Riceviamo e pubblichiamo da Manfredo Pavoni Gay (autore sia del testo che della foto)
CUTRO, VIAGGIO AL TERMINE DELL’EUROPA
Terzo anniversario della strage di stato a Steccato di Cutro
Fatima, Farzane e Laila inginocchiate davanti alle foto della loro famiglia distrutta nel mare di Steccato di Cutro il 26 febbraio del 2023, nel terzo anniversario della strage, rappresentano l’immagine più triste, più dolorosa, più inaccettabile, che, come partecipante alla Carovana migranti, ho dovuto affrontare in questo viaggio nella topografia delle necropolitiche europee, nei confronti di uomini e donne costrette ad abbandonare i loro Paesi devastati da guerre, integralismi e devastazioni coloniali.
Potrebbe anche finire qui, con questa foto, questo racconto, con Fatima e l’altra sorella che mi spiegano in tedesco: vivono a Dusseldorf, Laila, la mamma, ogni notte da tre anni si sveglia urlando i nomi di suo fratello Zabiullah di 37 anni, di Mina, la moglie di 26 anni e dei loro tre piccoli figli, Akef di 5 anni, Aref di di tre anni e Hasib di un anno e quattro mesi che sono morti, affogati insieme ai 91 di cui 33 bambini nella strage di stato a Steccato di Cutro.
Ma potrebbe anche finire con il racconto che fa Assad Almolki, 20 anni, siriano che quella notte era riuscito a buttarsi nelle acque gelate dello Jonio appena la barca si era spezzata in mille pezzi, aggrappato a un pezzo di legno con il fratellino di 7 anni.
«Dopo un’ora, mi ricordo che il mio fratellino mi diceva: “Assad ho freddo, ho freddo. Poi ad un certo momento gli è uscita una schiuma bianca dalla bocca e poi non rispondeva più. Era morto.”
Tutti e tutte, familiari e superstiti, che vivono in gran parte in Germania, hanno preso le loro ferie per poter venire a Cutro per ricordare, raccontare, denunciare la strage di stato a pochi metri dalla riva quando il caicco chiamato per ironia della sorte Summer Love, nella fredda e ventosa notte del 26 febbraio si è schiantato sulla secca a 40 metri dalla spiaggia di Cutro.
Cutro è l’ultima tappa della carovana migranti che è partita da Napoli, ha incontrato la rete vesuviana solidale, e poi i paesi della Calabria che si aprono ai migranti, con le loro reti di solidarietà e di accoglienza diffusa, il progetto di Rosarno e la baraccopoli di San Ferdinando. In fondo Cutro è un po’ l’inizio e la fine di questo viaggio al termine dell’Europa dei diritti, se mai è esistita un’Europa dei diritti.
Un viaggio organizzato e autofinanziato dal basso, formato da persone che si sono messe in rete, perché da anni si occupano di denunciare le politiche criminali della Fortezza Europa e spesso si sostituiscono allo Stato nell’accogliere i feriti, nel dare un nome e una sepoltura ai tanti morti in mare, nelle diverse rotte migratorie dai Balcani alle Canarie, dove i migranti pagano il prezzo di non appartenere ai ricchi privilegiati dell’Occidente. Cioè a molti di noi, che con i nostri passaporti di serie A, una carta di credito e un click su un sito di viaggi apriamo come una scatola di tonno qualsiasi frontiera del globo terrestre.
Quando Fatima e Farzaneh capiscono che parlo tedesco, visto che nessuno al Convegno organizzato dalla Rete 26 febbraio parla il dari né il tedesco, mi raccontano la loro vita in questi due anni di promesse mai mantenute dal governo italiano, della nonna che incredula per la morte del figlio e dei suoi nipotini continua a cucinare il suo piatto preferito, aspettando che ritorni in Afghanistan.
Mi chiedono di tradurre le loro parole gonfie di rabbia e dignità contro il governo, la politica che non ha salvato i loro cari a pochi metri dalla spiaggia e non ha concesso i visti alle famiglie in Siria o in Afghanistan, per poter elaborare l’antico lutto della sepoltura, riaffermato da Antigone contro le leggi degli antichi e moderni tiranni, che lo vorrebbero negare.
