1. Governare sulle menzogne sparate contro i migranti e le garanzie previste dallo Stato di diritto costituisce la cifra comune di tutti i partiti di destra nel mondo. In Europa il governo Meloni cerca da tempo di nascondere i suoi fallimenti, sul piano internazionale, e sul piano interno, vantando inesistenti successi nelle politiche di confinamento, di esternalizzazione e di allontanamento forzato, nei confronti degli immigrati irregolari, come dei richiedenti asilo denegati, e poi condannati ad una feroce criminalizzazione.

La presidente Meloni ha dichiarato di ritenere “positiva la proposta di anticipare l’entrata in vigore di alcune componenti del Patto Migrazione e Asilo, in particolare la possibilità di designare Paesi sicuri di origine con eccezioni territoriali e per determinate categorie e di applicare il criterio del 20%. Si tratta infatti di fattispecie che consentono di attivare le procedure accelerate di frontiera ai migranti che arrivano da determinate Nazioni, come previsto dal Protocollo Italia-Albania.”

La proposta di anticipare “l’entrata in vigore” di una lista di paesi di origine sicuri comune per tutti gli Stati membri non potrà essere accolta senza abrogare la vigente Direttiva procedure 2013/32/CE. La  “difesa dei confini esterni” e ” il contrasto all’immigrazione irregolare di massa”, sono obiettivi che non possono essere perseguiti con l’utilizzo di procedure e categorie che comportano prassi discriminatorie con lo svuotamento del diritto di asilo garantito dagli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. L’utilizzo della categoria di “paesi di origine sicuri” rimane consentito solo nei casi di procedure accelerate in frontiera, alle frontiere esterne dell’Unione europea, dunque, e nei territori all’interno degli Stati membri.

Il Protocollo Italia-Albania che prevede la possibilità di utilizzare con grande discrezionalità la categoria dei paesi di origine sicuri per le procedure accelerate in frontiera, esternalizza la gestione delle procedure di asilo, di trattenimento e di rimpatrio in un paese terzo non appartenente all’Unione europea, in contrasto con quanto previsto oggi dal vigente diritto euro-unionale, ed in prospettiva con la disciplina che sarà introdotta nel 2026 con i Regolamenti che daranno attuazione al Patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

Secondo quanto comunicato dalla Commissione europea, si vorrebbe “Anticipare gli elementi chiave del Patto: la Commissione propone di applicare due importanti norme del Patto già prima della sua entrata in vigore a giugno del prossimo anno. Queste norme riguardano: la soglia del tasso di riconoscimento del 20%: gli Stati membri possono applicare la procedura di frontiera o una procedura accelerata alle persone provenienti da paesi in cui, in media, il 20% o meno dei richiedenti ottiene protezione internazionale nell’UE. I paesi terzi sicuri e i paesi di origine sicuri possono essere designati con eccezioni, offrendo agli Stati membri maggiore flessibilità escludendo regioni specifiche o categorie di persone chiaramente identificabili.

La Commissione propone inoltre di istituire un primo elenco UE di paesi di origine sicuri. Alcuni Stati membri dispongono già di elenchi nazionali di paesi di origine sicuri. Un elenco UE integrerà tali elenchi e sosterrà un’applicazione più uniforme del concetto, consentendo agli Stati membri di trattare le domande di asilo dei cittadini dei paesi presenti nell’elenco con una procedura accelerata, sulla base del fatto che è improbabile che le loro domande abbiano successo.

Non c’è ancora alcuna decisione europea, dunque, sulla Proposta della Commissione di anticipare  l’entrata in vigore di alcune componenti del Patto Migrazione e Asilo, in particolare la possibilità di designare Paesi sicuri di origine con eccezioni territoriali e per determinate categorie e di applicare il criterio del 20%. Il criterio del 20% comporta lo svuotamento sostanziale del diritto di asilo perché non tiene conto dei casi di riconoscimento della protezione complementare o speciale, rende molto più veloci le procedure di asilo, consentendo dinieghi lampo per manifesta infondatezza della domanda, limitando i diritti di ricorso, e consentendo i rimpatri forzati anche prima dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, per coloro che provengono da paesi che hanno avuto un tasso di riconoscimento di domande di protezione internazionale inferiore al 20 per cento. Confondendo “paesi di origine sicuri” e “paesi terzi sicuri” si tratta di parti diverse di Regolamenti europei approvati lo scorso anno con il Patto sulla migrazione e l’asilo, che per diventare esecutivi devono attendere il 2026.

