Da decenni le università italiane sono terra di conquista dei baroni di varia estrazione politica, il conformismo e l’appiattimento sul pensiero mainstream sono pressoché egemoni. Al di là di alcuni singoli professori e ricercatori, che faticosamente cercano di proporre un pensiero critico fuori dagli schemi dominanti, gli studenti e le studentesse devono sopportare l’arroganza e l’autoritarismo di buona parte del corpo docente.

Ogni tanto questa situazione pacificata viene fortunatamente in misura modesta “destabilizzata” da alcune proteste, spesso circoscritte a pochi atenei, da parte degli studenti e delle studentesse, a volte purtroppo senza riuscire a coinvolgere la maggioranza dei loro coetanei.

In tempi recenti si è sviluppato un movimento, questo a dire il vero abbastanza diffuso, sull’annosa e grave situazione degli affitti delle abitazioni e della carenza di case per chi frequenta le università.

In questi giorni, invece, stiamo assistendo alla meritoria mobilitazione solidale con il popolo palestinese, contro la mattanza da parte del governo e delle forze militari israeliani iniziata dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre. Di fronte alle varie iniziative studentesche, anche di contestazione nei confronti di note firme del giornalismo italiano da sempre allineate sulle posizioni di regime, si sta scatenando un vero linciaggio mediatico (nonché cariche della polizia) da parte dei maggiori quotidiani, e dei rappresentanti del mondo intellettuale nazionale, oltre ovviamente di esponenti del governo e dei partiti, non solo di centrodestra.

Fa tristezza che anche un’autorevole storica come Anna Foa si sia allineata allo schieramento sopra descritto, con una intervista rilasciata a Francesca Paci su La Stampa, sconcertante e anche assai grave. Per ragioni di spazio lasciamo da parte i giudizi molto discutibili sul conflitto israelo-palestinese e ci concentriamo su quelli riguardanti le proteste di questi giorni.

Alla prima domanda della giornalista che fa riferimento, sbagliando, a Berkley e alla contestazione degli anni Sessanta, Anna Foa si lascia andare ad un fantasioso quanto irricevibile paragone riguardante “l’avvento degli autonomi alla Sapienza a metà degli anni Settanta, un periodo di occupazioni continue e violente molto diverso dal ‘68”. E prosegue facendo riferimento al collettivo Cambiare Rotta, “un gruppo estremista venuto fuori all’improvviso i cui proclami fanno riferimento alla lotta dei terroristi, evocano Barbara Balzerani, parlano di Gaza ma anche di Ucraina con posizioni assolutamente filo Putin. Siamo oltre il boicottaggio di Israele. La soluzione non passa di certo dai manganelli (sic) ma bisogna capire cosa sta succedendo nei nostri atenei”.

Più avanti afferma che pur non essendo complottista vede “una forte matrice ideologica e, udite udite, “molti studenti sono comunisti”, aggiungendo che “l’Italia è il paese dove il sostegno a Putin è massiccio”. Insomma siamo al pericolo rosso e ai putiniani dietro l’angolo.

Ora che purtroppo in giro ci sia chi pensa ancora che il nemico del mio nemico sia mio amico e che basti essere contro gli Usa per essere arruolati nel mitico “fronte antimperialista” è vero, ma per fortuna, con buona pace della Foa, stiamo parlando di un circuito piuttosto minoritario.

Per il resto c’è poco da capire cosa stia accadendo nei nostri atenei. Come detto ogni tanto delle salutari dinamiche conflittuali si manifestano con modalità che sono molto diverse da quelle ricordate, se non altro per l’enorme differenza con il contesto di 50 anni fa, che una storica dello spesso di Anna Foa conosce perfettamente. E comunque anche sulle “occupazioni continue e violente” di allora ci sarebbe molto da osservare, ma lasciamo perdere.

Per quanto riguarda il collettivo Cambiare Rotta, questo pericolo pubblico numero uno, Foa può leggere nella pagina che precede la sua intervista l’articolo di cronaca su La Sapienza di Roma dal titolo eloquente: “Tra i ribelli della Sapienza Chiediamo soltanto di poter parlare”. Che brividi! Questi pericolosi nipotini degli “autonomi” chiedono di poter parlare! Violenti!

Forse la Foa dovrebbe prendere esempio da Chiara Saraceno, che peraltro è stata anche lei oggetto di una contestazione qualche giorno fa all’università di Torino, affrontata con eleganza e rispetto nei confronti degli studenti e delle studentesse, la quale sempre ne La Stampa, pagina dei commenti, invita a non criminalizzare chi protesta e non “disconoscere agli studenti (e in generale ai giovani che si organizzano autonomamente) la qualità di interlocutori e portatori non solo di interessi, ma di punti di vista e visioni di ciò che sarebbe necessario fare legittimi e da prendere in considerazione. Non nascondendosi dietro l’alibi che sono piccole minoranze”.

Sarà “comunista” anche la Saraceno?