Sono giustamente arrabbiate più di altri familiari, più della mamma, che ha paura delle parole che potrebbero scagliare contro il governo italiano, contro l’Europa e mi chiede di dire loro di non esporsi, di non andare a parlare al tavolo dei relatori; soprattutto teme per Fatima, che a differenza della sorella, non ha ancora la nazionalità tedesca, ma solo un permesso di soggiorno umanitario.
Traduco il testo di Fatima mentre Farzaneh mi chiede: “Ma come è stato possibile lasciarli morire dopo che erano stati avvistati da un aereo di Frontex tante ore prima, ma come è possibile che l’Occidente riempie di armi l’Afghanistan e poi non accoglie chi cerca di fuggire dalle conseguenze di quelle armi?”
Ma perché, mi chiede con la sua ingenuità di ragazza di 29 anni che in Germania lavora da un parrucchiere, mia nonna e mio nonno non possono venire a piangere sulle loro tombe a Düsseldorf?
Potrei rispondere con una spiegazione storico politico su cosa è stata Frontex, una specie di Gestapo per coloro che sono in viaggio verso l’Occidente, o potrei spiegare che oggi tutto l’Occidente ha un unico mantra: quello di limitare, bloccare l’ingresso dei cittadini, chiudere e presidiare le frontiere, perché i migranti devono restare fuori, nei non luoghi, fatti di divieti, muri di contenimento, campi di raccolta e confinamento.
Proprio come nelle politiche di colonizzazione in cui i corpi dei colonizzati venivano ridotti a merci, schiavi in patria o all’estero, oggi i migranti subiscono la stessa sorte e la frontiera è lo strumento di questo nuovo annientamento neocoloniale.
Ma mi viene solo da piangere e chiedere scusa. La cosa migliore è tradurre e lasciare spazio al suo bellissimo j’accuse a tutti noi cittadini dell’EUROPA e dei diritti perduti. Lei ha tutto il diritto di scagliarci contro queste parole molto più dure delle pietre:
«Con la negligenza del vostro governo, avete ucciso centinaia di persone.
Vi prego di non ripetere la stessa negligenza.
Per favore, prendete sul serio il vostro lavoro e non trattate i migranti con tanta superficialità. Siamo tutti esseri umani.
Perché dovremmo essere uccisi così facilmente solo perché non siamo coinvolti nella politica?
Mia madre sta attraversando una crisi difficile e ha bisogno dei suoi genitori. Non possiamo tornare in Afghanistan. Asad ha solo 24 anni e ha bisogno dei suoi genitori.
Asif, un ragazzo afgano che era su quella nave, ha bisogno dei suoi genitori. Ha solo 16 anni. E ci sono anche altri di cui non posso fare i nomi qui. Vi prego di prendere sul serio la situazione e di rispettare le promesse che avete fatto.
Rispondete a noi. La nave è affondata, ma per voi la questione è chiusa?
Per noi non lo è ancora e abbiamo bisogno di una risposta.
Per favore, almeno per rimediare al nostro dolore, date una possibilità speciale ai sopravvissuti delle vittime, affinché possano venire a visitare le tombe dei loro figli e trovare un po’ di pace.
In questo contesto, chiedo al Presidente dell’Italia di prendere sul serio la promessa che ci ha fatto e di affrontare la questione.
La mia domanda è: quando il Presidente fa una promessa e non la mantiene, e la vita e la morte delle persone non hanno valore per lui, perché dovrebbe trovarsi in una posizione così alta per prendere decisioni sulla vita degli esseri umani?
Ti sei mai messo nei panni delle vittime o delle famiglie delle vittime per capire quale dolore provano? Se questi fossero stati i tuoi figli, li avresti lasciati andare così facilmente?
Se la Signora Meloni, il Presidente dell’Italia, non è in grado di mantenere le sue promesse FACCIA UN PASSO INDIETRO!!! Risponda al popolo e sia compassionevole verso le persone, altrimenti se ne vada e ceda il suo posto a chi agisca secondo le sue parole.”










