fatto che non si riesca a farlo vedere a quanti si auspicherebbe è lacerante. Uno si chiede: ma ne è valsa la pena? Lo rifarei? Ne farò un altro simile?
Credo che un documentario simile potrebbe rientrare perfettamente all’interno di una trasmissione come Report… eppure, mi viene da pensare: se lo vedessimo in televisione l’effetto sarebbe diverso. Subiremmo un’ennesima volta una dose di maggiore coscienza, sì, ma come diceva Hegel: infelice. Ci sentiremmo ancora più impotenti, interiorizzeremmo ancor più quel termine da sconfitti che troppi italiani ripetono di frequente: purtroppo.
La visione collettiva, comunitaria, autorganizzata è invece già un atto politico, una forma di resistenza che, una volta finito il film, ci fa dire: cosa possiamo fare? E dirlo insieme va sempre meglio.
Chi può prenda contatti con Chiara per organizzare possibili proiezioni dalle vostre parti.
Per contatti: chiarapracchi1@gmail.com