Tutto quanto approva la Commissione in questa materia, per diventare atto legislativo, dunque vincolante per gli Stati, deve essere approvato, al termine di una procedura di confronto prima, e codecisione poi, dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea. La stessa procedura vale per gli stralci e gli emendamenti che si vorrebbero apportare adesso, come nel caso della “lista comune dei paesi di origine sicuri”. Tutto il resto rimane a livello di annunci politici.

La Commissione europea ha dunque adottato soltanto una proposta legislativa che contiene la lista dei Paesi di origine sicuri a livello dell’Unione. La Commissione riconosce quindi che il  *Regolamento sulle procedure di asilo (UE) 2024/1348)  entrerà in vigore nel 2026, ma aggiunge che con la proposta legislativa odierna, che introduce la lista dei Paesi di origine sicuri a livello dell’Unione, possono anticiparsi alcune previsioni del futuro Regolamento procedure (c.d. frontloading) poiché tale proposta sarebbe basata sulle pertinenti disposizioni del nuovo Regolamento. La proposta della Commissione indica così i criteri generali per la stesura delle liste nazionali dei Paesi di origine sicuri: che potranno esser designati tali anche se in parti del territorio o per singoli gruppi non sono sicuri.

Ma se si legge il Regolamento sulle procedure di asilo1348/2024/UE per intero, questo contiene anche criteri di garanzia che consentono di escludere tale carattere di “sicurezza” del paese di origine quando le cd. eccezioni personali siano troppo estese. Forse si vuole fare entrare in vigore anticipatamente la parte restrittiva del nuovo Regolamento, sui criteri di designazione dei paei sicuri, senza le norme di garanzia in favore dei richiedenti asilo, che pure sono previste. Di certo, stando alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, da ultimo il richiamo d’obbligo è alla nota sentenza del 4 ottobre 2024, i nuovi criteri proposti dalla Commissione non possono coesistere con le vigenti Direttive sulle procedure di asilo (2013/32/UE) e sui rimpatri (2008/115/CE).

Con una valutazione che suscita notevoli perplessità, la Commissione ritiene “che i paesi candidati all’adesione all’Ue soddisfino in linea di principio i criteri per essere designati come paesi di origine sicuri, dato che, nel quadro del loro percorso di adesione all’Ue, si sforzano di raggiungere la stabilità delle istituzioni che garantiscono la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani e il rispetto e la protezione delle minoranze”. Si tratta, esclusa l’Ucraina per il conflitto in corso, di Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia. Anche la Moldova, con la regione della Transnistria, che pure era stata oggetto della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024. 

In quel caso si trattava del rinvio pregiudiziale presentato dal Tribunale regionale di Brno (Repubblica Ceca) a seguito di un ricorso contro un diniego di asilo presentato da un cittadino moldavo. Il ministero dell’interno della Repubblica Ceca aveva respinto la richiesta di protezione internazionale per manifesta infondatezza in quanto il richiedente asilo proveniva da Paese di origine sicuro. Infatti, secondo l’elenco nazionale, la Moldavia, fatta eccezione della Transnistria, rientrava tra i Paesi terzi che la Repubblica Ceca considera(va) di origine sicura. In quel caso la Corte di giustizia UE dichiarava che “l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un Paese terzo sia designato come Paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni materiali per tale designazione di cui all’allegato I di detta direttiva”.

La Corte di Lussemburgo, tra le motivazioni della sua decisione, affermava dunque che l’attuale art. 37 della Direttiva procedure 2013/32/UE non consente esplicitamente la possibilità di designare un Paese come sicuro limitatamente a porzioni di territorio, a differenza di quanto previsto dal nuovo Regolamento procedure (UE) 2024/1348).

