“C’era su un Pianeta lontano lontano…” è una frase che richiama spesso l’ambientazione di racconti di fantascienza, dove i personaggi si trovano in un luogo remoto e spesso sconosciuto, diverso dalla Terra.
In generale, iniziare un racconto in questo modo, crea un forte impatto evocativo e che è spesso utilizzata per creare un senso di avventura, di esotico e di mistero.
E proprio questo senso di esotico mistero, permea anche la recente informazione battuta da alcune agenzie stampa.
Questo genere di notizia, in quest’ultimo decennio, è stata annunciata altre volte, ma mai con una buona previsione di possibilità come sta accadendo ora.
Sto parlando delle ultime osservazioni di un Esopianeta particolare e che sembrerebbe generare prove, per ora provvisorie, del fatto che potrebbe ospitare la vita.
Un team di Cambridge sta, infatti, studiando l’atmosfera di un pianeta chiamato K2-18b e sembra che in essa vi siano state rilevate tracce di molecole che, qui sulla Terra, sono prodotte da organismi viventi, seppur semplici.
Le suddette tracce chimiche, sono state rilevate nell’atmosfera del pianeta dal telescopio spaziale James Webb (JWST) della NASA, attualmente il più preciso “osservatore” di Corpi Celesti posto in orbita terrestre.
In effetti il JWST non sembra essere nuovo a rilevamenti di questo tipo, i quali hanno allertato gli scienziati un paio di altre volte in passato; per questo motivo, il team e gli astronomi indipendenti, sottolineano che sono necessari ulteriori dati per confermare questi risultati.
Il ricercatore principale, il Prof. Nikku Madhusudhan, ha comunque affermato che, nel suo laboratorio presso l’Istituto di Astronomia dell’Università di Cambridge, confidi di ottenere presto la prova definitiva.
Egli ribadisce che:
“Questa è la prova più forte finora che ci sia possibile vita là fuori. Posso realisticamente affermare che potremo confermare questo segnale entro uno o due anni.”
Il pianeta K2-18b è due volte e mezzo più grande della Terra e si trova a 1.110 miliardi di chilometri da noi, nonostante la distanza il JWST è così potente da poter analizzare la composizione chimica dell’atmosfera del pianeta a partire dalla luce che lo attraversa, proveniente dal piccolo Sole rosso attorno al quale orbita.
Grazie a misure interferometriche, infatti, il gruppo di Cambridge ha scoperto che l’atmosfera sembra contenere la firma chimica di almeno una delle due molecole associate alla vita: il dimetilsolfuro (DMS) e il dimetildisolfuro (DMDS). Sulla Terra, questi gas sono prodotti da fitoplancton marino e da alcuni batteri.
L’affermazione del Prof. Madhusudhan è corroborata dal fatto che sia rimasto sorpreso dalla quantità di gas apparentemente rilevata durante una singola finestra di osservazione, affermando che:
“La quantità che stimata di questo gas nell’atmosfera è migliaia di volte superiore a quella che abbiamo sulla Terra, e quindi, se l’associazione con la vita è reale, allora questo pianeta brulicherebbe di vita”.
Ma lo scienziato si è spinto ancora oltre:
“Se confermiamo che c’è vita su K2-18b, dovremmo sostanzialmente confermare che la vita è molto comune nella galassia”.
Nonostante ciò, in questa fase delle analisi vi sono molti “se” e molti “ma”, poiché, in primo luogo, quest’ultima rilevazione non è conforme allo standard richiesto per confermare una scoperta del genere.
I ricercatori, infatti, devono essere sicuri al 99,99999% della correttezza dei loro risultati e non frutto di un caso fortuito.
Ad oggi invece la loro precisione è conforme “solo” al 99,7%, risultato che può sembrare molto, ma non è sufficiente a convincere la comunità scientifica.
Questo risultato è comunque ampiamente superiore a quello ottenuto in un’altra osservazione circa 18 mesi prima, dove la percentuale di precisione era del 68%.
Ma anche se il team di Cambridge ottenesse il risultato sperato, ciò non sarebbe una prova definitiva dell’esistenza della vita sul pianeta; secondo la Prof.ssa Catherine Heymans, dell’Università di Edimburgo e Astronoma Reale Scozzese, indipendente dal team di ricerca rimarrebbe il dubbio circa l’origine di questi gas.
Poiché nonostante, come detto in precedenza, sulla Terra sono prodotti in prevalenza da microrganismi presenti nell’oceano, non si può affermare con certezza che anche su K2-18b l’origine sia biologica, perché nell’Universo accadono moltissime cose strane e non sappiamo quale altra eventuale attività geologica potrebbe essere in atto su questo pianeta e tale da produrre queste molecole.
Questa ultima opinione è condivisa anche dal team di Cambridge, il quale sta lavorando con altri gruppi per verificare se il DMS e il DMDS possano essere prodotti in laboratorio con mezzi non viventi.
Altri gruppi di ricerca hanno proposto ipotesi alternative, non necessariamente legate alla vita, che stanno dando vita (è il caso di dire) ad un acceso dibattito scientifico non solo sulla presenza di DMS e DMDS, ma anche sulla composizione del pianeta.
Tornando per un attimo al discorso legato agli Oceani, il motivo per cui molti ricercatori deducono che il pianeta abbia un vasto oceano liquido è l’assenza di ammoniaca gassosa nell’atmosfera.
La loro teoria è che l’ammoniaca venga assorbita da una vasta massa d’acqua sottostante, ma potrebbe essere spiegata anche da un oceano di roccia fusa, che in questo caso precluderebbe la vita come la intendiamo, afferma il Prof. Oliver Shorttle dell’Università di Cambridge, aprendo però la strada ad eventuali idee riguardanti organismi estremofili.
Il fatto dell’incertezza delle misurazioni è legato al fatto che tutto ciò che sappiamo sui pianeti in orbita attorno ad altre stelle, deriva dalla poca quantità di luce della stella ospite che interagisce con la sottile fascia atmosferica che avvolge i suddetti; si tratta quindi di un segnale incredibilmente debole e che deve essere interpretato, non solo per individuare segni di vita.
Il Prof. Madhusudhan riconosce che c’è ancora una montagna scientifica da scalare se si vuole rispondere a uno dei più grandi interrogativi della scienza, ma crede che lui e il suo team siano sulla strada giusta.