ONU. TAGLI USA E UE, SUD GLOBALE IN PRIMA LINEA NEL PEACEKEEPING
LO STUDIO DEL SIPRI: IN DIECI ANNI -40% NELLE FORZE DI PACE

(DIRE) Roma, 26 mag. – Il numero dei “peacekeeper” impiegati in missioni multilaterali nel mondo è diminuito del 40 per cento in dieci anni: i dati sono contenuti in un rapporto dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) nel quale si denunciano tra l’altro le conseguenze di tagli e cali di finanziamenti da parte di Paesi contribuenti chiave.

Lo studio è stato diffuso a pochi giorni dalla Giornata internazionale dei peacekeeper dell’Onu, che si celebrerà giovedì 29 maggio.

Gli esperti del Sipri ricordano che nel 2024 sono state attive 61 missioni multilaterali di pace in 36 Paesi o territori, due in meno rispetto al 2023. La maggior parte (21) si è concentrata nell’Africa subsahariana. Diciannove quelle in Europa, 14 in Medio Oriente e Nord Africa, quattro nelle Americhe e tre in Asia e Oceania.

Al 31 dicembre 2024, si riferisce nel rapporto, erano impiegati 94.451 militari e operatori in 57 missioni: il 42 per cento in meno rispetto al 2015 e il 6 per cento in meno rispetto al 2023.

Secondo Claudia Pfeifer Cruz, ricercatrice dell’Istituto, “negli ultimi anni è diventato molto più difficile concordare, avviare e sostenere missioni multilaterali, sia per l’Onu sia per organizzazioni regionali come l’Unione Africana, e questo ha ha conseguenze concrete per i civili sul terreno”.

Nello studio si evidenzia che a minacciare l’efficacia delle missioni sono anche i tagli delle risorse finanziarie.
“Nel 2024 molte operazioni multilaterali di pace hanno subito le conseguenze della carenza di fondi” sottolineano gli esperti del Sipri. “Una crisi di liquidità nel bilancio del peacekeeping dell’Onu, dovuta a pagamenti ritardati o incompleti da parte di Cina, Stati Uniti e altri Paesi, ha inciso su diverse missioni guidate dalle Nazioni Unite”.

Anche le operazioni condotte da organizzazioni regionali hanno affrontato difficoltà finanziarie: la mancanza di fondi ha per esempio contribuito alla chiusura della missione ‘Samim’ in Mozambico lo scorso luglio.

Secondo i ricercatori del Sipri, “nel 2025 le sfide potrebbero diventare ancora più difficili, con finanziatori importanti come Stati Uniti e Paesi Ue orientati a tagliare gli aiuti e le operazioni di pace per privilegiare la spesa nella propria difesa”.

Nel rapporto sono presi in esame casi specifici, utili anche per inquadrare tendenze più generali.
“Nel 2024”, si riferisce nello studio, “i governi della Repubblica Democratica del Congo e della Somalia hanno chiesto alle missioni di pace, precedentemente invitate a ritirarsi, di restare più a lungo, preoccupati dall’avanzata di gruppi armati nelle aree dalle quali le operazioni si erano già ritirate”.

Pfeifer Cruz evidenzia: “Quando le missioni di pace vengono ridotte o chiuse prematuramente si crea un pericoloso vuoto di sicurezza, nel quale i gruppi armati non statali avanzano, sfollando e talvolta uccidendo civili”.

Un altro dato riguarda la composizione delle forze di pace.

“Tutti i primi dieci Paesi contributori di personale militare alle missioni multilaterali provengono dal Sud globale” sottolinea il Sipri.
“Il Nepal è diventato il principale contributore, seguito da Bangladesh e India, con tutti e tre i Paesi impegnati principalmente in missioni Onu”.
Gli altri membri della “top 10” si trovano nell’Africa subsahariana – Ruanda, Uganda, Etiopia, Sudafrica, Burundi e Kenya – o nell’Asia meridionale (Pakistan).