Su Repubblica di oggi Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, interviene con una lettera al direttore sulle recenti polemiche relative al Festival di Sanremo e la presa di posizione di Ghali.

Per Di Segni in un contesto di crisi come questo bisognerebbe “resistere alla seduzione dei luoghi comuni, non seguire le idee, gli slogan e le ideologie appiattite alla moda. Sviluppare un senso critico. Cosa a cui dovrebbe educarci la scuola ma non so fino a che punto ci riesce”. E arriva al punto affermando che “qualcuno (qualcuno…) ha protestato perché è stato consentito a un cantante di parlare di ‘genocidio’ con un evidente riferimento a Gaza”. Per Di Segni il problema non era che lui ne parlasse (bontà sua), ma che “non vi fosse alcun contraddittorio e che le sue parole passassero con un messaggio di pace – che invece di pace non è, schierato, che sotto l’apparenza della misericordia e della condanna della guerra mescola le carte in tavola, sovverte la Storia. Contro chi ha protestato è stato evocato il diritto della libera parola, specialmente se si tratta di artisti, come se gli artisti avessero più diritti degli altri”. E conclude Di Segni : “Certo che ci deve essere il diritto di parola. Ma l’ente pubblico pagato con le nostre tasse dovrebbero garantirlo a tutti. E quanto alla parola, chi la dice e chi l’ascolta, dovrebbe soppesarne la qualità. In una canzone non si possono fare ragionamenti”.

Andando in ordine: ci vuole coraggio a fare riferimento al “senso critico” da parte di chi rappresenta un mondo ebraico che purtroppo nella sua stragrande maggioranza, almeno in Italia, da anni, eccetto alcune importanti eccezioni, vedi anche il recente appello delle “Voci ebraiche per la pace”, ha accettato le politiche  oppressive e i crimini verso i palestinesi da parte dei governi israeliani, fino ad arrivare all’attuale massacro, senza dire sostanzialmente una parola.

Da tempo sono convinto che l’atteggiamento di tanti ebrei nei confronti dello Stato di Israele, ricorda quello di milioni di comunisti negli anni Cinquanta verso l’Unione Sovietica, almeno fino al “Rapporto Krusciov”.

Sanremo non è un talk show quindi è ridicolo parlare di “contraddittorio”;  come è noto in questi anni si è usato il Festival per lanciare determinati messaggi e in questo caso giustamente si è denunciato l’orrore di Gaza. Parole di indignazione che dovrebbero essere  fatte  proprie anche da Di Segni a proposito di “ideologie appiattite”. Per quanto riguarda l’ente pubblico e il “diritto di parola”, forse al rabbino capo sfugge il livello qualitativo della nostra informazione che nella classifica internazionale dell’ultimo rapporto è a circa il 47° posto. L’informazione pubblica è da sempre lottizzata fino ad arrivare ad oggi con i famelici “patrioti” meloniani che per recuperare il tempo perduto stanno superando ogni limite, come dimostra la vicenda “Venier”.

Inoltre scrivere che una canzone non “possa fare ragionamenti” è alquanto bizzarro dato che c’è l’imbarazzo della scelta nel ricordare il ruolo fondamentale avuto da decine e decine di cantanti e gruppi musicali nel “ragionare” su questioni cruciali. Di Segni per esempio ha presente De Andrè?

In conclusione questa uscita è l’ennesima conferma di un atteggiamento unilateralmente acritico e fideistico. Neanche quasi trentamila morti in pochi mesi evidentemente hanno indotto Roberto Di Segni e i rappresentanti dell’Ucei a prendere le distanze da un governo israeliano, nonostante si tratti del fascista e razzista esecutivo di Netanyahu.