Il 12 febbraio a Roma (piazza Risorgimento, ore 9-13) attiviste originarie della Tanzania organizzano un sit-in di protesta in occasione della visita della presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan a papa Francesco.

Le politiche economiche dell’attuale governo guidato dalla presidente Suluhu Hassan hanno permesso a interessi stranieri di assumere il controllo quasi totale dell’economia e delle risorse naturali del paese. Si contesta la decisione di affidare la gestione dei porti a Dubai Port World e la silvicoltura ad altre strutture degli Emirati Arabi Uniti. E’ chiaro il pericolo del controllo straniero – non importa se arabo/islamico, o occidentale/cristiano o cinese – su risorse e settori strategici.

Molti contratti sono stati firmati segretamente. I tanzaniani hanno il diritto di gestire i propri porti in autonomia. Gli investitori devono essere scelti sulla base di chi offre al paese le condizioni migliori. La stipula di molti contratti economici con l’Emirati solleva i timori di neo-colonialismo.

Una grave violazione dei diritti umani è in corso contro la popolazione dei Masai che vengono espulsi con la violenza dalla regione di Ngorongoro, la terra dei loro antenati, e dove vivevano in armonia con la natura.

Sul lato dell’assetto istituzionale del paese, la presidente Suluhu Hassan, che sostiene di lavorare per l’armonia nazionale e le riforme politiche, ha in realtà rifiutato di realizzare qualsiasi riforma significativa dell’ordine costituzionale e politico del paese. La Costituzione è tuttora quella promulgata nel 1977, nell’epoca del monopartitismo. Il sistema elettorale, anch’esso in vigore dai tempi del partito unico, ha istituzionalizzato i brogli elettorali per continuare a mantenere il partito al potere. Questo rifiuto delle riforme costituzionali e politiche è un pericolo fondamentale per la pace e la stabilità in Tanzania.

La presidenza di Samia Suluhu Hassan dal 2021 non ha apportato alcun miglioramento apprezzabile alla sorte delle donne tanzaniane. Non ci sono stati cambiamenti politici o legislativi degni di nota. Quanto alle retribuzioni, alle opportunità e all’accesso alle professioni, le conquiste non sono recenti ma risalgono ai primi anni dell’indipendenza (inizio anni 1960).

L’attuale presidenza mostra di favorire la concentrazione del potere economico e politico nelle mani di poche famiglie. Questo provoca malcontento.

La Tanzania non ha, e non ha mai avuto, un problema di radicalismo islamico di cui parlare. Le differenze religiose non sono mai sfociate in conflitti violenti, come avviene nel Mozambico settentrionale o nel Kenya nordorientale. Questa è una buona premessa per uno sviluppo pacifico ed equo, nell’indipendenza da potenze estere. Ma l’atteggiamento dei vertici del paese deve cambiare.

 

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Anna Peter Mrio 342 328 3637, rappresentante della diaspora tanzaniana

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