Link alla prima parte dell’articolo

Falconara Marittima: l’arrivo del barile e la disuguaglianza ambientale

Ma il viaggio non è finito qui. Ci dobbiamo infatti chiedere in che modo il barile di petrolio impatta sulla meta di arrivo, dopo aver visto che tipo di effetti aveva avuto la sua estrazione nel lontano Iraq.

Molto spesso quando si cresce e si vive in un piccolo centro, alla periferia di uno dei capoluoghi più piccoli d’Italia, ci si sente lontani dalle dinamiche globali, si osservano le grandi città e si considerano come l’unico luogo dove si è al centro di un mondo globalizzato. Ci si sente in provincia e quindi molto spesso non ci si accorge che in realtà molte dinamiche sono presenti nel proprio territorio e che le forme di resistenza che si sviluppano hanno un’importanza pari se non a volte un peso specifico maggiore rispetto a quelle dei grandi centri delle città globali.

È una mattina qualunque a Falconara Marittima e chi scende dal treno alla stazione avverte subito l’odore del mare, ma anche di qualcosa di più acre. Oltre il lungomare, l’impianto della raffineria si vede all’orizzonte: è qui che il nostro barile di petrolio termina il suo viaggio, invisibile tra i tubi, i fumi e le condutture che si interrano sotto la costa. Falconara, l’arrivo del nostro barile, non è solo l’ultima tappa di una rotta energetica globale, ma è anche l’inizio di una storia che si insinua nella vita quotidiana di chi qui ci è nato e cresciuto.

Negli anni ’70, questa era una città di mare, piccola ma vitale, meta balneare per la borghesia anconetana. Poi, con l’espansione della raffineria, la sabbia si è fatta più scura, le case hanno cominciato a spuntare accanto ai serbatoi e l’aria ha preso un’altra consistenza. L’incidente del 25 agosto 1999, con l’esplosione che uccise due operai, ha segnato un prima e un dopo nella memoria collettiva. Chi poteva permetterselo se n’è andato e i numeri lo testimoniano bene: dai quasi 35.000 abitanti degli anni ’90, si è scesi ai 25.000 di oggi. Il carattere della città stessa muta profondamente, andandosi a configurare sempre più come periferia al servizio del centro più grande di Ancona; le attività ricreative, culturali, lavorative e di istruzione lentamente diminuiscono, per essere sostituite da quelle offerte nel vicino capoluogo.

I giovani partono, chi arriva spesso lo fa perché non ha alternative e la composizione sociale cambia: gli under 30 italiani sono diminuiti del 35% negli ultimi vent’anni e gli abitanti stranieri, nello stesso periodo, sono cresciuti del 364%6. Intorno, il paesaggio si trasforma: nel 2012, il 24,7% del suolo era consumato, mentre oggi siamo al 27,1%: una crescita doppia rispetto alla media regionale7.

È questo che si intende quando si parla di disuguaglianza ambientale8 e zona di sacrificio9: un luogo dove lo sviluppo si misura in perdita di salute, di tempo, di possibilità. Le malattie respiratorie e i tumori aumentano10, le case costano meno e il diritto alla salute e a un ambiente vivibile diventa un lusso per pochi. Spesso collegati al razzismo ambientale, questi concetti si legano molto alla struttura di una società, al sistema dei rapporti di produzione, di genere e di razza; concetti legati al rapporto tra capitalismo e ambiente, al rapporto tra sviluppo capitalistico e natura, ma anche al rapporto tra società e salute, in particolare alla concezione della salute quale diritto sociale e bene pubblico11. La trasformazione si può osservare in modo lampante prendendo in esame il prezzo medio delle abitazioni. Nel primo semestre del 2006 il prezzo medio al metro quadro di un’abitazione nel centro di Falconara era di 1.900 euro, mentre nel secondo semestre del 2024 era di 900 euro, con una variazione del -53%12.

Eppure, proprio in questo luogo apparentemente marginale, si concentra tutta la contraddizione del nostro tempo. Perché Falconara è la fine del viaggio del barile, ma è anche l’inizio di molte altre storie: quelle di chi resiste, di chi si organizza, di chi prova a immaginare un futuro diverso anche a pochi metri da un oleodotto.

Note

6Tutti i dati sono tratti dalle indagini ISTAT.

7Nel 2012 la superficie consumata era del 24,71%, mentre nel 2023 del 27,13%, per un aumento del 3%: un dato abbastanza impressionante se confrontato con quello del consumo di suolo nella provincia di Ancona e nella regione Marche. Nel 2012 la superficie impermealizzata della provincia di Ancona era dell’ 8%, mentre nel 2023 del 9%, per un aumento dell’1%; nella regione Marche nel 2012 il suolo consumato era del 6,54%, mentre nel 2023 del 6,98%, per un aumento del 0,40%.

8F. Perocco, F. Rosignoli, “Sulla nostra pelle”. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, F. Perocco e F. Rosignoli (a cura di), Razzismo, Ambiente, Salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, PM edizioni: Varazze 2022.

9Questo termine si riferisce alla presenza di aree geografiche caratterizzate da danni ambientali permanenti, dovuti a un uso del suolo non sostenibile; queste zone sono abitate prevalentemente da classi popolari a basso reddito e popolazioni razializzate, che pagano sulla propria pelle gli impatti dell’inquinamento ambientale. Le popolazioni residenti in queste zone sono maggiormente soggette a problemi di salute correlati alla maggiore esposizione a fattori inquinanti: diversi tipi di cancro, malattie respiratorie e cardiache.

10L. Calcina, L’avversario che non ti aspetti. Il caso di Falconara Marittima, Epidemiologia & Prevenzione, 2017, 41 (5-6), pp. 241-242. doi: 10.19191/EP17.5-6.P241.082; per un articolo contenente anche l’inchiesta “Sentieri”: https://ilmanifesto.it/archivio/2003228904.

11F. Perocco e F. Rosignoli (a cura di), Razzismo, Ambiente, Salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, PM edizioni: Varazze 2022.

12Dati dell’ Osservatorio del mercato immobiliare dell’agenzia delle entrate.