1. Dopo la votazione lampo del Parlamento europeo sul nuovo Patto europeo contro la migrazione e l’asilo, perché di questo si tratta, le reazioni dei principali politici al governo in Italia sono state assai contrastanti. La Meloni e Tajani hanno riconfermato con un silenzio assordante la loro fedeltà alla linea adottata dai popolari europei, pilastro della ormai defunta maggioranza Ursula, Salvini si è schierato all’opposizione, con l’ala dura dei sovranisti capeggiati dal premier ungherese Orban, l’unico che si è lasciato andare a commenti entusiasti il ministro dell’interno Piantedosi. Secondo l’attuale titolare del Viminale, si sarebbe addirittura “superato il sistema Dublino”, e il nuovo Patto che costituirebbe “un grande successo per l’Italia”, “garantirà frontiere esterne più sicure, procedure rapide ed efficienti per l’asilo, espulsioni più veloci, una maggiore solidarietà nei confronti dei paesi di primo ingresso “. Per lo stesso ministro dell’interno “l’Unione ha rafforzato la normativa che ci impone la realizzazione dei Centri di permanenza per il rimpatrio, i Cpr”.

Prima che i fatti smentiscano tanto entusiasmo, la lettura delle norme approvate a scatola chiusa dal Parlamento europeo, con procedure di comitato, tanto opache che non hanno neppure contemplato la traduzione dei testi in tutte le lingue dell’Unione europea, ci mostra chiaramente chi ha vinto e chi ha perso con la votazione del Patto, che richiederà due anni per sua piena implementazione, tenendo sempre presente che nel secondo semestre del 2024 la presidenza dell’Unione europea andrà ad Orban, principale oppositore del nuovo quadro legislativo approvato a Bruxelles.

Non è affatto vero che l’Italia abbia conseguito un successo con il nuovo Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, che modifica i regolamenti (UE) 2021/1147 e (UE) 2021/1060 e che abroga il regolamento (UE) n. 604/2013 (Dublino III)Secondo questo nuovo Regolamento, “Gli Stati membri hanno piena discrezionalità quanto al tipo di solidarietà cui contribuiscono. Nessuno Stato membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni”. Si prevedono soltanto compensazioni economiche per i paesi di primo ingresso quando altri paesi membri rifiutino di dare esecuzione alle decisioni di ricollocazione. E il prolungamento a tre anni del periodo minimo di permanenza in un paese di secondo ingresso, prima che questo paese diventi competente per l’esame della domanda di asilo, potrà penalizzare l’Italia, che si troverà costretta a accettare la riammissione di migliaia di richiedenti asilo transitati, dopo lo sbarco o il soccorso in mare, verso altri paesi dell’Unione europea. Ed è assai più probabile che il Regolamento sulle situazioni di crisi e di forza maggiore, venga utilizzato dai paesi della frontiera orientale europea, vicini al conflitto in Ucraina, piuttosto che dall’Italia, quando “una situazione eccezionale può includere l’afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi e apolidi nel territorio di uno o più Stati membri o in una situazione di strumentalizzazione dei migranti da parte di un paese terzo o di un attore non statale con l’obiettivo per destabilizzare lo Stato membro o l’Unione o una situazione di forza maggiore nello Stato membro”.

Il ministro Piantedosi esulta perché la procedura accelerata di frontiera diventa quella ordinaria, anche per i richiedenti asilo che provengono da paesi che non sono stati ancora dichiarati “sicuri,” ma dai quali si contano poche persone che ottengono il riconoscimento di uno status di protezione, e perché i poteri delle forze di polizia nelle procedure di accertamento (screening), di schedatura (Eurodac in connessione con Eurosur) e poi di allontanamento forzato, in virtù di accordi con paesi terzi, vengono sicuramente aumentati, con uno svilimento delle garanzie di difesa e del divieto di espulsioni collettive che si traduce nell’abbattimento del diritto di asilo in Europa, vero obiettivo del Patto. In caso di afflusso massiccio di richiedenti asilo, i termini di trattenimento e di svolgimento delle procedure in frontiera possono essere notevolmente prolungati attraverso nuove misure di flessibilità. Ma si dovrà verificare se le autorità italiane riusciranno ad implementare le nuove prassi di polizia con migliaia di agenti dedicati alla detenzione ed ai trasferimenti e con la creazione di almeno 10.000 nuovi posti nei CPR, e di almeno 20.000 nuovi posti nei centri Hotspot, che diventano centri di detenzione a trutti gli effetti, nei quali saranno processate le richieste di asilo di quanti provengono da paesi terzi sicuri o a basso tasso di riconoscimenti. Nè si vede come saranno garantiti in questo contesto enormemente dilatato della detenzione amministrativa le posizioni dei soggetti vulnerabili, anche per ragioni di salute e dei minori non accompagnati. Si dovrà comunque attendere la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla legittimità delle misure di trattenimento introdotte con il cd, Decreto Cutro (legge n.50 del 2023)

