Tutti uniti, tutti insieme (per l’”Europa”), ma scusa quello non è il padrone?
Il titolo della vecchia performance teatrale di Dario Fo ci ritorna in mente a proposito dell’appello di Michele Serra su Repubblica del 28 febbraio “Una piazza per l’Europa”, che indubbiamente sta ricevendo molte adesioni, anche tra coloro che in buona fede, si stanno facendo ingannare dalla sirena europeista estremamente ambigua. Del resto da pochi mesi la superpotenza americana non è più guidata da Biden, dall’aspetto di un simpatico nonno ottantenne, rassicurante, talmente rassicurante che ha assicurato a Israele l’invio di armi che a partire dalla “risposta” al massacro di Hamas del 7 ottobre, ha dato il via alla mattanza che ha raso al suolo Gaza, mentre ora si sta passando alla Cisgiordania.

Oggi alla Casa Bianca c’è il tycoon dal ciuffo biondo, con la faccia cattiva ed arrogante, nonché dai modi spicci da padrone delle ferriere. Lui ora le macerie le vuole portare via, cacciare i palestinesi e fare di Gaza una specie di Miami Beach. Dunque ci si scopre tutti europeisti, dopo che la classe politica nostrana è da sempre serva fedele dell’ingombrante alleato, faro della “democrazia liberale”, un grande Paese nato su un grande genocidio. Ma come è noto i genocidi non sono tutti uguali, su quelli attuati in nome della “civiltà” bianca e del suo colonialismo si può chiudere un occhio, anzi tutti e due.

Dunque Serra, toltosi momentaneamente il cachemire, indossato il più idoneo giubbotto da manifestazione, ha chiamato alla grande adunata, preoccupato per il Vecchio Continente “vaso di coccio tra due vasi di ferro, per giunta ricolmi di bombe atomiche”, e sul pericolo che la “way of life europea”, cioè “democrazia, ovvero separazione dei poteri, diritti e doveri uguali per tutti, libertà religiosa e laicità dello Stato, pari dignità e pari serenità per chi è al governo e chi si oppone” possa fare una brutta fine, non accorgendosi che l’ha già fatta da un pezzo, se mai è esistita.

Poi evidentemente si è accorto che non solo iniziava a trovarsi in imbarazzante compagnia, con l’ex camerata Fini, presunto ex, che intervistato da Repubblica, ha dichiarato la sua adesione, ma soprattutto ci ha pensato la Von der Leyen a metterlo in crisi con il progetto “ReArm Europe, 800 miliardi, ottocento, da impiegare per un grande esercito europeo. Il mitico “patto di stabilità”, può essere bypassato, l’Europa val ben un massiccio riarmo, chissenefrega del welfare, ormai, come disse il mitico “SuperMario”, è roba del passato, scordatevelo.

Inoltre il giorno prima che Serra provasse a correggere il tiro, il 6 marzo, quel simpaticone di Antonio Scurati, uno che quando parla ricorda il marchese Del Grillo, io so’ io e voi non siete…, ha proposto un testo da neurodeliri.
A furia di parlare di Mussolini e fascismo, evidentemente contagiato dal fascino mascellare del fu Benito, e passate notte insonni a causa di un dilemma amletico, dalla prima pagina sempre di Repubblica, si è chiesto: ”Dove sono i guerrieri?”.
Si avete letto bene, Scurati è preoccupato perché subito si è posto un’altra domanda cruciale: Chi combatterà le nostre prossime guerre ?”. Perché per pugnare “c’è bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti a usare le armi. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire.

Perché nella nostra millenaria vicenda, la guerra non è stata, infatti, soltanto un mestiere, una tragica costante, uno strumento di potere, è stata l’arte (il complesso di tecniche, metodi, invenzioni e talenti) che ha mosso la storia d’Europa e, all’unisono, la narrativa che ha definito l’identità degli europei. Nei secoli questa nostra terra è stata “uno scoglio euroasiatico popolato di guerrieri feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi”.

Peccato che Scurati faccia finta di dimenticare che su quello “scoglio” si sono schiantati milioni di “guerrieri”, un’orgia di sangue che però non turba affatto il buon Antonio, il quale forse resosi conto che si è lasciato andare troppo nell’apologia militarista e guerriera, risalito il corso della storia, lui se ne intende, ammette che con l’arrivo della modernità si è assistito “all’apocalisse in due tempi delle tradizione millenaria.”

