“Chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra”. 

Questa citazione di Calamandrei, che gira nei social, sembra cadere a pennello rispetto alla follia del riarmo europeo, che pretende di farci credere che più ci si arma più si allontana la guerra. Lo storico Barbero ha spiegato di recente che da questa falsa idea è nata “la grande guerra” e con essa, trent’anni di follia fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale. In sostanza: più ci si arma più si spinge l’altro, colui che viene classificato come “il nemico”, a fare lo stesso, in una spirale che sembra senza fine, ma che da ultimo non può non trovare conclusione se non nel fatto che la guerra, al minimo pretesto, scoppia sul serio.

La deterrenza è una falsa idea, che oltretutto favorisce sempre il più forte. Il possesso inflazionato di armi letali è quello che crea le gerarchie di dominio delle grandi potenze, e che può essere preso in considerazione, a volere esagerare, dai soli paesi del G20, costringendo i restanti 170 paesi del mondo a subire le angherie dei più potenti (anche se la storia recente ci insegna che la resistenza popolare può anche fermare l’invasore superpotente senza bisogno di riarmi preventivi. Il Vietnam è un esempio su tutti, e in tempi più recenti si si può pensare all’Afghanistan, ovviamente a prescindere da tutto il male che giustamente si può pensare dei Talebani).

Va inoltre considerato che l’idea di un’Europa riarmata con lo scopo di realizzare una difesa comune, deve anche fare i conti con una pletora di Stati sovrani (27 solo l’UE, più paesi NATO come il Regno Unito), oggi uniti in funzione antirussa. Ma domani?

A tal proposito ricordiamo che il rapporto dell’Europa con la guerra è sempre stato caratterizzato da un doppio standard: da una parte la guerra interna per stabilire gli equilibri di potere nell’ambito del vecchio continente e dall’altra parte la guerra totale e distruttiva nei confronti del resto del mondo. È così dal tempo delle crociate quando i contrasti interni venivano momentaneamente sospesi (almeno in teoria) in nome di un interesse superiore. 

Poi l’unità di fede si spezzò e con la nascita degli Stati nazionali e le guerre di religione l’idea del conflitto finalizzato all’annientamento dell’avversario divenne parte della storia delle vicende di casa nostra. La situazione mutò ancora con la pace di Westfalia del 1648, grazie alla quale i rapporti tra gli Stati europei vennero regolati dalla nascita del moderno diritto internazionale, già ipotizzato pochi anni prima da Ugo Grozio. Si assistette allora al ritorno del doppio standard, tanto da fare affermare a Carl Schmitt che in ambito europeo si poteva parlare di un carattere “rituale” della guerra, a differenza (aggiungiamo noi) della guerra genocidaria e di sostituzione etnica prodotta nei confronti del resto del mondo.

Tuttavia, è proprio questo senso di appartenenza conflittuale al nostro continente e di diversità da marcare rispetto al resto del mondo, che caratterizza gli Stati europei, che ha prodotto l’idea che possiamo definire della “Grande Europa”, determinando, in alcuni momenti storici, lo scontro armato senza quartiere per stabilire chi avesse i titoli e le caratteristiche per assumere la guida del grandioso progetto di ricomposizione, ovviamente  soggiogando gli altri popoli del continente. 

Se mi si passa l’ironia, direi che paradossalmente i più grandi europeisti della storia sono stati Napoleone e Hitler. Il primo convinto che alla base della Grande Europa dovesse stare la grandeur francese, figlia (illegittima) della Rivoluzione vittoriosa. Il secondo persuaso che la (inventata) specificità etnica dei popoli europei fosse rappresentata dalla purezza “ariana” del popolo tedesco. Entrambi, guarda caso, finirono per sbattere il muso, da una parte con l’appendice atlantica (e “atlantista”) del vecchio continente (il Regno Unito prima e gli Usa in epoca recente), e dall’altro lato, e direi soprattutto, con la Russia, che in qualche modo rappresenta idealmente (e di fatto solo ipoteticamente) lo spauracchio della possibilità alternativa della “Grande Eurasia”.

Senza la pretesa di approfondire in questa sede complessi riferimenti storici, mi pare tuttavia evidente che il fantasma della “Grande Europa” aleggi in quel di Bruxelles e nei discorsi sulla necessità del riarmo continentale. Il che, ancora una volta, ed inevitabilmente, ripropone problemi di leadership tra Stati e discorsi (più o meno velati) rispetto a quale debba essere il “popolo eletto” nell’ambito del “continente eletto”. 

Che sia la riproposizione dell’egemonia economica della Germania – che si impone sull’intero continente, come già sperimentato nella pregressa storia della UE, e che ora si riconverte sulla base della centralità dell’industria bellica – oppure che sia la speranza francese di costituire una guida politico-militare fondata sull’asse franco-tedesco, in ogni caso l’ipotesi di una Europa armata deve preoccuparci molto e per varie ragioni.  

Per un verso andare a punzecchiare la Russia potrebbe avere esiti se non nefasti, almeno imprevedibili sul piano politico e militare, oltre che sicuramente drammatici, come già sappiamo, sul piano economico. (Precisiamo che per noi Putin non è “buono”, e la Russia ha sicuramente mire imperiali, ma l’idea che possa avere interesse ad attaccare l’Europa è totalmente senza senso).  Per altro verso non c’è nessuna garanzia che l’illusione della Grande Europa, come sempre avvenuto in passato, non finisca per alimentare in futuro antagonismi e venti di guerra tra gli stessi Stati europei. 

Un’ultima considerazione. Alcune forze politiche che si definiscono progressiste e di sinistra (a casa nostra per esempio il PD) pensano di opporsi al riarmo ipotizzando una difesa comune europea, che è pur sempre una esaltazione del ruolo delle armi e della guerra, e vagheggiando una ipotetica “Europa dei popoli”, che nessuno ha mai capito cosa voglia dire in concreto, e che in fondo, e a nostro avviso, non è che un modo più soft, e più ipocrita, di riproporre la Grande Europa, inevitabilmente suprematista e armata.

Se c’è un’Europa che possiamo auspicare è l’Europa delle piazze, che si oppone alla guerra e a tutti i deliri di onnipotenza del suo passato, perché non si ripetano nel futuro.