Lunedì lo scrittore Maurizio Maggiani su La Stampa ha proposto un lungo articolo in cui ha affrontato tematiche estremamente attuali. Lo abbiamo intervistato su alcuni questioni cruciali.

Nella tua riflessione hai raccontato l’aneddoto giovanile riguardante una manifestazione in cui ti sei messo a cantare la canzone di Pino Masi “L’ora del fucile”, molto in voga allora negli ambienti di movimento, riciclata da una più nota di Barry Mc Guire contro la guerra in Vietnam, e come sei stato redarguito dai partigiani presenti che ti hanno ricordato quanto sia loro costata la scelta di “prendere il fucile”….

Non mi hanno “redarguito”, mi hanno fatto il culo…

Ok, in ogni caso la nostra generazione è cresciuta con il mito della “violenza levatrice della storia”, concetto di Marx, che sicuramente ha prodotto disastri. Ma la stessa storia ci ha dimostrato che in alcuni casi, purtroppo, è necessario “prendere il fucile”, vedi i curdi nel Rojava…

Io sono moderno, contraddittorio, pacifista nato, ma cantavo anche “la pace per gli oppressi, la guerra agli oppressor”. A mio avviso il tema vero è che quando penso agli oppressi, non considero i governi ma i popoli. E credo che questa sia una precisazione importante.

Dopodiché che cosa significa guerra? Lotta armata, ma con quali armi? E qui cominciano i problemi, io non sono un pacifista teorico, non sono Capitini, né Martin Luther King, anche se il mio migliore amico che mi ha convertito al pacifismo, Tom Benettollo, prima di morire stava scrivendo un libro su King. Sono invece un pacifista pratico, cosa significa? Pensiamo davvero che i fucili siano l’arma giusta? Guardiamo all’oggi: il Myanmar ha una dittatura militare, quello che era il popolo armato contro il regime ora si sta muovendo con gruppi armati tribali e questo lo ritengo un cambio di rotta. Evidentemente si tratta di un’altra cosa: il popolo è stato spodestato dagli eserciti che si ritengono suoi rappresentanti, ma è veramente così? Ho la totale sfiducia negli eserciti.

Prendiamo la lotta armata partigiana, che è quella che conosco, l’ha fatta mio padre, sono nato nel 1951, in una casa posizionata sulla linea gotica, abbiamo avuto l’abitazione bombardata. I partigiani non erano un esercito popolare, ma brigate, compagnie, per dirla con Mao si muovevano come pesci nell’acqua dentro il popolo. Ebbene non so come oggi quella esperienza possa essere ripetuta.

Credo solo che la guerra di Bosnia che è uno spartiacque nella mia vita, ha cambiato la mia esistenza tenendo conto che non ero un combattente, ma uno tra i tanti volontari che cercava di cercare di salvare qualche vita. E quel conflitto come è finito? Con la sopraffazione degli eserciti, dei governi, dei poteri, si sono impadroniti di tutto. Faccio considerazioni molto pratiche, fuori da ogni ideologismo.

Mi sembrano riflessioni giuste. Non ci sono dubbi che se prevale un’ottica di scontro frontale oggi hai a che fare con apparati bellici enormi, con tecnologie estremamente efficaci e quindi la logica militare risulta perdente, vedi la situazione dei palestinesi. E’ una questione anche di saggezza…su questo anch’io sono estremamente pragmatico

Hai detto bene bisogna usare la saggezza

In questo senso periodicamente mi tornano in mente le immagini del ’77 bolognese dopo l’uccisione di Francesco Lorusso. Inizialmente si scatenò la guerriglia, poi di fronte agli M113 mandati dal governo, li vidi anch’io con i miei occhi, il movimento scelse appunto la saggezza.

