Nel marzo 2024, Pressenza ha incontrato virtualmente l’esperienza di “Eterica Officina Alchemica”, una piccola azienda che sviluppa un progetto bio-ecologico nelle valli dell’Appennino modenese, a 450 metri sul livello del mare.

A partire dall’uso di tecniche biologiche, biodinamiche e della permacultura, Eterica sviluppa con coerenza un modus vivendi rispettoso non solo dei tempi della natura, ma anche di chi la lavora, seguendo tecniche tradizionali e integrandole con quelle nuove, seguendo la tradizione e mettendoci il cuore.

Abbiamo deciso di intervistare il suo fondatore, Alessandro Biancardi, per diffondere modi diversi di vivere e di produrre che ci fanno pensare che un altro stile di vita è possibile, oltre che necessario.

“Eterica nasce circa 30 anni fa, ma si è sviluppato in vari passi” commenta Alessandro. “Dividevo la mia vita tra il mio lavoro in radiologia e la campagna. Avvicinarmi alla vita contadina mi dava la possibilità di aiutare gli altri in ospedale, così ho deciso di laurearmi in scienze erboristiche”.

Partendo da un piccolo appezzamento per la produzione di oli essenziali, dopo circa 10 anni il progetto si è ampliato a un piccolo orto botanico che è arrivato a contare più di 500 specie officinali. Con questi prodotti, Alessandro realizzava preparati con finalità farmaceutiche-erboristiche, ma anche estetiche e fitomiurgiche (cioè da ingerire). Parallelamente, ha iniziato a promuovere corsi di formazione e autoproduzione su come riconoscere le piante.

Alessandro porta avanti questo progetto a livello familiare, insieme ad Anna, creativa naturalista, appassionata di pittura e cucina naturale. Insieme hanno costruito la loro casa con terrapaglia e coltivano tre varietà di grano antico per l’autoconsumo. Il grano antico, che pochi ancora conoscono, è la coltivazione tradizionale del grano, che presenta un basso contenuto di glutine: si tratta di colture che in passato erano molto usate e che poi con il tempo sono state abbandonate, per poi essere recuperate, anche se in minima parte, intorno al 2000.

Alessandro, coltivare il proprio campo per l’autoproduzione, per poter vivere, alimentarsi e curarsi in modo cosciente e del tutto naturale sembra un’impresa quasi impossibile nel mondo di oggi. Qual è la chiave per riuscirci?

Beh, sicuramente la dimensione collettiva: ci vuole competenza, fortuna ed è fondamentale creare una rete. Tendenzialmente il mercato si sta aprendo; sono sempre di più le persone che cercano sostanze e alimenti naturali, anche se è veramente difficile competere con grosse case produttrici che vendono prodotti ugualmente biologici ma di qualità industriale”.

È questa una delle principali difficoltà oggi giorno per i piccoli produttori?

Nel mercato del biologico ci sono veri e propri colossi multinazionali che hanno la certificazione, anche se la qualità che può avere un piccolo produttore è sicuramente diversa, superiore, ovviamente con costi maggiori. Le piccole realtà non vengono tanto aiutate; hanno gli oneri di una grande azienda, senza averne le possibilità, per cui è necessario trovare dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS). Ci sono tante realtà nella nostra zona che ci stanno lavorando, anche se vivere completamente di questo non è facilissimo. Io, per esempio, dopo 30 anni, sono ancora part-time. Buona parte del mio lavoro consiste anche nelle consulenze come professionista.

Scegliere di coltivare biologico, con culture biodinamiche, rispettando i tempi e i modi della natura dev’essere una rivoluzione in termini di concetto di produzione e consumo. Voi riuscite a sostenervi con l’autoproduzione?

La nostra famiglia si sostiene per l’80% con i nostri prodotti, ma non si tratta solo di quello che mangiamo. Anche per l’energia con la casa di terrapaglia siamo abbastanza autosufficienti. Abbiamo un sistema fotovoltaico e cerchiamo di usare il più possibile l’energia che prendiamo dalle fonti, dalle sorgenti.

