Nelle strade di Yerevan, la capitale armena, si intrecciano interessi geopolitici e propaganda russa, mentre la vita degli abitanti si fa più dura a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina e dell’inflazione.

DA YEREVAN – “Ci piacerebbe, ma siamo troppo diversi”, così risponde Nikola, giovane armeno, quando gli chiediamo cosa penserebbe se il Paese entrasse nell’Unione Europea. “In Europa è normale vedere due uomini baciarsi in pubblico, ragazze con minigonne cortissime e bambini che denunciano i propri genitori.
In più quasi tutti gli europei sono gay, noi no!”.

Catene mentali russe

Frasi simili si sentono in continuazione per le strade di Yerevan, stereotipi assurdi in cui moltissime persone credono e che ripetono perentoriamente. Un turbinio di luoghi comuni che mistificano la realtà, riproponendosi con diverse sfumature in tutto il Paese.

Sono gli effetti della propaganda di Putin, spiega Armen, emigrato per 32 anni in Russia ed ora rientrato a Yerevan.

La macchina comunicativa del Cremlino mira a descrivere gli europei come un popolo debole, fatto di uomini gay e effeminati, a cui si contrappone il forte e rude uberman russo. Per denigrare il vecchio continente è stato addirittura coniato un termine: Gay-vrop (traducibile come Euro-gay, o Gayropa), un gioco di parole che fonde l’identità europea con quella omosessuale, secondo banali schemi omofobi.

L’eco della propaganda russa in Armenia è forte, un retaggio sovietico ancora in voga che permea la società con l’obbiettivo di influenzare il dibattito pubblico. Mosca vuole rimanere il punto di riferimento culturale e valoriale per i paesi dell’ex-Urss e il posizionamento geopolitico di Yerevan non fa eccezione.

Secondo Sara, giornalista armena esperta di comunicazione, l’ingresso in Unione Europea porterebbe molteplici vantaggi, sia economici che di sicurezza nazionale: “Sarebbe un netto miglioramento per la vita del Paese e ne sono consapevoli anche i sostenitori della becera propaganda russa”, continua. “Posti di fronte alla concreta prospettiva di entrare in UE, si dimenticherebbero immediatamente di tutte queste sciocchezze e accetterebbero di buon grado”.

Putin sa che sfruttare l’omofobia è una strategia vincente in Armenia, in quanto si tratta di un sentimento diffuso e tangibile. I membri della comunità LGBTQ+ non hanno vita facile, tra stigma sociale e discriminazione istituzionale. Harutyun, presidente dell’ONG Equal Youth, ci conferma che “gli omosessuali sono dichiarati incompatibili con la vita militare e non possono servire nell’esercito”.

Nonostante questa e altre forme di discriminazione, paradossalmente, l’Armenia è il paese del Caucaso in cui è meno pericoloso vivere per un omosessuale e a Yerevan si stanno verificando timidi miglioramenti su questo fronte. Infatti, a gennaio c’è stato il primo caso in cui l’Armenia si è rifiutata di estradare un cittadino omosessuale in Russia, dove il governo conduce da diversi anni una feroce campagna contro gli omosessuali.

Sergey [nome di fantasia, ndr] ci conferma il regime di discriminazione che vige in Russia, dove ha vissuto fino a poco fa. Giornalista ceceno di 40 anni, Sergey ha condotto una vita normale fino a quando è stato scoperto ad intrattenere una relazione sentimentale con un altro uomo. Da un giorno all’altro è costretto a mollare tutto e fuggire, prima in Georgia e poi in Armenia, in attesa di trovare un modo per raggiungere l’Europa. Ancora sotto choc, Sergey racconta la sorte che molto probabilmente sta affrontando il suo compagno, di cui non ha notizie da quando è fuggito, sorte che sarebbe toccata anche a lui se non fosse riuscito a scappare in tempo.

Una delle possibilità è che venga processato, dal momento che in Russia il movimento LGBTQ+ è stato classificato come estremista e illegale, e i suoi presunti esponenti possono essere condannati fino a 12 anni di detenzione. Nella peggiore delle ipotesi, invece, l’imputato sparisce nel nulla.
Senza mezzi termini Sergey afferma: “da noi la polizia uccide, la gente lo sa”.

Sergey è disperato, l’omosessualità è uno stigma anche per la sua famiglia che da settimane non esce più di casa per la vergogna; l’unica speranza che ha di rifarsi una vita dipende dalla possibilità di riuscire ad ottenere un visto per un paese europeo.

Turisti europei, lavoratori indiani, esuli russi, sfollati del Karabakh

Mentre parliamo, dall’Europa che sogna Sergey, giungono nella capitale armena aerei pieni di turisti che percorrono il tour del Caucaso: Yerevan-Tbilisi-Baku. “Molto spesso vengono solo per mettere una bandierina sulla cartina e si fermano uno o due giorni, senza interessarsi a dove si trovano”, racconta Armen, “non conoscono la nostra storia e attraversano, ignari, confini bagnati da sangue ancora caldo, per noi impercorribili da più di trent’anni”.

Quando i turisti in cerca di divertimento arrivano a Yerevan, devono però contendersi i posti negli ostelli con i lavoratori indiani e gli esuli russi che lavorano nel Paese da anni senza riuscire a permettersi un appartamento in affitto. La capitale, infatti, sta attraversando una profonda emergenza abitativa, principalmente dovuta alle ripercussioni della guerra in Ucraina ed al turismo. Sono moltissimi i russi che, allo scoppio della guerra, si sono trasferiti in Armenia per sfuggire alla mobilitazione generale.

Qui possono vivere tranquillamente senza bisogno di visti, tutti conoscono il russo ed il loro potere d’acquisto è notevole grazie al cambio favorevole. Non solo, anche numerosi imprenditori e professionisti russi hanno trapiantato le proprie attività a Yerevan, dove conducono i propri affari per conto di aziende e società formalmente armene, aggirando così le sanzioni europee senza troppe difficoltà.

Inoltre, a questo flusso consolidato si è aggiunta anche una buona parte dei centomila sfollati del Nagorno Karabakh, riparati a Yerevan dopo la dissoluzione della Repubblica nel settembre 2023.