Il titolo scelto per l’assemblea nazionale di Non una di meno (NUDM), ospitata al Palazzo Ducale di Genova sabato 12 e domenica 13 aprile, è “Sciogliere nodi e tessere trame: uniamo le lotte contro la violenza patriarcale, la guerra e la militarizzazione per una trasformazione radicale dell’esistente, dei linguaggi e delle nostre vite”.
La scelta, nel titolo e nella locandina, della metafora della tessitura, un tema ricorrente del femminismo degli anni Settanta-Ottanta, segna una continuità con il movimento transfemminista di oggi. La centralità e importanza della sede dell’assemblea ci racconta sia delle ambizioni delle attiviste locali sia della disponibilità delle istituzioni della città a dare visibilità al movimento transfemminista. Dimostra anche il riconoscimento da parte delle istituzioni, per lo meno quelle genovesi, della necessità di affrontare il nodo della violenza sulle donne.
Lea Melandri, una femminista appunto di quegli anni, in un suo commento su FB, riconosce il grande lavoro del movimento transfemminista e si rammarica della mancanza di appoggio da parte di tante colleghe e colleghi: “Sono meravigliata di quanto resti invisibile anche a persone politicamente impegnate la presenza in Italia di un movimento come NUDM (Non una di meno) che ininterrottamente, da dieci anni, porta in piazza centinaia di migliaia di persone, che sulla violenza contro le donne ha incalzato senza sosta la coscienza di un paese profondamente maschilista, che sulla guerra, la sua radice nel patriarcato, i suoi nessi con tutte le forme di dominio, dal classismo al razzismo al colonialismo, fa analisi e mobilitazioni quasi del tutto ignorate”.
Si susseguono serrati gli interventi all’interno di Palazzo Ducale, apre l’assemblea la compagna di Cagliari a cui fa seguito il nodo di Pisa, Torino, Palermo, Roma, Reggio Emilia, Bologna, Padova, Trieste, Genova, chiude Matera.
“In questo momento difficile che travolge le vite di tutte e di tutti noi, in cui il patriarcato e il capitalismo continuano a spingerci sempre più in basso, cercando di silenziarci e di riportarci all’ordine con ogni mezzo a loro disposizione, essere qui, oggi, in tante, da tutte le parti d’Italia, significa che a tutto questo rispondiamo”. Sono le parole di apertura dell’intervento della rappresentante del nodo di Pisa e rendono l’idea dello stato d’animo diffuso tra le partecipanti dell’assemblea nazionale.
L’urgenza di riflettere sul movimento, sulle nuove direzioni, partendo dall’analisi della realtà del mondo di oggi, è molto viva da più parti: “Vogliamo interrogarci sul ruolo del Movimento femminista e transfemminista in questa fase dopo nove anni dalla nascita del movimento e a maggior ragione in un contesto di guerra globale, di ascesa delle destre neofasciste in tutto il mondo, di una crisi economica senza precedenti, abbiamo un gran bisogno di momenti come questi in cui confrontarci sulle risposte, sulle pratiche e sulle nostre forme organizzative fuori dalla ritualità” dice il nodo di Torino.
Diffusa è l’affermazione della maturità del movimento, da nord a sud: “Con la capacità enorme che abbiamo di mobilitare ovunque in ogni piccola provincia di questo paese come nelle grandi città, in ogni luogo in cui c’è questa possibilità, anche quando provano a negarcela” dice la rappresentante di Pisa in linea con Bologna. “La grossa capacità di mobilitazione che ha il movimento, come dimostrano le piazze dello sciopero e degli ultimi giorni contro i femminicidi, deve renderci consapevoli che abbiamo una grossa responsabilità”.
La consapevolezza della maturità del movimento si accompagna anche ad un’analisi dei punti di forza. “Non una di meno” ha saputo svilupparsi con una sua agenda e su questa è rimasta ancorata, pur occupando spazi diversi senza timore di contaminarsi: “La forza del movimento transfemminista è proprio nella capacità di individuare delle priorità chiare e stare dentro le lotte con una cornice forte, capace di tenere insieme tutti i pezzi, senza bisogno di ritagliarci un nostro spazio e un nostro discorso esclusivo, senza paura di diluirci, ma avendo fiducia nella forza che possiamo avere nel condividere, contaminare spazi diversi”.
Molte analisi si focalizzano sulla nuova realtà attuale e rivendicano per il movimento una posizione di contrasto alla guerra: “Dobbiamo avere la fermezza e la sicurezza che possiamo costruire un movimento forte, un movimento che in questo momento rappresenta di per sé un dispositivo di sabotaggio di quello che è l’ordine della guerra”. Forse non è un caso che ad aprire l’assemblea, il primo intervento del nodo di Cagliari sia sulla questione cruciale della militarizzazione.