La Corte, a proposito della differenza tra quanto previsto dalla direttiva procedure e dal Regolamento, aggiungeva che rimane prerogativa del legislatore dell’Unione riconsiderare tale scelta di “designazione selettiva” del Paese di origine sicuro, ma sempre rispettando “le prescrizioni derivanti in particolare dalla Convenzione di Ginevra e dalla Carta”, garantendo comunque un esame adeguato ed esaustivo della domanda e un accesso effettivo del richiedente alle garanzie di difesa e ai principi fondamentali già previsti dalla Direttiva 2013/32/CE attualmente in vigore. I giudici nazionali potranno così valutare se il “nuovo bilanciamento” effettuato dal legislatore sia conforme o meno ai principi sottesi alla Convenzione di Ginevra e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Nella prospettiva adottata adesso dalla Commissione, un Paese candidato all’ingresso nell’Unione europea verrebbe escluso solo in alcune circostanze specifiche, come violenza indiscriminata in situazioni di conflitto, sanzioni adottate dal Consiglio nei suoi confronti o un tasso di riconoscimento dei richiedenti asilo in tutta l’UE superiore al 20%.

Non si vede però come, in base a questi criteri, si possa ammettere che nell’elenco dei paesi di origine sicuri possa rientrare anche la Turchia, a fronte delle sistematiche violazioni dei diritti umani inflitte alla popolazione curda, e ad altre minoranze o gruppi di opposizione presenti in quel paese. Feroci repressioni, ordinate a ripetizione dal premier Erdogan, colpiscono da anni giornalisti, giudici ed avvocati, dimostrando come non si possa parlare di democrazia e di Stato di diritto.

Eppure, l’Unione europea, con la designazione della Turchia come paese di origine sicuro, continua a privilegiare il governo turco come guardiano dei confini esterni orientali dell’Unione, dopo anni nei quali Erdogan ha incassato miliardi di euro per l’attuazione degli accordi di riammissione stipulati con gli Stati membri nel 2016. E’ davvero la fine del diritto di asilo nell’Unione europea.

La presentazione della proposta con la lista UE di Paesi di origine sicuri era stata da ultimo anticipata nella lettera della Presidente della Commissione al Consiglio europeo di marzo. Nella lettera, la Presidente Von der Leyen aveva in particolare chiarito che la lista era in via di finalizzazione con un primo gruppo di Paesi “selezionati sulla base di criteri oggettivi, tra cui il basso tasso di accoglimento delle richieste di asilo”, e che avrebbe costituito un elenco dinamico, soggetto ad ampliamenti o revisioni. Si indicavano Bangladesh, India, Egitto, Tunisia, Marocco, Colombia e Kosovo, elenco da contemplare in un annesso che dovrebbe essere inserito come emendamento del Regolamento sulla procedura di asilo, approvato lo scorso anno, con il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, ma non ancora entrato in vigore.

La riunione “informale” sul “fenomeno migratorio” di alcuni capi di governo europeo, indetta dalla presidente del consiglio Meloni il 20 marzo, non ha avuto alcuna incidenza sui lavori del Consiglio europeo, che si è limitato a prendere atto della lettera della Presidente della Commissione europea Von der Leyen, in linea con il securitarismo che sta caratterizzando sempre più questa presidenza, senza neppure esprimere una posizione precisa in merito alla proposta di utilizzare paesi terzi come “hub di rimpatrio”.

A livello europeo non c’è ancora accordo sulla nozione di “paese terzo sicuro”, da distinguere dalla nozione di “paese di origine sicuro” su cui dovrà pronunciarsi la Corte di Giustizia UE sulle questioni pregiudiziali sollevate dai giudici italiani in materia di trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo nelle procedure accelerate in frontiera.

Nelle posizioni della presidente della Commissione, nel solco di una politica di esternalizzazione già evidente nel 2023, non si va oltre la mera constatazione, già espressa lo scorso anno in una analoga lettera della Von der Leyen al Consiglio UE, che l’accordo sul Patto non esaurisce la riflessione sugli strumenti a nostra disposizione, molti Stati membri stanno studiando strategie innovative per prevenire la migrazione irregolare, affrontando le domande di asilo più lontano dalla frontiera esterna dell’Ue“.

Ma da questi passaggi, ribaditi nella lettera sulle politiche migratorie inviata dalla Von der Leyen al Consiglio Ue del 20-21 marzo, incentrata soprattutto sul rafforzamento di Frontex e sulla sua accresciuta capacità negoziale con i paesi terzi in materia di rimpatri, non si può ricavare alcuna base legale utilizzabile nell’immediato per la formulazione di una lista di paesi di origine sicuri con efficacia legislativa, e quindi neppure sul trattenimento amministrativo di richiedenti asilo nei centri di detenzione previsti dal Protocollo Italia-Albania. Un “modello” al quale qualcuno in Europa guarda con interesse, ma senza che sia all’orizzonte un ulteriore sostegno economico o una regolamentazione comune delle procedure accelerate alle frontiere (fittizie) esternalizzate nei paesi terzi.