“La rottura con essa è stata a sua volta radicale e violenta. Già con la annichilente esperienza delle trincee nella Grande guerra, per la prima volta in millenni di storia, i concetti di gloria, onore, coraggio persero ogni significato. L’ecatombe della Seconda guerra mondiale, scatenata dal rigurgito bellicista dei fascismi, scavò ancora più in profondità e in modo definitivo questo fossato che ci divide dalla nostra storia atavica”.

Insomma quanto erano belle le guerre di un tempo quando ci si sgozzava con talento, arte e coraggio! Poi con lo sterminio di massa provocato dai nuovi strumenti di morte moderni non c’è stato più gusto.
E il dunque il problema rimane: “Resta il fatto che non siamo più dei guerrieri”.

Già perché ottant’anni di pace e benessere ci hanno reso molli, pavidi. Certo siamo migliorati, c’è stato “un balzo di civilizzazione”, conquiste politiche e sociali, ma la lingua batte dove il dente duole. Alla fine del suo sproloquio, Scurati senza arrossire, si permette di fare riferimento all’imminente ottantesimo anniversario della Liberazione auspicando che la ricorrenza possa essere “un passaggio cruciale affinché l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta. Fummo allora, noi europei d’Occidente, per l’ultima volta guerrieri. La Resistenza antifascista ci ricorda perché ripudiammo la guerra ma ci insegna anche le ragioni per prepararci, se necessario, a combatterla”.

Immaginiamo che i partigiani si stiano rivoltando nella tomba. E sottolineiamo come ci voglia coraggio a evocare lo “spirito guerriero” di fronte al tritacarne ucraino, a quello palestinese e alle tante guerre in giro per il mondo, in primis in Africa.

Ecco che allora arriva il Serra 2 e il 6 marzo cerca di rettificare, ammonendo che gli 800 miliardi “fanno l’effetto di una overdose di anabolizzanti inflitti a un corpo che teme, o sa, di essere senile, e cerca di gonfiare i muscoli per nascondere la sua fiacchezza”. Certo il tema della “difesa comune” (da chi ? ndr) che “nessuno può ignorare”, meriterebbe di “essere un tema tutto nuovo”, per “un’Europa giovane”, “richiederebbe uno sforzo di intelligenza, coraggio e fantasia”. Una difesa in nome di “diritti, multilinguismo, libertà religiosa, l’inclusione, la separazione dei poteri; e non da ultimo … lo stato sociale, che è la sola vera difesa dei più deboli e non per caso è il bersaglio numero uno della tecno-plutocrazia salita al potere negli Stati Uniti”.  Vuota retorica che non fa i conti con la realtà che ci mostra come quei diritti che elenca Serra siano da tempo evaporati, ma lasciamo perdere.

Dunque tutti in piazza, perché siamo tutti europei, figli e figlie dell’Europa. Ma tutti tutti? Ne è sicuro Serra? Probabilmente speravano di diventarlo le migliaia di migranti che la classe politica europea, con le mani sporche del loro sangue, ha sistematicamente fatto affogare da anni nel Mediterraneo, diventato una grande fossa comune, perché come dice giustamente Celestini, almeno i cimiteri sulle tombe hanno quasi sempre un nome. Lo diventerebbero volentieri, sempre a proposito di migranti, i tanti che si spezzano la schiena dall’alba al tramonto nelle nostre campagne, tra l’omertà e l’indifferenza delle varie autorità e di molti nostri connazionali, ostaggio delle mafie e del profitto.

E chissà se si sentono “europei” i greci che anni fa provarono ad intraprendere una strada diversa, non in linea con i diktat della Troika e dell’UE, e furono massacrati, perché va bene la “democrazia liberale”, va bene andare a votare, ma bisogna scegliere il governo che piace all’élite economico- politica-finanziaria, mica potete fare di testa vostra!

E i “valori” così dove vanno a finire? L’Europa con le radici illuministe che fine ha fatto? Già l’Illuminismo…Anche su questo ci sarebbe da discutere.
Sull’argomento consigliamo un gran bel libro, uscito in italiano nel 2022, “L’alba di tutto”, dall’eloquente sottotitolo “Una nuova storia dell’umanità”. Lo hanno scritto il compianto antropologo anarchico David Graeber, scomparso a 49 anni nel settembre del 2020, e l’archeologo David Wengrow.

