l 2022 può essere considerato un anno di transizione per il lavoro domestico, con l’INPS che registra un decremento del 7,9% rispetto al 2021 (quasi 80 mila lavoratori domestici in meno), considerato fisiologico a seguito degli incrementi registrati nel biennio 2020- 2021 dovuti a una “spontanea regolarizzazione di rapporti di lavoro per consentire ai lavoratori domestici di recarsi al lavoro durante il periodo di lockdown” e “all’entrata in vigore della norma che ha regolamentato l’emersione di rapporti di lavoro irregolari (D.L. n.34 del 19/05/2020 – decreto “Rilancio”)”. E’ quanto si legge nel V Rapporto annuale sul lavoro domestico, promosso dall’Osservatorio Domina. Non solo una fotografia dell’esistente, ma uno strumento per comprendere meglio su quali leve sia possibile agire per migliorare l’assistenza ai bambini e agli anziani in particolare, agevolando i compiti di cura delle famiglie e, al tempo stesso migliorare la situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese.

Nel 2022 i lavoratori domestici regolari in Italia erano 894.299. Si stima però che i lavoratori del settore siano oltre il doppio: 1,85 milioni con un tasso di irregolarità del 51,8% che rappresenta la percentuale più alta di tutto il mercato del lavoro nel nostro Paese (11,3% la media generale), da cui si può stimare in circa 4 milioni di soggetti il numero complessivo di persone coinvolte, tra lavoratori e datori di lavoro.  Si tratta di un settore caratterizzato da una forte presenza straniera (69,5% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (86,4%), anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana.

Le famiglie spendono oggi 7,7 miliardi di euro per i lavoratori domestici regolari, a cui si aggiungono 6,6 miliardi per la componente irregolare. Si tratta quindi di una spesa complessiva di oltre 14 miliardi, che porta allo Stato un risparmio di circa 9 miliardi (0,5% del PIL), ovvero l’importo di cui lo Stato dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura. Tra i datori di lavoro, oltre un terzo si concentra in Lombardia e nel Lazio. La componente femminile è mediamente del 57%, mentre quella straniera al 6% (2% Ue e 4% non Ue). Dopo gli aumenti del biennio 2019-2021, nel 2022 in tutte le regioni – ad eccezione della Sardegna – si registra un calo nel numero di datori di lavoro domestico. Osservando i dati dei datori di lavoro per fascia d’età, tra gli uomini si ha una concentrazione maggiore nella fascia fino a 59 anni (36,2%), mentre tra le donne la fascia più rappresentata è quella con almeno 80 anni (41,7%). In linea generale si può ipotizzare che la fascia meno anziana sia caratterizzata prevalentemente da rapporti di colf o baby sitter, mentre la più anziana da rapporti di badante, anche se – è bene ricordarlo – non sempre il datore di lavoro coincide con il beneficiario della prestazione (è possibile, ad esempio, che il datore di lavoro di una badante sia il figlio di una persona anziana). Tra i datori di lavoro, inoltre, figurano oltre 100 mila grandi invalidi (10,3% del totale) e 3.417 sacerdoti (0,3%). I grandi invalidi sono sostanzialmente invariati rispetto al 2021 (-0,6%), mentre i sacerdoti registrano un calo più intenso (-4,4%).

Dai dati INPS è inoltre possibile approfondire i casi in cui esiste un legame di parentela tra lavoratore e datore di lavoro domestico: sono 674 i casi in cui datore e lavoratore sono coniugati (nel 79,5% dei casi il lavoratore è donna) e oltre 19 mila i rapporti di lavoro in cui esiste un legame di parentela (fino al terzo grado), anche in questo caso con una prevalenza di donne tra i lavoratori (77,3%). Ancora più frequente la situazione di convivenza tra lavoratori e datori di lavoro domestico. Si tratta infatti di oltre 228 mila rapporti di lavoro, pari a quasi un quarto del totale (23,4%). In termini assoluti, le regioni con più rapporti di lavoro in convivenza sono Lombardia, Emilia Romagna e Toscana mentre, per quanto riguarda l’incidenza sul totale datori, i valori massimi si registrano in Friuli Venezia Giulia (48,7%) e Trentino Alto Adige (48,5%), mentre i minimi in Sicilia (6,7%) e Sardegna (7,7%). Infine, vi sono 1.700 persone giuridiche che figurano come datori di lavoro domestico, in lieve calo rispetto al 2020 (-3,0%). Di questi, il 40% si trova nel Centro; il Nord rappresenta il 34,4% e il Sud e Isole il 25,6%. Tra i datori di lavoro si registra un’età media piuttosto elevata: 68 anni. Il dato non sorprende, considerando che l’assistenza agli anziani è una delle mansioni principali dei lavoratori domestici. Tuttavia, considerando in maniera distinta i datori di lavoro per genere (uomini e donne), si notano differenze significative. In generale, le datrici di lavoro sono più “anziane” rispetto ai datori uomini: Tra le donne, il 40,2% ha almeno 80 anni e il 23,6% almeno 90. Tra gli uomini, invece, gli ultra-ottantenni rappresentano il 25,8% e gli over 90 il 12,8%. Questo divario può dipendere innanzitutto da fattori demografici, dato che le donne hanno mediamente una aspettativa di vita maggiore. Va però ricordato, in questo caso, che il datore di lavoro non sempre coincide con il beneficiario dell’assistenza. In molti casi, infatti, sono i figli a risultare datori di lavoro di chi svolge l’assistenza ai genitori.

Per quanto riguarda la durata media dei contratti, è possibile distinguere tra quelli a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. Nel corso degli anni, è progressivamente aumentata la durata media dei contratti a tempo indeterminato, passando da 46 mesi (2012) a 119 (2022), ovvero una durata media di circa dieci anni. I contratti a tempo determinato hanno invece una durata media di 7,7 mesi, in lieve calo rispetto agli oltre 9 mesi del periodo 2012-2016. Complessivamente, circa tre contratti su quattro (64,6%) hanno una durata superiore ai cinque anni. Quasi uno su dieci, tuttavia, ha durata inferiore ad un anno (9,7%). Tra i motivi della chiusura del rapporto, il più frequente è il licenziamento del lavoratore (52%). Il 26% si chiude con le dimissioni, il 12% con la morte dell’assistito e il 9% per la scadenza del contratto. Solo l’1% dei contratti si è chiuso per giusta causa.

Rispetto al futuro, il Rapporto sottolinea l’importanza di quelle politiche che, agendo sulla leva fiscale e sugli incentivi, possano favorire l’emersione del lavoro “nero” e “grigio”. E in questo senso vanno considerati sia l’avvio della sperimentazione della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, per ora limitata ad una platea irrisoria fatta soltanto degli ultra 80enni gravi e poveri, sia le misure del Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso previsto dal Pnrr, ancora avvolte per il momento nella più fitta nebbia.

Qui il Rapporto: https://www.osservatoriolavorodomestico.it/documenti/rapporto_annuale_2023.pdf