Secondo la odierna posizione della Commissione, la proposta di un Annesso al futuro Regolamento sulle procedure di asilo si basa su un’analisi dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e attinge ai dati degli Stati membri e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Non è dunque vero che, “come richiesto dall’Italia”, la proposta legislativa consentirà, sia di valutare con la procedura accelerata le domande di asilo presentate dai cittadini di un paese terzo per il quale la percentuale di decisioni di “riconoscimento della protezione internazionale a livello UE è pari o inferiore al 20 %,” sia di designare un paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale, con “eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili”.

Questa previsione deriva non da una “richiesta” dell’Italia, ma da quanto approvato con il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo nel 2024, dopo anni di trattative, e con i Regolamenti europei che ne sono derivati, La percentuale indicata si trova nel Regolamento sulle procedure di asilo che entrerà in vigore soltanto nel prossimo anno, dove peraltro non è prevista in modo separato, come viene letta da alcuni improvvisati commentatori che devono fare propaganda per il governo Meloni, ma è assistita da una cospicua serie di garanzie in favore dei richiedenti asilo. Sarebbe importante piuttosto conoscere dal governo a che punto è il Piano nazionale di implementazione del Patto e dei nuovi Regolamenti che doveva essere comunicato a Bruxelles alla fine dello scorso anno, e del quale nel nostro paese non si sa ancora nulla.

La lista comune di paesi di origine sicuri, che la Commissione europea proporrà al Consiglio ed alla Commissione nei prossimi mesi, non può essere strumentalizzata come un successo del ruolo giocato a livello europeo da Giorgia Meloni e dal ministro dell’interno Piantedosi. Come se potesse legittimare il Protocollo Italia-Albania, criticato anche dal Comitato ONU per i diritti umani.

Nessuno può esultare per la “sconfitta” di quella parte della magistratura, definita come “toghe rosse” che lo scorso anno ha rilevato prassi illegittime in materia di procedure accelerate in frontiera e non ha applicato norme interne che confliggono ancora oggi con il vigente diritto dell’Unione europea, oltre che con le Convenzioni internazionali che garantiscono i diritti fondamentali della persona ed il diritto di asilo, a prescindere dalla sua nazionalità e dal suo status giuridico. In base all’art.101 della Costituzione il giudice non deve rispondere ad una maggioranza politica. Se la giustizia è amministrata in nome del popolo, i giudici sono soggetti soltanto alla legge, da intendere nella scala gerarchica delle fonti del diritto segnata dall’art.117 della stessa Costituzione.

Da tempo ormai la Commissione europea, che si basa su una fragile maggioranza all’interno del Parlamento europeo, ci ha abituato a comunicati personali di portavoce, se non di singoli Commissari, sui criteri di designazione dei paesi di origine sicuri, che rispondono più a calcoli di bilanciamento politico, che al rispetto dei Trattati e delle Convenzioni internazionali. Ed è innegabile che l’ondata delle destre populiste e xenofobe in Europa non si è affatto arrestata e condiziona sempre più pesantemente le decisioni legislative (poche) che si riescono ad adottare a livello di Unione europea. Sulle nuove regole in materia di designazione di paesi di origine sicuri, grimaldello per svuotare il diritto di asilo, si sono scatenate vere e proprie campagne diffamatorie sui social.

Si è così legittimata una narrazione distorta, che ha trovato larga eco nell’opinione pubblica, che ha in sostanza capovolto nel senso comune quel principio fondamentale affermato nel Protocollo sul traffico di migranti allegato alla Convenzione ONU del 2000 contro il crimine transnazionale, secondo cui nessuna disposizione del Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento (art,19).

Lo stesso articolo prevede che le previsioni che contiene vadano interpretate ed applicate in modo non discriminatorio. Nello stesso senso, a protezione dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento, il Regolamento n.656/2014/UE (Frontex) prevede (art.4) che “Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento”. […]

6. Comunque venga configurata una lista di paesi di origine sicuri, rimane impregiudicato il potere dovere del giudice di valutare, in sede di convalida del trattenimento, o di ricorso sul diniego di una richiesta di asilo, la legittimità della designazione, anche in assenza di una specifica eccezione dell’interessato. La Corte di Cassazione, nella sentenza 19 dicembre 2024, n. 33398, sulla base di quanto statuito dalla Corte di giustizia (Grande Sezione) nella sentenza in data 4 ottobre 2024 con riguardo al dovere di esame completo ed ex nunc imposto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali ha affermato che, in relazione a un giudizio di impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale, il giudice ordinario, sebbene non possa sostituirsi all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ha, nondimeno, il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia, anche tenendo conto delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32, aggiornate al momento della decisione.