C’è quella immagine di migliaia di mani alzate, non un segnale di resa, ma per dire al potere la violenza è solo vostra…

Le giornate di Bologna durante il convegno contro la repressione, settembre 1977, sono state un’altra svolta della mia vita. Lavoravo e quindi arrivai in ritardo. Partii da La Spezia con la mia compagna e arrivai quando il corteo nazionale la domenica a conclusione dell’evento, era già partito. Ci siamo messi a lato per vedere dove entrare; alla fine il corteo sfilò completamente, ma noi emblematicamente un posto dove metterci non lo trovammo…

A proposito di movimenti un punto fondamentale è quello del movimento per la pace.

Oggi più che in passato sembra di essere sull’orlo del baratro. La nostra generazione è cresciuta con l’incubo del rischio nucleare, anche se nel contesto della “Guerra fredda” con i due blocchi c’era paradossalmente una stabilità, seppur in una situazione al limite. I due episodi che ci portarono molto vicini all’irreparabile fu quella nota del 1962, la crisi dei missili a Cuba, l’altra, forse di meno, nel settembre del 1983, ancora più drammatica, fu rimediata dal buonsenso e dall’intuizione del Tenente Colonnello russo Stanislav Petrov che di turno in un bunker segreto nel captare dal sistema di sicurezza il segnale dell’invio da una base del Montana di cinque missili intercontinentali, capì che si trattava di un errore e non diede l’allarme, salvando il mondo dal disastro nucleare.

Nella situazione odierna, con la proliferazione nucleare e i tanti “Stranamore” che sono al comando, siamo tutti con il fiato sospeso, ancora di più dopo l’invasione russa in Ucraina.

Secondo me non siamo con il fiato sospeso, siamo già dentro l’incubo. Mi sento di fare un ragionamento antico e quindi probabilmente rozzo. Oggi l’Europa dal punto di vista politico e diplomatico è rappresentata dalla Nato, è questo soggetto a parlare per il Vecchio Continente quando si discute di Ucraina, basta leggere i giornali. La Nato è un apparato militare le cui ragioni di esistenza sono cessate con la fine dell’Urss, visto che la base del suo atto costitutivo era incentrata sulla necessità di fare argine contro il comunismo. L’articolo 5 esplicita il suo carattere difensivo, nel caso di attacco ad un Paese alleato. Dopo l’89 l’apparato militar-industriale avendo necessità di vivere, si reinventa.

E lo fa con le guerra del Kosovo, in Afghanistan, cioè per esserci ha trovato soluzioni extra statuali. Dal punto vista militare tutte le sortite dell’Occidente non hanno portato a nessuna vittoria.

Esiste una battaglia della Nato vittoriosa negli ultimi cinquant’anni?

Il Kosovo è una della pagine più vergognose a cui non siamo solo partecipi, ma attori attivi.

Odio D’Alema, è il termine che mi sento di usare, non solo per ragioni politiche ma soprattutto per aver sputtanato, in nome di un suo accreditamento politico, la Costituzione della Repubblica con l’appoggio dell’allora Presidente Ciampi, andando a bombardare Belgrado. Questo per liberare il Kosovo dall’incubo del genocidio, perpetrato da quel Milosevic che pochi mesi prima era stato considerato l’artefice e il tutore della pace nell’ex Jugoslavia con gli accordi di Dayton.

Queste sono tutte schifezze compiute per stupidità.

Va sottolineato come il cambio di generazione tra i superstiti della Seconda guerra mondiale e i loro figli e nipoti abbia completamente modificato le carte in tavola. Gli accordi di Yalta facevano forse schifo ma sono stati rispettati da quella generazione. Può essere odioso dirlo, ma quando Mosca occupò l’Ungheria o la Cecoslovacchia l’Occidente non batté ciglio, né dall’altra parte quando nel 1946 i greci furono massacrati in gran numero durante la guerra civile, l’Urss alzò un dito.

Anzi divise in due il partito comunista.

Oggi invece non c’è nessun accordo e questo per il degrado delle generazioni che si sono succedute.