Un testo prezioso, ricco, che nel mettere in discussione la storia della civiltà come ci è stata raccontata e viene ancora raccontata nelle aule scolastiche e accademiche, nell’analizzare le società di un tempo e la loro evoluzione con dovizia di particolari e esaltandone la complessità e anche la ricchezza, ci fa incontrare Kondiaronk, capo e filosofo della nazione indiana dei wendat, Nord America, che prima ai gesuiti, poi in incontri definiti dagli autori “proto illuministi” a Montreal, infine alla corte di Luigi XIV, smontò le credenze religiose, e soprattutto criticò l’organizzazione sociale vigente in Europa: “Se abbandonate i concetti di “mio” e “tuo”, tali distinzioni tra gli uomini si dissolverebbero, allora un’uguaglianza livellatrice prenderebbe il loro posto tra voi come fa ora tra i wendat…“Ho elencato più volte la qualità che, secondo noi wendat, dovrebbero definire l’umanità – saggezza – ragionevolezza – uguaglianza, eccetera, e ho dimostrato che l’esistenza di interessi materiali separati ne impedisce lo sviluppo”. Riflessioni risalenti a circa cento anni prima del 1789.

E a proposito della rivoluzione francese la scrittrice e militante antirazzista Houria Bouteldja, in un saggio pubblicato recentemente da Derive Approdi “Maranza di tutto il mondo unitevi”, dove auspica un’alleanza tra i “barbari” delle banlieue e i “bifolchi” del proletariato bianco, oggi distanti a causa della triste “guerra tra poveri”, in Francia come altrove, nel soffermarsi sull’89 ricordando l’analisi di Gramsci, sottolinea come i giacobini raggiunsero l’unità della borghesia con le classi popolari, “con la capacità di moderare i propri interessi materiali immediati a vantaggio di un’alleanza interclassista”, viatico per la nascita dello Stato nazionale, genealogia di quello che l’autrice definisce “Stato razziale integrale”.

Allora sulla base dei ragionamenti sviluppati, più che ambiguo “europeismo”, ci torna in mente un’antica e gloriosa parola, che seppure infangata, screditata, diciamo pure, sputtanata, dai cari armati del comunismo stalinista novecentesco, per informazioni rivolgersi agli ungheresi e agli ex cecoslovacchi, ha un’origine illustre, piena di suggestioni: internazionalismo. Prima che i frutti tossici del Novecento la contagiassero, significava solidarietà di classe, abbattimento dei confini contro gli arrembanti nazionalismi. Riproporla oggi a rischio di sembrare vetero e ortodossi, ma chi mi conosce sa benissimo che non lo sono, può avere la sua credibilità facendo tesoro, di quel nuovo internazionalismo che 25 anni fa espressero in tutto il mondo il movimento altermondialista e, successivamente, i dieci anni di rivolte, diverse tra loro, tra il 2010 e il 2020, in particolare le primavere arabe e “Occupy” ( analizzate in un bel libro di un giornalista americano, Vincent Bevins, “Se noi bruciamo”).

Ecco quindi che ci piace pensare ad una piazza ideale dove il colore blu delle bandiere di una Unione Europea impresentabile, sfumi a vantaggio di altre tonalità: il rosso, il nero con la A cerchiata, l’arcobaleno, (per quanto mi riguarda scelgo il secondo, ma non importa), scegliete voi quello che preferite. E magari le note della magnifica Nona di Beethoevn, inno della Ue, svaniscano nell’etere e si elevino in cielo quelle di un altro, antico, inno, le cui parole parlano di lavoratori e di “una fede ci è nata in cor”. Per rilanciare nuovamente la necessità  di abbattere i confini, i tanti muri eretti dopo l’abbattimento di quello di Berlino, quando Gorbaciov provò a proporre “una casa comune europea”, ovviamente inascoltato.

E a proposito di confini lo sguardo cade su quella vecchia magliette bianca, ormai un po’ sdrucita, conservata gelosamente nel cassetto, che in tanti e tante indossammo quel caldo giovedì di un luglio genovese, in occasione della prima manifestazione nell’ambito delle contestazioni al G8, quando nelle quarantotto ore successive si scatenò la cosiddetta “macelleria messicana”, o meglio italiana, e portò all’uccisione di Carlo Giuliani. Davanti è disegnato il globo terrestre, con una figura in mezzo e la scritta “Liberta di movimento”, cioè un mondo senza confini.

Siamo tutti europeisti? Meglio internazionalisti, senza confini…