E ancora “Questo stesso principio non può non valere – opportunamente declinato e adattato in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento di convalida – là dove il giudice è chiamato a valutare la legittimità del trattenimento”. Dunque “La valutazione di sicurezza contenuta nel decreto ministeriale, cioè, non impedisce al giudice di prendere in considerazione specifiche situazioni di persecuzione che per il loro carattere esteso e generalizzato siano tali da rendere il Paese obiettivamente insicuro”.  

Considerazione che non viene superata oggi che la lista dei paesi di origine sicuri è contenuta in una legge ordinaria, che però fa riferimento a criteri ancora troppo generici, senza richiamare, come avveniva in precedenza, le cd. schede paese, sena fare ricorso, in altri termini, ad una propria valutazione analitica, paese per paese. Analoga valutazione potrà, anzi dovrà, fare anche dopo l’adozione europea di una lista di paesi di origine sicuri, il giudice prima di pronunciarsi sul trattenimento del richiedente asilo, o del diniego sulla sua istanza di protezione. A questo punto “potrebbe ritenersi ragionevole – oltre che maggiormente conforme alla lettera dell’allegato I – che la designazione del paese sicuro risponda a un criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza, a condizione, tuttavia, che la presenza di eccezioni soggettive tanto estese nel numero, accompagnata da persecuzioni e menomazioni generalizzate ed endemiche, non incida, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto.

La Commissione UE, con la nuova proposta dei paesi di origine sicuri conferma comunque una posizione già emersa nel parere dato dall’avvocato generale della Corte di Giustizia UE a proposito della questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Roma sulla designazione dei paesi di origine sicuri da parte dell’Italia, prima con decreto interministeriale, adesso con legge. Secondo la Commissione, che richiama l’esigenza di rispettare i diritti fondamentali della persona, “Gli Stati membri devono comunque valutare ogni domanda individualmente, con tutte le garanzie procedurali previste. Questo indipendentemente dalla provenienza del richiedente. La proposta attuale non modifica questo principio”Piuttosto che una vittoria del governo Meloni, su questo punto si deve segnalare una conferma dell’orientamento dei Tribunali italiani che hanno sollevato le questioni pregiudiziali, e difficilmente la Corte di Giustizia UE potrà discostarsi da questo orientamento.

7. L’esame tecnico della nuova lista di “paesi di origine sicuri” dovrebbe cominciare in sede di Consiglio europeo il 24 aprile prossimo nel contesto del Gruppo di lavoro sull’Asilo. Ma è evidente che i tempi di approvazione di un atto con portata legislativa, e dunque vincolante per gli Stati membri, a seguito della procedura di codecisione tra Consiglio e Parlamento, saranno ancora molto lunghi. Rimane assolutamente imprevedibile l’esito finale di questa procedura, perché probabilmente alcuni Stati membri, e tra questi l’Italia, vorrebbero disposizioni ancora più restrittive che non sono ancora contenute nel Regolamento sulle procedure di asilo approvato lo scorso anno con il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo. Ciascun paese europeo sarà poi nelle condizioni di dovere rivedere le proprie priorità finanziarie, tenendo conto dei processi di riarmo in corso.

E’ sempre più evidente il rischio che la macchina mediatica attivata da esponenti di governo e giornalisti al loro servizio contro la magistratura, anche con dossieraggi ed attacchi diffamatori nei confronti di singoli giudici, che osano smentire gli indirizzi del governo, determini nell’opinione pubblica, al di là delle sentenze della giurisdizione interna e delle Corti internazionali, uno smottamento verso una deriva populista ed autoritaria. E di questo, non meno che della lotta all’immigrazione irregolare, che si dovrebbero preoccupare tutti i cittadini che non accettano di diventare sudditi o di vivere in un paese che discrimina anche sul piano del riconoscimento dei diritti fondamentali della persona.

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