È in nome del popolo palestinese e di tutte e tutti gli oppressi della Terra che si è aperta a Cinisi la due giorni organizzata il 7 e l’8 maggio dall’area della Cgil “Le radici del sindacato”.
Un filo rosso lega la storia e la memoria di Peppino Impastato a quella di chi subisce l’oppressione nel silenzio complice dei potenti e dei governi.
Il ricordo di Peppino e del suo impegno contro ogni forma di oppressione della persona rimanda immediatamente all’attualità dei nostri giorni.
Il silenzio della mafia è lo stesso che oggi copre gli orrori della guerra.
Così non ci sono mezzi termini negli interventi degli e delle ospiti di questa prima giornata.
Non usa mezzi termini Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina, collegata da Udine.
Subito risuonano parole nette. Genocidio, pulizia etnica, annientamento di un popolo. Non c’è più tempo, ci dice. Sotto le macerie di Gaza, nell’orrendo piano del fondamentalismo messianico di Netanyahu, muoiono l’umanità e il diritto internazionale.
Di fronte al massacro dei civili, alla distruzione dei campi profughi, alla loro evacuazione forzata, non bastano vergogna e dolore. Benché il genocidio sia sotto gli occhi di tutti non si riesce a fare nulla contro il sionismo dello Stato di Israele.
La nostra democrazia è fallita, nessuno più in Palestina ci crede. – Non credo più al diritto internazionale – le ha confidato Ahed Tamimi, la giovane palestinese incarcerata per avere schiaffeggiato due soldati israeliani e a cui li governo israeliano ha impedito di usufruire di una borsa di studio all’estero.
Israele è un paese malato di razzismo e colonialismo e tratti di colonialismo e suprematismo ha svelato in Occidente il 7 ottobre. Contro tutto ciò è necessaria l’unità della società civile e delle forze di opposizione capaci di mozioni che spingano i governi a sanzionare pesantemente lo stato di Israele.
Ce lo dice con voce chiara e determinata senza perdere lo sguardo limpido di chi ha la consapevolezza di stare dalla parte giusta della storia.
La stessa determinazione sarà subito dopo nelle parole di tutte e tutti gli altri intervenuti.
Così in quelle del ricercatore e giornalista egiziano Nour Khail, che ha preso parte al movimento rivoluzionario, partito da quello dei lavoratori e dai sindacati, di Patrick Zaki, detenuto nel suo paese, l’Egitto, per 20 mesi con le accuse di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione. E risuona anche nelle parole della mediatrice culturale Najla Hassen che ci racconta come nemmeno il suo paese, la Tunisia, sia un paese sicuro.
Di fronte alla repressione della protesta in Europa ci invitano a fare come Peppino, a rifiutarci di restare in silenzio, ad urlare, a fare rumore. Rifiutarci di essere inattivi è la chiave per agire nel presente in una prospettiva intersezionale, mettendo in comune azioni di lotta ed esperienze da quelle dei lavoratori e delle lavoratrici a quelle delle comunità LGBTQ e dei migranti perché nessuno sarà libero finché non lo saranno tutti.
E così si continua a parlare di lavoro e della sua precarietà, di diritti negati, di libertà di espressione e di dissenso, di parità e differenze di genere, di democrazia a sovranità limitata e della necessità di riprendercela, anche col voto dell’8 e 9 giugno con i 5 sì al Referendum, nella consapevolezza che solo la dignità di un lavoro vero e la possibilità di essere a pieno titolo cittadini e cittadine della comunità in cui si vive ci rendono sicuri, ben più della presenza armata nelle strade. Il sindacato, insieme al mondo del lavoro, deve difendere le libertà individuali e i diritti primari della persona.
E il 9 maggio tutti in corteo da Radio Aut, a Terrasini, a Casa Memoria, a Cinisi, con Peppino, il suo coraggio, le sue idee e le bandiere della Palestina.