L’intervento si è basato sulla ricerca pubblicata lo scorso novembre, condotta sul territorio della Sardegna, della professoressa dell’Università di Cagliari Aide Esu che quantifica lo stato di militarizzazione presente nell’isola e le resistenze locali a questa nuova colonizzazione.
La stessa preoccupazione viene esternata nell’intervento che segue a ruota, dal nodo di Pisa: “Da anni ormai vediamo un processo di militarizzazione che si sta diffondendo ovunque sul territorio toscano. L’abbiamo detto tante volte, si tratta di un processo di militarizzazione molto diffuso, che ha la caratteristica di essere molto veloce e molto violento, passa dal territorio alla società, attraversando le scuole e l’università e tutti gli ambiti della società”.
La parola militarizzazione è il mantra di questa assemblea, nelle analisi più approfondite di Cagliari e Pisa, ma più in generale viene riportata in quasi ogni intervento, come preoccupazione generale, come stato delle cose, che ormai si accompagna alle situazioni più consolidate di crisi.
“Non una di meno” è un movimento che ha sviluppato quelli che sono stati i cardini della riflessione, più che femminista degli anni Settanta e Ottanta, quella eco-femminista, cioè la necessità di opporsi all’oppressione in tutte le sue diramazioni, la necessità di analizzare la violenza del sistema in tutte le sue declinazioni, la necessità di opporsi all’economia capitalista e alle sue ingiustizie. “Nella lotta all’oppressione sta il rifiuto alla guerra, al genocidio, al militarismo e allo sfruttamento” – dice la compagna di Bologna – “Osservare la violenza, violenza patriarcale, come paradigma che costruisce l’oppressione, ci ha permesso di prendere parola contro la piazza per l’Europa che si è tenuta a Bologna; una piazza che si nasconde dietro la difesa dei diritti civili e che invece apre la strada al riarmo, continua a rafforzare la ‘Fortezza Europa’ rendendo i confini sempre più violenti”.
Sempre la rappresentante dell’assemblea di Bologna affronta il nodo delle persone trans: “Ci teniamo come prima cosa a sottolineare l’attacco alle persone trans che unisce le politiche transfobiche degli Stati Uniti con quelle nostrane innanzitutto all’interno delle università” – e in modo ancora più incisivo – “Lo sappiamo bene che non può esistere nessuna lotta transfemminista senza le persone trans”; ma le riflessioni vanno anche oltre: “soprattutto dopo la gigantesca mobilizzazione seguita al femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo notato che anche se le mobilitazioni sono giuste, partono da prospettive individualiste e propongono tendenzialmente attenzione a femminicidi specifici di giovani donne cis, bianche ed escludono le numerosissime anziane, le disabili, i trans e le migranti”.
L’appello a cercare alleanze, ad aprirsi a realtà diverse, a rimanere unite nel movimento da nord a sud, è il leitmotiv di tanti intervento: “Per affrontare le difficoltà poste da quanto ci circonda, abbiamo bisogno di apertura, relazioni, alleanze e dobbiamo costruirle a partire da lotte e temi comuni, anche a fronte di posizionamenti diversi”.
Conclude gli interventi dei gruppi la compagna di Matera: ”In una società che ci vuole silenziose, separate, spezzate e addolorate, noi facciamo della condivisione del trauma, una pratica di resistenza, la collettivizzazione del dolore, come atto politico e radicale”.
Sempre la compagna di Matera passa ad affrontare poi le questioni inerenti al vivere al Sud, la questione che, come ci tiene a dire, è ancora la questione meridionale: “Come nodo di Matera, come Sud, e come parte viva di Non una di meno, non possiamo dimenticare o ignorare le disuguaglianze che attraversano i nostri territori, perché il transfemminismo è la lente che ci permette di vedere la connessione tra lo sfruttamento dei corpi e quello dei territori, tra la violenza maschile e quella industriale, la devastazione ambientale.
Ora siamo a primavera che non è solo sinonimo di rinascita, ma è anche quel particolare momento dell’anno in cui ricomincia lo sfruttamento nei campi in Basilicata come in Puglia come in Calabria. Il caporalato si riattiva con le stagioni, i furgoni, le braccia spezzate, le giornate intere sotto il sole, per pochi euro, senza tutele, senza diritti e senza voce. E troppe di quelle braccia sono braccia di donne, di immigrati, di corpi che resistono e che chiedono giustizia.
Siamo stanche di vedere le nostre terre trasformate in un campo di prigionia, saccheggiate, svuotate, trasformate in discariche dei diritti umani, sacrificate da Eni e da Shell che chiamano progresso quello che si deve chiamare colonizzazione”. Conclude l’intervento con una nota di speranza rivolta alle tante compagne in sala: “La primavera è arrivata, promettiamoci oggi di rifiorire, di rifiorire ovunque possiamo essere ma soprattutto ovunque noi possiamo resistere”.