Rispetto alla esternalizzazione della detenzione amministrativa oggetto del Protocollo Italia-Albania, e più in generale in attesa della decisione della Corte di Giustizia sul rinvio pregiudiziale operato dalla Corte di Cassazione che doveva decidere sui casi di mancata convalida del trattenimento nelle procedure accelerate in frontiera, non ci sono elementi che danno copertura alle prassi amministrative adottate dall’amministrazione dell’interno in Italia (Prefetture e Questure). E in questo non ci troviamo del tutto d’accordo con quanto dichiarato a caldo, subito dopo l’approvazione del Patto europeo dal parlamentare italiano Bartolo, che pure è stato uno dei pochi a battersi con coerenza contro tutte le norme del nuovo quadro legislativo, anche quando il Partito democratico rimaneva invischiato nelle scelte politiche del gruppo dei socialisti europei. Come peraltro si poteva prevedere dopo le politiche di esternalizzazione condotte in Italia ed in Europa da Gentiloni e Minniti.

In base all’art.2 del nuovo Regolamento procedure, questo si applica soltanto a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio degli Stati membri, anche alle frontiere esterne, nel mare territoriale o in transito zone degli Stati membri e alla revoca della protezione internazionale. In base al Considerando 58 del nuovo Regolamento, “gli Stati membri dovrebbero poter imporre ai richiedenti protezione internazionale di risiedere in prossimità della frontiera esterna o in una zona di transito in generale, o in altro sedi designate all’interno del proprio territorio, al fine di valutare l’ammissibilità delle richieste”. Secondo l’art.11 dello stesso Regolamento, “richiedenti hanno il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui si trovano”…durante il procedimento amministrativo, finché l’autorità accertante non avrà preso una decisione in merito alla domanda. Il carattere sospensivo dei ricorsi si dovrà valutare anche sulla base del diritto alla difesa riconosciuto dalle Costituzioni nazionali, in Italia dall’art. 24 della Costituzione, da interpretare alla luce degli articoli 2, 3 e 10 della stessa Costituzione.

2. Se è innegabile una politica europea che spinge verso la esternalizzazione dei controlli di frontiera, non ci sono ancora norme regolamentari che prevedano espressamente la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo per l’esame delle loro istanze, al di fuori dei confini esterni dell’Unione europea, specie quando siano soccorsi da unità militari degli Stati membri, e sbarcati in paesi terzi. Se si è introdotta la “finzione giuridica di non ingresso nel territorio nazionale” per le persone trattenute in Italia, per derogare quanto previsto in altri regolamenti in materia di trattenimento, rimpatri e richiesta di asilo, durante le procedure in frontiera, questa finzione non può valere anche per le persone soccorse in acque internazionali da unità militari di uno Stato membro come l’Italia, e sbarcate in un paese terzo, nel quale siano soggette anche alla giurisdizione concorrente di questo stesso paese. In ogni caso va garantito il carattere individuale delle procedure di asilo: in base al Considerando 80, il concetto di paese d’origine sicuro può essere applicato solo a condizione che il richiedente non possa fornire elementi che lo escludano, nel quadro di una valutazione individuale. Le nuove norme sullo screening (accertamento) non si possono risolvere in una profilazione razziale, o in criteri comunque discriminatori in base alla provenienza nazionale o all’appartenenza religiosa.

Non si può neppure ritenere che i nuovi Regolamenti approvati a Bruxelles diano “copertura” a quelle prassi che hanno finora caratterizzato l’operato delle autorità italiane nei casi di attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, nei diversi tentativi di blocco delle navi della flotta civile, in evidente collusione con la sedicente Guardia costiera “libica”, e poi nella prassi dei fermi amministrativi delle navi umanitarie e nella detenzione in frontiera o in altri luoghi. magari distanti centinaia di chilometri, a disposizione delle autorità di polizia, dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri”.

Sul fronte della controversa applicazione del Decreto Piantedosi (legge n.15 del 2023) in materia di soccorsi in mare operati dalle Organizzazioni non governative, su cui dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale, dopo diverse decisioni di sospensiva cautelare dei fermi amministrativi, Il Regolamento europeo n.656 del 2014, rimarrà in vigore, a disciplinare le operazioni di ricerca e soccorso in mare svolte dall’agenzia Frontex. Lo stesso Regolamento riguarda direttamente anche gi Stati che ospitano i mezzi utilizzati dall’agenzia, dettando limiti precisi alla collaborazione con i paesi terzi che non riconoscono effettivamente i diritti umani e gli obblighi di soccorso in mare, con un espresso richiamo alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, che fissano gli obblighi di ricerca e salvataggio a carico degli Stati e dei soggetti privati. Nel cooperare con le autorità di paesi terzi, “l’Agenzia agisce nell’ambito della politica dell’Unione in materia di azione esterna, anche con riferimento alla protezione dei diritti fondamentali e dei dati personali, al principio di non respingimento, al divieto di trattenimento arbitrario e al divieto di tortura e di trattamenti o pene inumani o degradanti”. Gli stessi limiti valgono per gli Stati membri che ospitano i mezzi dell’agenzia o che si coordinano con questa.