Quando ho dei dubbi non vado a leggere “Il manifesto del partito comunista” o “Stato e rivoluzione”, ma “Storia militare della Seconda guerra mondiale” di Liddel Hart, che fu membro dello stato maggiore inglese durante il conflitto, un militare e anche uno storico della materia, tra i più autorevoli in Europa. Hart sottolinea il senso di colpa di inglesi, francesi, sovietici, di tutti, per non aver impedito la guerra. Quel senso di colpa ha retto, pur nella schifezza della Guerra fredda, ha retto quel patto.

Ora è tutto finito, non abbiamo nessun senso di colpa, non abbiamo più coscienza della storia.

La memoria è considerata un impiccio, perché infastidisce il potere. L’apparato militar- industriale condiziona la classe politica Siamo al paradosso che sull’Ucraina le notizie ci arrivano dai servizi segreti inglesi, ma può essere possibile? Cioè da chi ha nel proprio dna il silenzio e la disinformazione e questi si mettono a fare le conferenza stampa per dirci come andrà a finire…

E la Germania che dichiara che tra 3/5 anni ci sarà l’attacco russo all’Europa, e perché non da 2 o 4? Ritengo che non sia possibile affidarci all’apparato sopra indicato e alle sue politiche dominanti oggi in Europa .

L’ultimo punto che vorrei toccare riguarda il movimento per la pace. Le grandi manifestazioni, a partire da quella di Roma, per impedire la guerra in Iraq non portarono a nulla ed è una sconfitta che ancora pesa. Nonostante questo alcuni segnali importanti arrivano. Penso ai giovani israeliani che vanno in carcere rifiutandosi di arruolarsi per partecipare al massacro a Gaza. La diserzione può essere una scelta realistica? Può avere una sua prospettiva?

Io scelsi l’obiezione di coscienza quando ancora si andava in galera. Non entrai in carcere per un pelo, a cavallo tra la vecchia e la nuova legislatura, questione di pochi mesi. Allora non ero pacifista, ma non volevo servire l’esercito italiano, quindi grande rispetto per la diserzione.

C’è da ricordare che colui che rimane uno delle più importanti figure della Repubblica, Sandro Pertini, come primo atto della sua presidenza promulgò la grazia nei confronti degli anarchici incarcerati a Gaeta in quanto obiettori. In una intervista gli chiesero le ragioni del provvedimento come primo atto e lui rispese: “Perché hanno ragione loro”.

Ma a parte la diserzione, per venire al movimento pacifista, io ero al G8 di Genova in triplice veste: in quanto residente nella zona rossa, come giornalista, come membro del Tavolo della pace, quindi come attivista politico. Ho la certezza pasoliniana che in quel momento è stato annientato il movimento mondiale per la pace. A Genova c’erano dei debuttanti inermi, totalmente privi di una idea di autodifesa, a parte i black block che sono ad una storia a parte e che ho visto in Piazza Corvetto essere assistiti dalla polizia. Quindi manifestanti inermi con un sentimento di giustizia sociale e di pacifismo estremi. Conosco diversi che allora parteciparono, oggi padri e madri, che hanno paura per i loro figli a cui hanno trasmesso il loro trauma di quei giorni. Per cui questi ragazzi oggi temono di andare in piazza. Poi dopo due anni ci sono stati i tre milioni a Roma ma li reputo dei funerali dato che tutto è svanito. E’ evaporato non il pacifismo, ma i movimenti.

Come sono spariti i partiti, per come li conoscevamo. A Genova vinse il governo Berlusconi, come ha vinto l’ideologia delle fine delle ideologie, contro il pensiero che si fa azione e movimento.

Poi i pacifisti ci sono ancora, come tutti i volontari che ci sono in giro per il mondo a rischiare la pelle, vedi quelli ammazzati qualche giorno fa dal drone israeliano,o coloro che vanno in mare a salvare i migranti. Però è un pensiero che accomuna milioni di singoli individui, non un movimento.

Ci sono dei fermenti nelle università, anche all’estero. Ma che possano poi sfociare in un vero e proprio movimento non si può sapere.