In tutto questo, come vi adattate ai cambiamenti climatici? Sarà sostenibile questo stile di vita in futuro?

Il clima sta cambiando, quindi affrontiamo sempre più spesso grandi piogge e periodi di siccità. È sempre più complicato produrre in modo biologico. Noi, per esempio, usiamo una tecnica che si chiama paciamatura. Si tratta di coprire le piantine con la paglia, che degradandosi rilascia sostanze nutritive, oltre a preservare le colture mantenendo più a lungo l’acqua del suolo e lavorando sulle piante infestate. È una pratica agricola a basso impatto, perché viene dalla nostra stessa produzione: si tratta di riutilizzare gli scarti, riducendo il consumo d’acqua per avere un buon raccolto.”

Che cosa si impara dal lavorare la terra?

Più rispetto, entrare in un contatto più profondo con tutti gli elementi. La pianta non é solo qualcosa che ci dà da vivere, ma è un organismo vivente, perciò si costruisce un processo di rispetto e di amore verso le piante. È una scuola anche per noi.

E poi sicuramente il ritmo: provare a fare a meno della tecnologia, a stare meno in situazioni che ci alienano. Stare nel silenzio, nell’ascolto. È una forma in un certo senso meditativa, non si tratta solo di un lavoro: è entrare in un ritmo dell’essere. E poi il contatto con il mondo vegetale ti dà qualcosa di profondo: la pianta è molto potente, perché è statica, si deve nutrire, difendere e diffondere, quindi è molto intelligente. Le piante  comunicano attraverso i fiori, i semi.

Personalmente, cerco di aumentare la produzione di alberi del 10% ogni anno, perché più alberi autoctoni ci sono, maggiore è la qualità della vita che possiamo portare nel mondo. Se tutti piantassimo alberi invece di distruggerli, partendo dalle scuole… Proprio fra poco andrò in una scuola a fare divulgazione.

Come fa una piccola impresa come la tua ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico?

Il grande lavoro lo stanno facendo i permacultori, seguendo la natura e i suoi cambiamenti. Si stanno attivando processi tecnologici agricoli, per esempio nel cercare di piantare colture che abbiano bisogno di meno acqua, oltre a dare meno input chimici, che sono quelli che ci hanno portato alla situazione attuale. L’impegno è verso i giovani perché devono essere condizionati nel bene e possono fare la differenza adesso, anche se devo dire che non tanti si prendono la briga di tornare nella natura, un po’ perché non c’è creatività, perché con la natura puoi fare veramente tutto. La natura ti dà lo scenario per poter fare qualsiasi cosa, molto più di una metropoli.

Perché avete scelto il nome “Eterica”?

Eterica è collegata all’aspetto spirituale. La pianta e tutti noi attingiamo dall’aspetto spirituale: è il collegamento tra la materia e l’aspetto spirituale, rappresentato dal simbolo della triscele, la tripla spirale. Secondo l’alchimia i simboli dello zolfo, del mercurio e del sale contenuti nella triscele si collegano al piano fisico, emotivo e spirituale. Si tratta di una connessione tra il cielo e la terra.

A proposito di questo, esistono studi in cui si forniscono evidenze sul sentire delle piante?

Sì, esistono meccanismi di traduzione della linfa della pianta, attraverso un apparecchio che misura il sistema linfatico del vegetale e si vede proprio che a seconda del tipo di emozione che prova una persona, la pianta reagisce. Se hai intenzione di tagliarla, lei lo sa. Per esempio, al momento di raccogliere un’insalata, bisogna arrivare con attitudine di ringraziamento. Lì si apre un altro mondo sulla coscienza vegetale.

Eterica si può visitare previo appuntamento, si possono trovare attività di formazione, produzione di olii essenziali e anche prodotti ortofrutticoli tra marzo e ottobre, insieme a erbe medicinali e piante officinali nell’orto botanico, sempre nei mesi più caldi, per percorsi alchemici e botanici. Si realizzano anche percorsi con meditazioni guidate.

https://www.eterica.bio/