Non vi è dunque alcuna copertura europea per la norma contenuta nel decreto Piantedosi (legge n.15/2023) che impone a chi opera soccorsi in acque internazionali di rispettare le indicazioni provenienti “dalle autorità competenti” in base alla suddivisione del Mediterraneo in aree di responsabilità SAR (ricerca e salvataggio). Nei criteri di valutazione dettati dal Regolamento europeo n.656 è chiaro che gli eventi di soccorso non possono essere declassati a meri eventi di immigrazione illegale (law enforcement) da monitorare, quando le imbarcazioni siano sovraccariche, senza dotazioni di sicurezza ed a notevole distanza da un porto sicuro. Casi nei quali si impone alle autorità degli Stati costieri, come ai comandanti delle navi civili, un immediato intervento di soccorso che può considerarsi concluso solo con lo sbarco in un place of safety (POS), che la Libia e la Tunisia oggi non possono garantire.La collaborazione operativa con Stati terzi, già dubbia quando si tratta di attività di law enforcement (contrasto dell’immigrazione irregolare), per il richiamo del Protocollo ONU contro il traffico di esseri umani del 2000, che privilegia il rispetto dei diritti umani sanciti dalle Convenzioni internazionali, appare nettamente da escludere quando questi Stati, al termine di una operazione di ricerca e salvataggio (SAR), non possono garantire un porto sicuro di sbarco.

Gli accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani, ed in particolare le intese operative sul modello del Protocollo Italia-Albania, non trovano copertura nel complessivo quadro legislativo che si prefigura con l’approvazione del Patto europeo sulla (contro la) migrazione e l’asilo. Il nuovo Regolamento sulle procedure di asilo non è evidentemente applicabile al di fuori dei confini degli Stati membri, e le intese fin qui raggiunte con Libia, Tunisia ed Egitto, e in precedenza con Sudan e Niger, e con altri paesi, non trovano copertura nei nuovi Regolamenti europei o negli accordi stipulati dall’Unione europea con questi stessi paesi.

Per il principio di gerarchia delle fonti, sancito dall’art.117 (e dall’art.10) della Costituzione, più volte ribadito dalla Corte di cassazione, gli atti legislativi, provenienti dall’Unione europea, come gli atti di natura politica posti in essere dai singoli ministri, o dal Presidente del Consiglio, non possono derogare le norme internazionali di natura cogente, ad esempio quelle che in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 riconoscono il diritto di asilo come diritto di accesso al territorio di un paese sicuro, che vietano trattamenti inumani o degradanti (come l’art.3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo), che pongono limiti e garanzie nei casi di restrizione della libertà personale, come l’art.5 della stessa Convenzione), che si collega all’art.13 della Costituzione italiana, o che proibiscono i respingimenti collettivi (come l’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ed in precedenza, l’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU). Questa considerazione vale tanto a livello europeo, quanto sul piano del diritto applicabile in ambito nazionale. In quest’ultimo ambito non si può neppure svuotare con norme procedurali la portata applicativa dell’art.10 della Costituzione che riconosce il diritto di asilo.

La giurisdizione rimane un baluardo da difendere, per garantire l’applicazione delle leggi e delle Convenzioni internazionali senza prevaricazioni da parte delle autorità governative e di polizia. E dunque dovrà garantirsi il principio della indipendenza della magistratura, sotto attacco, come in Ungheria, quando non risulta allineata agli indirizzi di governo e viene messo in discussione il principio di separazione dei poteri, e dunque lo Stato di diritto (Rule of law). Ma come dimostrano i silenzi imbarazzati, le contraddizioni malcelate e le distorsioni rilevabili nella comunicazione pubblica dopo l’approvazione del Patto europeo “contro” la migrazione e l’asilo, anche i mezzi di informazione sono sotto attacco da parte di chi vorrebbe imporre un pensiero unico contrario alla mobilità delle persone migranti ed alla loro inclusione nelle società occidentali. Eppure rimangono ancora, non sappiamo per quanto tempo, una barriera per arginare la diffusione di un senso comune tossico che ormai arriva a legittimare persino prassi amministrative dichiarate illegali nei tribunali e nelle Corti internazionali. Coloro che si mostrano come vincitori oggi, saranno sconfitti domani, dalla realtà dei fatti o dalle pronunce della giurisprudenza, ma non vorremmo che tra i vinti ci possa essere alla fine lo stato democratico ed i principi di legalità costituzionale che lo caratterizzano.

pubblicato anche su ADIF.org