Il 14,9% di quanti lavorano ha un reddito inferiore o pari a 9.000 euro (cioè condizione individuale sulla soglia della povertà assoluta). Se si considerano anche i redditi complessivi inferiori o uguali a 11.000 euro, ovvero quelli dei lavoratori relativamente poveri o sottopagati si arriva ad una percentuale di lavoratrici e lavoratori pari al 19,5%; mentre si raggiunge il 29,4% tra quanti hanno un reddito complessivo che non va oltre i 15.000 euro e che possiamo definire “vulnerabili”, ovvero a rischio di povertà di fronte ad un evento inaspettato o fuori dall’ordinario (una malattia, un divorzio o perfino la nascita di un figlio). E parliamo di un periodo in cui ancora non era esplosa la crescita dell’inflazione. Sono alcuni dei dati della ricercaLavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità”, realizzata per il secondo anno consecutivo dall’Area Lavoro ACLI in collaborazione con l’IREF, l’istituto di ricerca delle ACLI, in occasione del primo maggio, Festa dei lavoratori.

In particolare, tra le donne il 21,7% ha un reddito da povertà assoluta o sulla soglia della povertà assoluta (può contare al massimo su 9.000 euro di reddito complessivo annuale), il 27,9% percepisce un reddito relativamente povero (redditi inferiori o uguali a 11.000 euro di reddito complessivo) e il 40,9% sono o povere o comunque vulnerabili, a rischio di povertà (sotto i 15.000 euro di reddito complessivo). Un dato significativo tra tutti: quasi la metà delle donne sotto i 35 anni (49,2%, e 31,2% tra chi è in condizione di lavoro per tutto il 2021) sono nella fascia sotto o uguale a 15.000 di reddito complessivo, a rischio di soglia povertà, perfino se scelgono di fare un figlio.

Quanto alla distribuzione geografica, i redditi più bassi paiono concentrarsi soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole: il 27,2% dei residenti in queste regioni ha un reddito fino a 9.000 euro (si registrano percentuali superiori alla media in Puglia, 31,3%; in Basilicata, 28,5% e in Sardegna, 28,4%), il 33,5% arriva a 11.000 euro (37,3% in Puglia; 35,6% in Basilicata; 33,9% in Sardegna e 33,4% in Sicilia) e, infine, il 44,4% può contare fino a 15.000 euro (47,8% in Puglia; 47,3% in Basilicata; 46,1% in Sicilia e 44,5% in Sardegna). Tuttavia rimane alto il dato dei vulnerabili anche nel nord, restando sopra 1/4 del totale.

I fattori di vulnerabilità legati al genere e alla dimensione geografica si accentuano se si guarda alle diverse fasce di età. Le diseguaglianze di reddito, infatti, sono più marcate tra i giovani. Considerando la fascia di reddito più bassa scelta per l’analisi (reddito complessivo fino a 9.000 euro), emergono profonde disuguaglianze che determinano un impoverimento e una disparità complessiva soprattutto tra i giovani e le donne. A fronte di un totale complessivo di contribuenti che si sono rivolti al Caf Acli con redditi non superiori a 9.000, se scomponiamo il dato per fasce di età è evidente il divario e l’asimmetria retributiva tra i giovani e gli adulti in età lavorativa. Ha, infatti, un reddito fino a 9.000 euro il 28% dei giovani fino a 29 anni (percentuale che arriva al 31,7% nel caso delle giovani donne). Tale percentuale diminuisce significativamente nelle classi di età successive (12,5% 30-34 anni; 11,3% 35-39 anni; 9,8% 40-54 anni) per poi tornare a crescere tra coloro che hanno un’età compresa tra i 55 e i 60 anni (11,4%) e poi raggiungere addirittura il 30,3% tra chi ha più di 60 anni. Non diminuisce però il divario di genere che, al contrario, dopo i 29 anni aumenta in modo costante: in tutte le classi di età le donne con redditi che non vanno oltre i 9.000 euro sono almeno il dieci per cento in più degli uomini e tra gli ultrasessantenni le donne con i redditi al di sotto dei 9.000 euro sono il 43,7%, rispetto al 7,2% degli uomini.

Passando ad analizzare i redditi fino a 11.000 e 15.000 euro, si riscontra lo stesso immobilismo tra una classe di età e l’altra; così come il permanere delle disuguaglianze tra i generi. Ha un reddito compreso entro gli 11.000 euro il 18,1% di chi ha un’età compresa tra i 30 e i 34 anni; percentuale che arriva a 24,5% nel caso delle donne e il 16,2% dei 35 – 39anni (23,8% delle donne). Anche arrivando a considerare i redditi fino a 15.000 il quadro non cambia: la fragilità reddituale non muta considerando l’età dei dichiaranti (non supera questa soglia il 30,7% dei 30 – 34enni e il 27,3% dei 35 – 39enni) così come rimane invariato il divario di genere (il 40,9% delle donne tra i 30 e i 34 anni e il 38,9% delle donne tra i 35 e i 39 anni). Le donne si concentrano nella fascia di reddito più bassa, soprattutto se occupate in modo discontinuo (80,9% rispetto al 58,8% degli uomini). Resta comunque significativa la percentuale di lavoratrici che, pur avendo un’occupazione continuativa, non riesce a raggiungere un reddito superiore ai 9.000 euro, rimanendo bloccata in una condizione di povertà (7,3% vs l’1,7% degli uomini). E’ evidente quanto la mancanza di continuità incida sul trattenere la condizione delle persone dentro queste soglie basse di reddito. Da notare però, che tra i 30-39enni che rientrano nella fascia della vulnerabilità (sotto i 15.000 euro) la maggioranza delle persone (tra coloro che redditualmente sono in questa condizione) ne fanno parte pur avendo un reddito continuativo. E’ il caso sia della maggioranza delle donne (63,8% vs 36,2 che sono “discontinue”) quanto degli uomini (52,7%) nella fascia d’età 30-34 anni, sia, nella fascia 35-39 anni, della maggioranza donne (al 66,5%) che degli uomini (al 56,4%).

Si tratta di dati che evidenziano l’impoverimento, non solo materiale, del lavoro, fatto di impiego nero o grigio, di mancanza di rinnovi contrattuali, di moltiplicarsi di contratti collettivi pirata, di presenza di tanto part time involontario, di un diffuso ricorso, anche pubblico, al lavoro deprezzato, al “massimo ribasso”, di deboli tutele per forme nuove di lavoro, di grandi gruppi che obbligano al lavoro sottocosto tante piccole imprese. E non ultimo di salari che, unici in Europa, in 30 anni, sono diminuiti laddove in Francia e Germania sono cresciuti oltre il 30%.

Qui per scaricare la ricerca: https://www.acli.it/wp-content/uploads/2023/04/Report-1-maggio-2023-con-anche-regioni-1.pdf.