Domenica 25 febbraio alle 17 a Schio (VI) è stata indetta una piccola manifestazione/presidio per ricordare le vittime del naufragio di Cutro.

A Schio e nell’Alto Vicentino da tempo è attivo il Collettivo Rotte Balcaniche che si occupa di supportare le persone in transito lungo la rotta balcanica, di informare e mobilitare su quanto sta succedendo ai confini dell’Europa.

A Schio sono presenti anche altre realtà sociali e solidali come il Collettivo Femminista Scledense e il Centro sociale Arcadia, insieme a cui è stato lanciato il sit-in.

Alla presenza di un centinaio di persone si sono succeduti vari interventi che hanno ricordato la strage di Stato avvenuta a Steccato di Cutro, denunciando non solo i mancati soccorsi ma anche l’atteggiamento delle autorità nelle tragiche giornate successive. Infatti, non solo il governo non si degnò di visitare e ascoltare i familiari delle vittime, ma varò con un CdM straordinario, proprio a Cutro, il cosiddetto “decreto Cutro”, che vergognosamente si ispira a quella tragedia introducendo invece un peggioramento delle condizioni di accoglienza e un potenziamento delle azioni di repressione prolungando, a titolo di esempio, i tempi di detenzione presso i CPR, quotidianamente luogo di soprusi e degrado.

Durante il presidio sono state poi lette alcune testimonianze dei familiari delle vittime, che hanno denunciato le responsabilità delle autorità italiane nell’omissione di soccorso, chiedendo verità e giustizia, ed è stato raccontato in sintesi il lavoro svolto dal Collettivo sui confini tra Bulgaria e Turchia da giugno 2023. Si è poi portata l’attenzione sul “buco nero” dell’umanità che sono i CPR, a poche settimane di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla a Roma, e sul genocidio in corso in Palestina, sottolineandone la matrice razzista e coloniale che lo lega alle necropolitiche europee sui confini.

Nel frattempo, è stato preparato un lungo “lenzuolo della memoria” sul quale le persone presenti sono state invitate a scrivere i nomi dei 94 morti (riconosciuti) nel naufragio, in una lenta e silenziosa scrittura collettiva che simbolicamente ha ridato un nome a persone ridotte a “carico residuale” dalla violenza dello Stato.

Il lungo lenzuolo della memoria è stato poi portato da alcuni di noi in uno spazio pubblico della città in cui ci sono la bacheca dei nuovi nati e le epigrafi dei deceduti, ma gli agenti hanno chiesto i documenti e identificato i ragazzi che lo stavano attaccando.

Il tutto si è svolto sotto l’attento controllo di agenti delle forze dell’ordine.

 

di Floriana Lamonato e Giovanni Marenda – Collettivo Rotte Balcaniche