L’ultima edizione del report “Raccontiamo il Bene” dell’Associazione Libera aveva snocciolato un po’ di numeri sui beni confiscati alle mafie, evidenziando come l’Italia abbia saputo reagire alla presenza mafiosa e si sia riappropriata dei propri spazi, creando un modello di cambiamento e speranza: oggi sono ben 1.132 i soggetti della società civile impegnati nella gestione dei beni confiscati, con oltre 600 associazioni, 30 scuole di ogni ordine e grado e numerosi gruppi locali che utilizzano questi beni confiscati per creare nuove opportunità e per dar vita ad un’economia positiva (https://www.pressenza.com/it/2025/03/libera-racconta-il-bene-come-vengono-riutilizzati-a-fini-sociali-i-beni-confiscati-alle-mafie/).

Un’esperienza, quella dei beni confiscati, che vede il nostro Paese all’avanguardia. L’impegno di Libera nella promozione del riuso sociale dei beni confiscati si estende, per esempio, anche in Europa insieme ai partner della rete CHANCE e di recente anche in America Latina. Come ha sottolineato Tatiana Giannone, responsabile nazionale dei Beni Confiscati di Libera: “Dietro ogni numero ci sono storie di associazioni e cooperative che hanno trasformato luoghi di malaffare in spazi di crescita, educazione e comunità. L’impegno collettivo ha rafforzato il nostro tessuto sociale e il supporto delle istituzioni è stato fondamentale, ma il percorso è ancora lungo.”

Ma il percorso non è solo lungo, è anche ad ostacoli e purtroppo qualche inciampo arriva addirittura dalle parti di questo governo. Libera, Cgil, Legambiente, Arci, Avviso Pubblico, Forum Terzo Settore, Legacoop hanno inviato una lettera all’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, al CNEL e al Ministero delle Imprese e del Made in Italy per esprimere forti perplessità e preoccupazione rispetto all’Accordo sul tema della destinazione dei beni confiscati alle mafie e alla corruzione:

“Riteniamo – scrivono le associazioni – che ogni iniziativa sul tema, per essere davvero efficace, debba nascere da una condivisione tra tutti i soggetti sociali e istituzionali che in questi trent’anni hanno dato vita e vivacità allo strumento del riutilizzo dei beni sottratti alla criminalità organizzata, per rafforzare lo spirito della legge Rognoni La Torre, di Libera, che alla legge 109\96 ha dato i natali, e di tutto il movimento Antimafia, nell’ottica di un’assunzione comune di responsabilità”.

Sono molte le ragioni di preoccupazioni. “La prima, e quella più evidente, riguarda una confusione di fondo tra beni immobili in generale e beni riconducibili ad aziende sottoposte a confisca. Riteniamo che accorpare queste due diverse categorie di confisca rischi di allargare l’approccio privatistico anche ai beni immobili, per i quali l’affitto oneroso e la vendita devono rimanere l’extrema ratio”.

In secondo luogo, “prevedere che per le aziende la via prioritaria debba ritenersi l’affitto a titolo oneroso e solo secondariamente l’assegnazione in comodato a lavoratori dipendenti della stessa rappresenta una inspiegabile inversione di priorità. Per di più, nulla viene specificato nell’accordo rispetto alla disciplina della gestione e del riutilizzo di questi ricavi. Quanto alle ulteriori modalità di affidamento della gestione, nel testo si citano non meglio precisate “società miste”, che appaiono, anche in questo caso, favorire l’assegnazione prioritaria di tali attività a soggetti privati.”

La legge sul riuso a fini sociali dei beni confiscati è chiara e per questo i firmatari della lettera chiedono “che si riattivino gli organi consultivi già esistenti, come il Comitato Consultivo dell’ANBSC e il Forum “Imprese e legalità del CNEL”, in un tavolo di lavoro con il Terzo settore, il movimento cooperativo, i sindacati e le associazioni di enti locali per rivedere e arricchire l’articolato, e per disegnare una diversa filiera di coinvolgimento delle istituzioni nazionali, volta a garantire il riuso sociale come strumento cardine della lotta alle mafie e alla corruzione. Allo stesso tempo, chiediamo che gli enti locali possano mantenere centralità nella filiera di destinazione, come la normativa antimafia richiede, e che le procedure di co-progettazione e co-programmazione richiamate siano al centro dell’operato, per attivare energie produttive dal basso, che possano riportare sviluppo ed economia sul territorio interessato”.

Qui la lettera: https://www.forumterzosettore.it/files/2025/04/lettera_anbsc_cnel_mimit_8aprile25.pdf.