L’ultimo lavoro di Francesco Schettino, dedicato a quelli che per la maggior parte dei comuni mortali sono gli inestricabili “misteri” delle leggi dell’economia, è un testo  che malgrado la difficoltà della materia, appare avvincente e di facile lettura pur essendo ricco di dati e di riferimenti teorici trattati con tutta la competenza specialistica riconosciuta al nostro autore. 

Si tratta dunque di un testo rigoroso che potrebbe anche essere considerato un manuale di studio della materia, ma che tuttavia ha soprattutto uno scopo dichiaratamente (e a nostro avviso più che giustamente) “partigiano”, come nitidamente chiarito dal suo stesso autore che definisce quali principali obiettivi del volume: “in particolare fornire una critica del mainstream e fornire una impostazione schematica di quella che debba essere la corretta interpretazione dei fenomeni economico-politici.” 

Quello che rispetto al bisogno di una “corretta interpretazione” viene definito il mainstream è in realtà una delle pagine più vergognose di cui si è reso colpevole il sapere ufficiale che domina in ambito accademico, attraverso la trasformazione di ciò che una volta era l’economia politica in una presunta e ingannevole “scienza economica”.

Si tratta in sostanza della pretesa di volere considerare l’economia alla stregua di una scienza esatta come fosse matematica o fisica, con le  sue leggi universali ed indiscutibili, con la conseguenza della perdita di ogni dinamica storica, per cui tutto viene fissato in un tempo eterno ed immutabile. In questo modo l’economia viene sottratta alla sua politicità, (non a caso un tempo si chiamava “economia politica”), e dunque a qualunque possibile valutazione di merito. Nulla è più giusto o sbagliato. Tutto è così perché così solo può essere. 

In questo tipo di impostazione viene negata ogni possibile forma di soggettività legata alla posizione sociale o ai propri ambiti esistenziali, così come ogni possibile libera scelta che si ponga fuori dagli schemi della macchina del potere. Non esistono più le classi; non vi sono più i ricchi e i poveri; e neppure i privilegiati e gli esclusi. L’unica e sola figura universale e onnicomprensiva di agente sociale a cui viene ridotta l’umanità del capitalismo imperante, (e della sua scienza economica) è quella acefala dell’operatore economico, miracolosamente dotato di una razionalità perfetta, ma al solo scopo di ottimizzare i suoi interessi egoistici, rivolti al possesso materiale di beni e servizi, come se l’unico scopo della vita fosse quello di ottimizzare i propri consumi. 

Le leggi del sistema economico del capitalismo ingabbiano i cittadini entro i propri indiscutibili dettati e pretendono che nessuna altra storia sia possibile o immaginabile. Come ci dice Schettino: “Ipotizzare che questo sia un denominatore comune a tutti è determinante per potere permettere l’analisi macroeconomica su un unico soggetto e poi estendere i risultati conseguiti ad un’intera comunità.” 

L’obiettivo è con ogni evidenza quello di presentare una visione idilliaca dell’economia capitalista, di cui viene presupposta, in modo falso e mistificato, una condizione di equilibrio statico e compiuto, fondato su una piena razionalità, sulla concorrenza perfetta e sulla ottimale allocazione delle risorse. 

Nulla di tutto questo risponde a verità. Tra i tanti argomenti portati dal nostro autore a dimostrazione dell’inganno, basterà citare solo pochi dati. Innanzitutto la condizione di squilibrio strutturale di cui soffre il sistema e che porta ad una concorrenza spietata e senza regole, i cui esiti più macroscopici sono le crisi di sovrapproduzione e la concentrazione di grandi capitali in un numero sempre più esiguo di grandi miliardari. Una situazione che può produrre il corollario davvero terrificante per cui, in casi estremi, lo scontro economico può coinvolgere gli Stati fino a produrre i conflitti armati. 

Altro aspetto costitutivo e ineludibile del sistema è la costante crescita delle disparità sociali e della miseria sia all’interno dei paesi a capitalismo avanzato, sia tra questi ultimi e i paesi più poveri. A questo proposito va sottolineato come “le diseguaglianze sono non esclusivamente conseguenza ma anche presupposto del sistema di capitale” poiché esse sono necessariamente insite in quei rapporti di proprietà escludenti e gerarchici senza i quali il sistema capitalistico semplicemente non potrebbe neppure prendere l’avvio e sussistere. 

Come si può facilmente vedere, ben oltre la semplice denuncia degli inganni della moderna scienza dell’economia, la critica degli aspetti costitutivi del capitalismo come modo di produzione, necessita della riproposizione delle principali categorie dell’analisi marxista. Tra queste, quelle che principalmente sono richiamate nel nostro testo riguardano la teoria del valore lavoro come misura universale dell’analisi strutturale del sistema e il principio della lotta di classe come motore politico della storia.

Giunto al termine del suo lavoro l’autore si chiede quali potrebbero essere i punti di “un programma minimo” a vantaggio delle classi subalterne, e che in estrema sintesi dovrebbero riguardare: il passaggio ad un’economia centrata sul valore d’uso, la riduzione dell’orario di lavoro, la capacità di riportare la creatività sul posto di lavoro, la democratizzazione del processo produttivo, una nuova rilevanza ai lavori di assistenza e cura. 

Non entriamo nel merito di un discorso così complesso, limitandoci a constatare come una tale prospettiva porti Schettino a riscoprire “l’importanza dello strumento della pianificazione” che “risiede proprio nella sua capacità di sostituirsi al mercato come strumento di accumulazione”,  aggiungendo egli poco dopo, a proposito della attuale situazione della Cina, che: “i problemi connessi alla centralizzazione e decentralizzazione della pianificazione – anche alla luce degli enormi errori avvenuti in ambito sovietico e non solo – sarebbero oggetto di discussione”. 

Come si può vedere uno sguardo rivolto al futuro va oltre i puri assetti economici e mette in gioco questioni che riguardano la politica: il ruolo dello Stato, il senso da dare ad una auspicabile nuova e radicale visione delle libertà e della democrazia. Ma qui si apre un mondo di questioni che va oltre i meriti dell’ottimo lavoro di Schettino.

 

Francesco Schettino, Socializzare i profitti. Le leggi generali dell’economia politica nell’era dell’Antropocene, Pref. di C.E. Mattei, Meltemi, 2025